La notte del 17 maggio Pesce, Di Nanni, Bravin e Valentino attaccano una stazione radio sulla Stura,prima di farla saltare in aria disarmano i nove militi che la presidiavano e,sulla promessa che non avrebbero dato l’allarme, salvano loro la vita. I gappisti, invece, vengono traditi e sono sorpresi da un intero reparto nemico.Nello scontro, i quattro rimangono tutti feriti, ma riescono a sganciarsi. Il più grave è Di Nanni, raggiunto da sette proiettili al ventre, alla testa e alle gambe. Pesce, ferito ad una gamba, riesce a trascinare Dante in una cascina e, all’alba, a farlo trasportare nella base di borgo San Paolo. Qui un medico antifascista vede il ferito, ne ordina l’immediato ricovero in ospedale e Pesce lascia Di Nanni per organizzarne il trasporto.Quando ritorna, i fascisti, avvertiti da una spia, stanno già sparando contro la casa di via San Bernardino....Gli ultimi istanti della vita di Dante raccontati da Giovanni Pesce "senza tregua":
« Ora tirano dalla strada, dal campanile e dalle case più lontane. Gli sono addosso, non gli lasciano scampo. Di Nanni toglie di tasca l’ultima cartuccia, la innesta nel caricatore e arma il carrello. Il modo migliore di finirla sarebbe di appoggiare la canna del mitra sotto il mento, tirando il grilletto poi con il pollice. Forse a Di Nanni sembra una cosa ridicola; da ufficiale di carriera. E mentre attorno continuano a sparare, si rovescia di nuovo sul ventre, punta il mitra al campanile e attende, al riparo dei colpi. Quando viene il momento mira con cura, come fosse a una gara di tiro. L’ultimo fascista cade fulminato col colpo. Adesso non c’è più niente da fare: allora Di Nanni afferra le sbarre della ringhiera e con uno sforzo disperato si leva in piedi aspettando la raffica. Gli spari invece cessano sul tetto, nella strada, dalle finestre delle case, si vedono apparire uno alla volta fascisti e tedeschi. Guardano il gappista che li aveva decimati e messi in fuga. Incerti e sconcertati, guardano il ragazzo coperto di sangue che li ha battuti. E non sparano. È in quell’attimo che Di Nanni si appoggia in avanti, premendo il ventre alla ringhiera e saluta col pugno alzato. Poi si getta di schianto con le braccia aperte nella strada stretta, piena di silenzio.
Nel traffico del centro pedala sopra il suo triciclo
e fischia forte alla garibaldina.
Il carico che piega le sue gambe è l'ingiustizia,
la vita è dura per Dante di Nanni.
L'alba prende il treno e c'è odore di porcile
sui marciapiedi della sua pazienza,
e nella testa pesano volumi di bugie.
La sera studierà, Dante di Nanni.
Trent'anni son passati, da quel giorno che i fascisti
ci si son messi in cento ad ammazzarlo
E cento volte l'hanno ucciso, ma tu lo puoi vedere:
gira per la città, Dante di Nanni.
L'ho visto una mattina sulla metropolitana
E sanguinava forte, e sorrideva.
Su molte facce intorno c'era il dubbio
e la stanchezza.
Ma non su quella di Dante di Nanni.
Trent'anni son passati, da quel giorno che i fascisti
Ci si son messi in cento ad ammazzarlo
E ancora non si sentono tranquilli,
perché sanno che gira per la città, Dante di Nanni.
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