Visualizzazione post con etichetta DE ANDRE'. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta DE ANDRE'. Mostra tutti i post
25 feb 2012
9 gen 2012
Fabrizio De André - terzo intermezzo recitativo corale
La polvere il sangue le mosche e l'odore
per strada fra i campi la gente che muore
e tu, tu la chiami guerra e non sai che cos'è
e tu, tu la chiami guerra e non ti spieghi il perché.
L'autunno negli occhi l'estate nel cuore
la voglia di dare l'istinto di avere
e tu, tu lo chiami amore e non sai che cos'è
e tu, tu lo chiami amore e non ti spieghi il perché
Uomini senza fallo, semidei
che vivete in castelli inargentati
che di gloria toccaste gli apogei
noi che invochiam pietà siamo i drogati.
Dell'inumano varcando il confine
conoscemmo anzitempo la carogna
che ad ogni ambito sogno mette fine:
che la pietà non vi sia di vergogna.
Banchieri, pizzicagnoli, notai,
coi ventri obesi e le mani sudate
coi cuori a forma di salvadanai
noi che invochiam pietà fummo traviate.
Navigammo su fragili vascelli
per affrontar del mondo la burrasca
ed avevamo gli occhi troppo belli:
che la pietà non vi rimanga in tasca.
Giudici eletti, uomini di legge
noi che danziam nei vostri sogni ancora
siamo l'umano desolato gregge
di chi morì con il nodo alla gola.
Quanti innocenti all'orrenda agonia
votaste decidendone la sorte
e quanto giusta pensate che sia
una sentenza che decreta morte?
Uomini cui pietà non convien sempre
male accettando il destino comune,
andate, nelle sere di novembre,
a spiar delle stelle al fioco lume,
la morte e il vento, in mezzo ai camposanti,
muover le tombe e metterle vicine
come fossero tessere giganti
di un domino che non avrà mai fine.
Uomini, poiché all'ultimo minuto
non vi assalga il rimorso ormai tardivo
per non aver pietà giammai avuto
e non diventi rantolo il respiro:
sappiate che la morte vi sorveglia
gioir nei prati o fra i muri di calce,
come crescere il gran guarda il villano
finché non sia maturo per la falce.
che vivete in castelli inargentati
che di gloria toccaste gli apogei
noi che invochiam pietà siamo i drogati.
Dell'inumano varcando il confine
conoscemmo anzitempo la carogna
che ad ogni ambito sogno mette fine:
che la pietà non vi sia di vergogna.
Banchieri, pizzicagnoli, notai,
coi ventri obesi e le mani sudate
coi cuori a forma di salvadanai
noi che invochiam pietà fummo traviate.
Navigammo su fragili vascelli
per affrontar del mondo la burrasca
ed avevamo gli occhi troppo belli:
che la pietà non vi rimanga in tasca.
Giudici eletti, uomini di legge
noi che danziam nei vostri sogni ancora
siamo l'umano desolato gregge
di chi morì con il nodo alla gola.
Quanti innocenti all'orrenda agonia
votaste decidendone la sorte
e quanto giusta pensate che sia
una sentenza che decreta morte?
Uomini cui pietà non convien sempre
male accettando il destino comune,
andate, nelle sere di novembre,
a spiar delle stelle al fioco lume,
la morte e il vento, in mezzo ai camposanti,
muover le tombe e metterle vicine
come fossero tessere giganti
di un domino che non avrà mai fine.
Uomini, poiché all'ultimo minuto
non vi assalga il rimorso ormai tardivo
per non aver pietà giammai avuto
e non diventi rantolo il respiro:
sappiate che la morte vi sorveglia
gioir nei prati o fra i muri di calce,
come crescere il gran guarda il villano
finché non sia maturo per la falce.
6 giu 2011
Fabrizio De Andrè - Le acciughe fanno il pallone -
Le acciughe fanno il pallone
che sotto c'è l'alalunga
se non butti la rete
non te ne lascia una
alla riva sbarcherò
alla riva verrà la gente
questi pesci sorpresi
li venderò per niente
se sbarcherò alla foce
e alla foce non c'è nessuno
la faccia mi laverò
nell'acqua del torrente
ogni tre ami
c'è una stella marina
amo per amo
c'è una stella che trema
ogni tre lacrime
batte la campana
passano le villeggianti
con gli occhi di vetro scuro
passano sotto le reti
che asciugano sul muro
e in mare c'è una fortuna
che viene dall'oriente
che tutti l'hanno vista
e nessuno la prende
ogni tre ami
c'è una stella marina
ogni tre stelle
c'è un aereo che vola
ogni tre notti
un sogno che mi consola
bottiglia legata stretta
come un'esca da trascinare
sorso di vena dolce
che liberi dal male
se prendo il pesce d'oro
ve la farò vedere
se prendo il pesce d'oro
mi sposerò all'altare
ogni tre ami
c'è una stella marina
ogni tre stelle
c'è un aereo che vola
ogni balcone
una bocca che m'innamora
ogni tre ami
c'è una stella marina
ogni tre stelle
c'è un aereo che vola
ogni balcone
una bocca che m'innamora
le acciughe fanno il pallone
che sotto c'è l'alalunga
se non butti la rete
non te ne lascia una
non te ne lascia una
non te ne lascia
Fabrizio De Andrè - Le acciughe fanno il pallone -
che sotto c'è l'alalunga
se non butti la rete
non te ne lascia una
alla riva sbarcherò
alla riva verrà la gente
questi pesci sorpresi
li venderò per niente
se sbarcherò alla foce
e alla foce non c'è nessuno
la faccia mi laverò
nell'acqua del torrente
ogni tre ami
c'è una stella marina
amo per amo
c'è una stella che trema
ogni tre lacrime
batte la campana
passano le villeggianti
con gli occhi di vetro scuro
passano sotto le reti
che asciugano sul muro
e in mare c'è una fortuna
che viene dall'oriente
che tutti l'hanno vista
e nessuno la prende
ogni tre ami
c'è una stella marina
ogni tre stelle
c'è un aereo che vola
ogni tre notti
un sogno che mi consola
bottiglia legata stretta
come un'esca da trascinare
sorso di vena dolce
che liberi dal male
se prendo il pesce d'oro
ve la farò vedere
se prendo il pesce d'oro
mi sposerò all'altare
ogni tre ami
c'è una stella marina
ogni tre stelle
c'è un aereo che vola
ogni balcone
una bocca che m'innamora
ogni tre ami
c'è una stella marina
ogni tre stelle
c'è un aereo che vola
ogni balcone
una bocca che m'innamora
le acciughe fanno il pallone
che sotto c'è l'alalunga
se non butti la rete
non te ne lascia una
non te ne lascia una
non te ne lascia
Fabrizio De Andrè - Le acciughe fanno il pallone -
14 mag 2011
DE ANDRE' "GIROTONDO"
Se verrà la guerra, Marcondiro'ndero
se verrà la guerra, Marcondiro'ndà
sul mare e sulla terra, Marcondiro'ndera
sul mare e sulla terra chi ci salverà?
Ci salverà il soldato che non la vorrà
ci salverà il soldato che la guerra rifiuterà.
La guerra è già scoppiata, Marcondiro'ndero
la guerra è già scoppiata, chi ci aiuterà.
Ci aiuterà il buon Dio, Marcondiro'ndera
ci aiuterà il buon Dio, lui ci salverà.
Buon Dio è già scappato, dove non si sa
buon Dio se n'è andato, chissà quando ritornerà.
L'aeroplano vola, Marcondiro'ndera
l'aeroplano vola, Marcondiro'ndà.
Se getterà la bomba, Marcondiro'ndero
se getterà la bomba chi ci salverà?
Ci salva l'aviatore che non lo farà
ci salva l'aviatore che la bomba non getterà.
La bomba è già caduta, Marcondiro'ndero
la bomba è già caduta, chi la prenderà?
La prenderanno tutti, Marcondiro'ndera
siam belli o siam brutti, Marcondiro'ndà
Siam grandi o siam piccini li distruggerà
siam furbi o siam cretini li fulminerà.
Ci sono troppe buche, Marcondiro'ndera
ci sono troppe buche, chi le riempirà?
Non potremo più giocare al Marcondiro'ndera
non potremo più giocare al Marcondiro'ndà.
E voi a divertirvi andate un po' più in là
andate a divertirvi dove la guerra non ci sarà.
La guerra è dappertutto, Marcondiro'ndera
la terra è tutta un lutto, chi la consolerà?
Ci penseranno gli uomini, le bestie i fiori
i boschi e le stagioni con i mille colori.
Di gente, bestie e fiori no, non ce n'è più
viventi siam rimasti noi e nulla più.
La terra è tutta nostra, Marcondiro'ndera
ne faremo una gran giostra, Marcondiro'ndà.
Abbiam tutta la terra Marcondiro'ndera
giocheremo a far la guerra, Marcondiro'ndà...
se verrà la guerra, Marcondiro'ndà
sul mare e sulla terra, Marcondiro'ndera
sul mare e sulla terra chi ci salverà?
Ci salverà il soldato che non la vorrà
ci salverà il soldato che la guerra rifiuterà.
La guerra è già scoppiata, Marcondiro'ndero
la guerra è già scoppiata, chi ci aiuterà.
Ci aiuterà il buon Dio, Marcondiro'ndera
ci aiuterà il buon Dio, lui ci salverà.
Buon Dio è già scappato, dove non si sa
buon Dio se n'è andato, chissà quando ritornerà.
L'aeroplano vola, Marcondiro'ndera
l'aeroplano vola, Marcondiro'ndà.
Se getterà la bomba, Marcondiro'ndero
se getterà la bomba chi ci salverà?
Ci salva l'aviatore che non lo farà
ci salva l'aviatore che la bomba non getterà.
La bomba è già caduta, Marcondiro'ndero
la bomba è già caduta, chi la prenderà?
La prenderanno tutti, Marcondiro'ndera
siam belli o siam brutti, Marcondiro'ndà
Siam grandi o siam piccini li distruggerà
siam furbi o siam cretini li fulminerà.
Ci sono troppe buche, Marcondiro'ndera
ci sono troppe buche, chi le riempirà?
Non potremo più giocare al Marcondiro'ndera
non potremo più giocare al Marcondiro'ndà.
E voi a divertirvi andate un po' più in là
andate a divertirvi dove la guerra non ci sarà.
La guerra è dappertutto, Marcondiro'ndera
la terra è tutta un lutto, chi la consolerà?
Ci penseranno gli uomini, le bestie i fiori
i boschi e le stagioni con i mille colori.
Di gente, bestie e fiori no, non ce n'è più
viventi siam rimasti noi e nulla più.
La terra è tutta nostra, Marcondiro'ndera
ne faremo una gran giostra, Marcondiro'ndà.
Abbiam tutta la terra Marcondiro'ndera
giocheremo a far la guerra, Marcondiro'ndà...
Questo pezzo "Girotondo" fa parte dell'album "Tutti morirono a stento" album che tra l'altro qualche tempo fa ho recensito(vedi sez De Andrè).A mio parere questa è una delle composizioni di Fabrizio (e non solo di lui )piu drammaticamente satiriche sul tema della guerra e dei suoi effetti devastanti,il tutto visto è commentato da uno speciale punto di vista,quello dei bambini .Proprio nel ritornello «Marcondiro'ndero» vi si narra come la spietata (appunto) follia dell'uomo abbia scatenato la guerra atomica,e di come la terra ne si andata distrutta.Solo i bimbi sono rimasti vivi,a continuare un assurdo girotondo che li trascina, gradualmente,alla pazzia.E su tutto aleggia un terribile monito,«chi ci salverà?».Non sarà questo pezzo a far prendere coscienza alla gente della crudeltà delle tanto celebrate imprese belliche,spero solo che sia una di quelle tante goccie che formano il mare delle speranza.... e ricordate sempre che quel mare è soprattutto dei bambini...
14 apr 2011
"Ho visto Nina volare" De Andrè
"Ho visto Nina volare" e un pezzo di De Andrè dall'album "Anime Salve...Il testo è un inno alla libertà, o meglio al desiderio di libertà,nonostante leggendo tra le parole si può interpretare in tanti modi,a mio parere Nina, rappresenta proprio la libertà che liberamente vola fra le corde dell'altalena ( è pur sempre una libertà condizionata perchè ci sono le corde) e la vorrebbe avere.Ma il padre ( simbolo di ogni autorità, gli nega anche questo sogno. ( se il padre sa che sogna in questo modo,lui dovrà addirittura andarsene ( mi imbarcherò sul mare)Poi il giovane riflette sulla luce lontana e si fa ( a se stesso)un discorso di tipo metafisico ...( che si accende e si spegne) amore,odio,vita ,morte,speranza,disperazione!!!Credo inoltre che questa è una canzone autobiografica dove Fabrizio si proietta nei suoi ricordi d'infanzia, Nina è Nina Manfieri la compagna di giochi quando con i suoi si rifugiavano nell' Astigiano (l'avevo letto però non ricordo dove). Invece, mastica e sputa da una parte il miele dall' altra la cera lo potete capire dalle parole di Carlo Bonanni..leggi sotto
Mastica e sputa
da una parte il miele
mastica e sputa
dall'altra la cera
mastica e sputa
prima che venga neve
luce luce lontana
più bassa delle stelle
quale sarà la mano
che ti accende e ti spegne
ho visto Nina volare
tra le corde dell'altalena
un giorno la prenderò
come fa il vento alla schiena
e se lo sa mio padre
dovrò cambiar paese
se mio padre lo sa
mi imbarcherò sul mare
Mastica e sputa
da una parte il miele
mastica e sputa
dall'altra la cera
mastica e sputa
prima che faccia neve
stanotte è venuta l'ombra
l'ombra che mi fa il verso
le ho mostrato il coltello
e la mia maschera di gelso
e se lo sa mio padre
mi metterò in cammino
se mio padre lo sa
mi imbarcherò lontano
Mastica e sputa
da una parte il miele
mastica e sputa
dall'altra la cera mastica e sputa
prima che metta neve
ho visto Nina volare
tra le corde dell'altalena
un giorno la prenderò
come fa il vento alla schiena
luce luce lontana
che si accende e si spegne
quale sarà la mano
che illumina le stelle
mastica e sputa
prima che venga neve
Una tradizione della città di Matera, oggi purtroppo già estinta, vede da oltre due secoli, le donne più anziane dedite all'antico mestiere dell'apicultura. Sembra che usassero masticare fettine di favo, all'uopo preparate, per ore ed ore, ottenendo in tal modo la separazione del miele dalla cera. Queste due preziose sostanze venivano quindi espulse dalla bocca in appositi recipienti, e quindi, pronte per l'uso.
Questa storia mi è arrivata direttamente da Ivano Fossati quando, ad un concerto di vari anni fa, ha introdotto la canzone "Ho visto Nina Volare", scritta insieme a Fabrizio De André. È stata una vera e propria rivelazione. Lo stesso Fossati mi ha confessato di essere stato letteralmente rapito da quella terra e di avervi soggiornato a lungo, con Fabrizio, per alimentare il fiume di poesia portato da quegli enormi affluenti che sono le tradizioni orali di quel posto.È singolare e nello stesso tempo intuitivo come in questa leggenda siano reciprocamente intrecciate la vicenda religiosa, come il rito della comunione, insieme ad una pratica di accrescimento ancestrale, quale quella del pasto collettivo.E lo studio del comportamento dell'uomo spesso ci ha tramandato che, a tali "comunioni",prendono parte prevalentemente i soggetti che non presiedono alla difesa del territorio e che non vanno a caccia: le donne.Trattandosi poi di un rito molto importante per la sopravvivenza, sono le donne più anziane che ne assumono la piena responsabilità di svolgimento. Ma fra i famosi "Sassi", gli adulti invecchiano e scompaiono, i giovani nascono e crescono, ed anche se gli individui cambiano tutti, mi piace immaginare questo convoglio di umanità rimanere insieme e uguale a se stesso, sotto il peso dei cunicoli di masse lente, su viottoli serpiginosi capaci di dar direzione agli uomini, agli asini, alle acque e agli spiriti… E nelle grotte e intorno al fuoco che sembra accendere le danze degli spiriti dell'ombra, una bimba, rapita dal gioco delle fiammelle, guarda la nonna che
"…mastica e sputa da una parte il miele
mastica e sputa dall'altra la cera
mastica e sputa prima che faccia neve…".
Questo il sogno reiterato, à poussées, quasi un refrain, delle mie notti sui Sassi, fra strade di cenere come un pianto asciutto, piatte ed ondulate, con andamento di fiume tra muri alti di calcio e balconate di tufo che tradiscono il vuoto. Non c'è rumore che possa svegliarmi, né luce tenue che come collirio possa levigare le ferite dei muri stesi come lenzuola materne anche per un estraneo come me.
Di grotta in grotta sono un re forestiero sulla rupe dell'arnia, sono l'ape ceraiola della Gravina, fino al fondo dell'imbuto, dove il vento cade solo a spruzzi, sui cespugli di malerba bagnata. Oltre il disordine del mondo sento il mio passo più sicuro dentro questo sogno.
[Carlo Bonanni]
Mastica e sputa
da una parte il miele
mastica e sputa
dall'altra la cera
mastica e sputa
prima che venga neve
luce luce lontana
più bassa delle stelle
quale sarà la mano
che ti accende e ti spegne
ho visto Nina volare
tra le corde dell'altalena
un giorno la prenderò
come fa il vento alla schiena
e se lo sa mio padre
dovrò cambiar paese
se mio padre lo sa
mi imbarcherò sul mare
Mastica e sputa
da una parte il miele
mastica e sputa
dall'altra la cera
mastica e sputa
prima che faccia neve
stanotte è venuta l'ombra
l'ombra che mi fa il verso
le ho mostrato il coltello
e la mia maschera di gelso
e se lo sa mio padre
mi metterò in cammino
se mio padre lo sa
mi imbarcherò lontano
Mastica e sputa
da una parte il miele
mastica e sputa
dall'altra la cera mastica e sputa
prima che metta neve
ho visto Nina volare
tra le corde dell'altalena
un giorno la prenderò
come fa il vento alla schiena
luce luce lontana
che si accende e si spegne
quale sarà la mano
che illumina le stelle
mastica e sputa
prima che venga neve
Una tradizione della città di Matera, oggi purtroppo già estinta, vede da oltre due secoli, le donne più anziane dedite all'antico mestiere dell'apicultura. Sembra che usassero masticare fettine di favo, all'uopo preparate, per ore ed ore, ottenendo in tal modo la separazione del miele dalla cera. Queste due preziose sostanze venivano quindi espulse dalla bocca in appositi recipienti, e quindi, pronte per l'uso.
Questa storia mi è arrivata direttamente da Ivano Fossati quando, ad un concerto di vari anni fa, ha introdotto la canzone "Ho visto Nina Volare", scritta insieme a Fabrizio De André. È stata una vera e propria rivelazione. Lo stesso Fossati mi ha confessato di essere stato letteralmente rapito da quella terra e di avervi soggiornato a lungo, con Fabrizio, per alimentare il fiume di poesia portato da quegli enormi affluenti che sono le tradizioni orali di quel posto.È singolare e nello stesso tempo intuitivo come in questa leggenda siano reciprocamente intrecciate la vicenda religiosa, come il rito della comunione, insieme ad una pratica di accrescimento ancestrale, quale quella del pasto collettivo.E lo studio del comportamento dell'uomo spesso ci ha tramandato che, a tali "comunioni",prendono parte prevalentemente i soggetti che non presiedono alla difesa del territorio e che non vanno a caccia: le donne.Trattandosi poi di un rito molto importante per la sopravvivenza, sono le donne più anziane che ne assumono la piena responsabilità di svolgimento. Ma fra i famosi "Sassi", gli adulti invecchiano e scompaiono, i giovani nascono e crescono, ed anche se gli individui cambiano tutti, mi piace immaginare questo convoglio di umanità rimanere insieme e uguale a se stesso, sotto il peso dei cunicoli di masse lente, su viottoli serpiginosi capaci di dar direzione agli uomini, agli asini, alle acque e agli spiriti… E nelle grotte e intorno al fuoco che sembra accendere le danze degli spiriti dell'ombra, una bimba, rapita dal gioco delle fiammelle, guarda la nonna che
"…mastica e sputa da una parte il miele
mastica e sputa dall'altra la cera
mastica e sputa prima che faccia neve…".
Questo il sogno reiterato, à poussées, quasi un refrain, delle mie notti sui Sassi, fra strade di cenere come un pianto asciutto, piatte ed ondulate, con andamento di fiume tra muri alti di calcio e balconate di tufo che tradiscono il vuoto. Non c'è rumore che possa svegliarmi, né luce tenue che come collirio possa levigare le ferite dei muri stesi come lenzuola materne anche per un estraneo come me.
Di grotta in grotta sono un re forestiero sulla rupe dell'arnia, sono l'ape ceraiola della Gravina, fino al fondo dell'imbuto, dove il vento cade solo a spruzzi, sui cespugli di malerba bagnata. Oltre il disordine del mondo sento il mio passo più sicuro dentro questo sogno.
[Carlo Bonanni]
22 mar 2011
DE ANDRE' VOLUME 8
Stasera un'amica mi ha fatto ricordare un album di De Andrè ovvero "Volume 8" (1975)la partcolarità di questo stà nella collaborazione con un altro grande della musica Italiana "Francesco De Gregori" allora giovane emergente ...La traccia "Le storie di ieri" addirittura,sia il testo che la musica è completamente di De Gregori,che la canta anche nel suo album "Rimmel"... E Nancy e' una traduzione di Cohen.
E' un disco di sogni, di illusoni spezzate, di amara consapevolezza della nostra (intesa come degli uomini) incapacita' di ritagliarci una condizione che ci aggradi in questo mondo.La scelta provocatoria della cattiva strada come inizio non e' casuale: la strada cattiva, le scelte all'apparenza errate,sono una sorta di "ultima spiaggia", che spesso molti intraprendono, magari inconsciamente, per cercare di contrastare il tempo che passa
.
C'e' l'uomo che sceglie di condividere delle idee con altri (Le storie di ieri) e si riscopre uomo grazie ad esse (nel dettaglio quelle fasciste), senza chiedersi se siano sbagliate, ma interessato solo del risultato concreto del suo benessere
TESTO:
Mio padre ha una storia comune,
condivisa dalla sua generazione.
La mascella al cortile parlava,
troppi morti lo hanno smentito,
tutta gente che aveva capito.
E il bambino nel cortile sta giocando
tira sassi nel cielo e nel mare.
Ogni volta che colpisce una stella,
chiude gli occhi e comincia a sognare
chiude gli occhi e comincia a volare.
E i cavalli a Salò sono morti di noia,
a giocare col nero perdi sempre.
Mussolini ha scritto anche poesie,
i poeti che brutte creature,
ogni volta che parlano è una truffa.
Ma mio padre è un ragazzo tranquillo,
la mattina legge molti giornali.
È convinto di avere delle idee
e suo figlio è una nave pirata,
e suo figlio è una nave pirata.
E anche adesso è rimasta una scritta nera,
sopra il muro davanti casa mia,
dice che il movimento vincerà.
I nuovi capi hanno facce serene
e cravatte intonate alla camicia.
Ma il bambino nel cortile si è fermato
si è stancato di seguire aquiloni.
Si è seduto tra i ricordi vicini, rumori lontani
guarda il muro e si guarda le mani,
guarda il muro e si guarda le mani
guarda il muro e si guarda le mani
C'e' il benestante di "Canzone per l'estate" che, dopo aver cercato di cambiare, di lottare, di dire la sua, si ritrova nella malinconica realta' di un mondo quotidiano fatto di famigliola, chiesa e felicita' dettata da regali materiali e non piu' da sentimenti.E "non riesce piu' a volare", ha smesso di sognare, di sperare, ha perso l'anima. Oppure l'amarezza del marinaio (Dolce luna) che ricorda le settimane passate in mare, fra storie di pirati e corsari e balene fantastiche, ora che la realta' lo incatena a terra e lo costringe a regolarsi con una famiglia, e lui, che sogna ancora quelle onde, spera che suo figlio possa nascere, come per sogno, per incanto, dal rapporto con una balena (il terzo occhio inconfondibile e speciale), e vivere in quel mare che tanto ha segnato la sua vita. Grande canzone, dolce luna, molto arcana. Personale ma sullo stesso tema dei sogni svaniti e' Giugno '73 e' il racconto della storia fra De Andre' e la sua prima moglie, Enrica.
Lui non era ben visto dalla famiglia, molto benestante e borghese, e cercava di ingraziarsi i suoi genitori pur sapendo che i "musicisti" non erano molto ben visti in quei tempi dai ceti elevati. Ma, nonostante tutto, l'ultima frase, "e' stato meglio lasciarci che non esserci mai incontrati", lascia trasparire una volonta' finale di ottimismo. In fondo il disco non e' pessimista, tutti i brani hanno una scintilla di lieto fine,o,almeno,di speranza ,al contrario,per esempio,di Tutti morimmo a stento,emblema della disperazione cosmica verso tutto. "Ma c'e' amore un po' per tutti e tutti quanti hanno un amore sulla cattiva strada"; una strada c'e' sempre, quell'amore, quei sogni tanto voluti da qualche parte si possono sempre trovare."Canzone per l'estate" è un altro spaccato di vita tranquilla, perfettamente ordinata quanto inutile. Poi Oceano,pezzo dove si sente l'influenza delle tipiche espressioni "degregoriane", un po' sibilline che rendono ambienti e personaggi sfumati, irreali.Difficile anche rimanere indifferenti ad "Amico fragile", forse la confessione più intima e personale che De André abbia messo in una canzone. L'amico fragile, che si isola dai giochi meschini della società per coltivare le sue illusioni e i suoi ideali in modo solitario, è l'autore stesso, bollato come fragile dalle cosiddette "persone normali", quando invece rispetto a "loro" è, o comunque si sente, "molto più curioso, molto meno stanco, molto più ubriaco...", anche se non lo sbandiera. Ancora più toccante nella sofferta interpretazione "live" con la P.F.M., chiude degnamente un grande disco
Nota di De Gregori riguardo la canzone "Storia d'ieri" e De Andrè:
"Abbiamo scritto questa canzone, Fabrizio ed io, nel '74 o forse addirittura nel '73. Lui stava preparando il disco che poi si sarebbe chiamato Volume VIII e mi aveva proposto di lavorare insieme dopo avermi conosciuto in un locale di Roma, il Folkstudio.Passammo quasi un mese da soli nella sua bellissima casa in Gallura, davanti ad una spiaggia meravigliosa dove peraltro credo che non mettemmo mai piede: in quel periodo avevamo tutti e due delle storie sentimentali assai burrascose ed era più o meno inverno. Fabrizio beveva e fumava tantissimo e io gli stavo dietro con un certo successo. Giocavamo a scacchi, a poker in due: ogni tanto prendevo il suo motorino e me ne andavo in giro per chilometri. Al mio ritorno spesso lo trovavo appena alzato che girava per casa con la sigaretta e il bicchiere e la chitarra in mano e che aveva buttato giù degli appunti, degli accordi. Era uno strano modo di lavorare il nostro: non ci siamo mai messi seduti a dire "Adesso scriviamo questa canzone".
Semplicemente integravamo e correggevamo l'uno gli appunti dell'altro, certe volte senza nemmeno parlarne, senza nemmeno incontrarci magari, perché lui dormiva di giorno e lavorava di notte e io viceversa. Le musiche ci venivano abbastanza facilmente - Fabrizio era un eccezionale musicista - e le registravamo su un piccolo registratore a pile. Così vennero fuori "La cattiva strada", "Canzone per l'estate", "Oceano".Lui aveva scritto da solo "Amico fragile" e poi aveva voluto inserire nel suo disco "Le storie di ieri" che la RCA (la mia casa discografica di allora) si era rifiutata di farmi incidere sulla "Pecora".E' difficile pensare a Fabrizio come uno che non c'è più: quando se n'è andato non ci vedevamo da parecchio tempo. Credo di averlo sentito al telefono circa un anno prima che morisse ed aveva la sua solita bella voce, l'intelligenza correva sul filo.Fabrizio era un uomo generoso e bellicoso, facile da amare e difficilissimo da andarci d'accordo. Uno dei ricordi più belli che conservo di lui è quando andammo all'Idroscalo di Milano sulle montagne russe del Luna Park, insieme a Dori: scendemmo felici e ubriachi con lo stomaco in bocca e andammo a finire la serata chissà dove.Ho messo la nostra canzone in questo disco non per fargli un omaggio (Non ne ha bisogno e non so se gli piacerebbe). E' solo una buona canzone che oggi, dopo tutti questi anni, sento un po' più mia.
E' un disco di sogni, di illusoni spezzate, di amara consapevolezza della nostra (intesa come degli uomini) incapacita' di ritagliarci una condizione che ci aggradi in questo mondo.La scelta provocatoria della cattiva strada come inizio non e' casuale: la strada cattiva, le scelte all'apparenza errate,sono una sorta di "ultima spiaggia", che spesso molti intraprendono, magari inconsciamente, per cercare di contrastare il tempo che passa
.
C'e' l'uomo che sceglie di condividere delle idee con altri (Le storie di ieri) e si riscopre uomo grazie ad esse (nel dettaglio quelle fasciste), senza chiedersi se siano sbagliate, ma interessato solo del risultato concreto del suo benessere
TESTO:
Mio padre ha una storia comune,
condivisa dalla sua generazione.
La mascella al cortile parlava,
troppi morti lo hanno smentito,
tutta gente che aveva capito.
E il bambino nel cortile sta giocando
tira sassi nel cielo e nel mare.
Ogni volta che colpisce una stella,
chiude gli occhi e comincia a sognare
chiude gli occhi e comincia a volare.
E i cavalli a Salò sono morti di noia,
a giocare col nero perdi sempre.
Mussolini ha scritto anche poesie,
i poeti che brutte creature,
ogni volta che parlano è una truffa.
Ma mio padre è un ragazzo tranquillo,
la mattina legge molti giornali.
È convinto di avere delle idee
e suo figlio è una nave pirata,
e suo figlio è una nave pirata.
E anche adesso è rimasta una scritta nera,
sopra il muro davanti casa mia,
dice che il movimento vincerà.
I nuovi capi hanno facce serene
e cravatte intonate alla camicia.
Ma il bambino nel cortile si è fermato
si è stancato di seguire aquiloni.
Si è seduto tra i ricordi vicini, rumori lontani
guarda il muro e si guarda le mani,
guarda il muro e si guarda le mani
guarda il muro e si guarda le mani
C'e' il benestante di "Canzone per l'estate" che, dopo aver cercato di cambiare, di lottare, di dire la sua, si ritrova nella malinconica realta' di un mondo quotidiano fatto di famigliola, chiesa e felicita' dettata da regali materiali e non piu' da sentimenti.E "non riesce piu' a volare", ha smesso di sognare, di sperare, ha perso l'anima. Oppure l'amarezza del marinaio (Dolce luna) che ricorda le settimane passate in mare, fra storie di pirati e corsari e balene fantastiche, ora che la realta' lo incatena a terra e lo costringe a regolarsi con una famiglia, e lui, che sogna ancora quelle onde, spera che suo figlio possa nascere, come per sogno, per incanto, dal rapporto con una balena (il terzo occhio inconfondibile e speciale), e vivere in quel mare che tanto ha segnato la sua vita. Grande canzone, dolce luna, molto arcana. Personale ma sullo stesso tema dei sogni svaniti e' Giugno '73 e' il racconto della storia fra De Andre' e la sua prima moglie, Enrica.
Lui non era ben visto dalla famiglia, molto benestante e borghese, e cercava di ingraziarsi i suoi genitori pur sapendo che i "musicisti" non erano molto ben visti in quei tempi dai ceti elevati. Ma, nonostante tutto, l'ultima frase, "e' stato meglio lasciarci che non esserci mai incontrati", lascia trasparire una volonta' finale di ottimismo. In fondo il disco non e' pessimista, tutti i brani hanno una scintilla di lieto fine,o,almeno,di speranza ,al contrario,per esempio,di Tutti morimmo a stento,emblema della disperazione cosmica verso tutto. "Ma c'e' amore un po' per tutti e tutti quanti hanno un amore sulla cattiva strada"; una strada c'e' sempre, quell'amore, quei sogni tanto voluti da qualche parte si possono sempre trovare."Canzone per l'estate" è un altro spaccato di vita tranquilla, perfettamente ordinata quanto inutile. Poi Oceano,pezzo dove si sente l'influenza delle tipiche espressioni "degregoriane", un po' sibilline che rendono ambienti e personaggi sfumati, irreali.Difficile anche rimanere indifferenti ad "Amico fragile", forse la confessione più intima e personale che De André abbia messo in una canzone. L'amico fragile, che si isola dai giochi meschini della società per coltivare le sue illusioni e i suoi ideali in modo solitario, è l'autore stesso, bollato come fragile dalle cosiddette "persone normali", quando invece rispetto a "loro" è, o comunque si sente, "molto più curioso, molto meno stanco, molto più ubriaco...", anche se non lo sbandiera. Ancora più toccante nella sofferta interpretazione "live" con la P.F.M., chiude degnamente un grande disco
Nota di De Gregori riguardo la canzone "Storia d'ieri" e De Andrè:
"Abbiamo scritto questa canzone, Fabrizio ed io, nel '74 o forse addirittura nel '73. Lui stava preparando il disco che poi si sarebbe chiamato Volume VIII e mi aveva proposto di lavorare insieme dopo avermi conosciuto in un locale di Roma, il Folkstudio.Passammo quasi un mese da soli nella sua bellissima casa in Gallura, davanti ad una spiaggia meravigliosa dove peraltro credo che non mettemmo mai piede: in quel periodo avevamo tutti e due delle storie sentimentali assai burrascose ed era più o meno inverno. Fabrizio beveva e fumava tantissimo e io gli stavo dietro con un certo successo. Giocavamo a scacchi, a poker in due: ogni tanto prendevo il suo motorino e me ne andavo in giro per chilometri. Al mio ritorno spesso lo trovavo appena alzato che girava per casa con la sigaretta e il bicchiere e la chitarra in mano e che aveva buttato giù degli appunti, degli accordi. Era uno strano modo di lavorare il nostro: non ci siamo mai messi seduti a dire "Adesso scriviamo questa canzone".
Semplicemente integravamo e correggevamo l'uno gli appunti dell'altro, certe volte senza nemmeno parlarne, senza nemmeno incontrarci magari, perché lui dormiva di giorno e lavorava di notte e io viceversa. Le musiche ci venivano abbastanza facilmente - Fabrizio era un eccezionale musicista - e le registravamo su un piccolo registratore a pile. Così vennero fuori "La cattiva strada", "Canzone per l'estate", "Oceano".Lui aveva scritto da solo "Amico fragile" e poi aveva voluto inserire nel suo disco "Le storie di ieri" che la RCA (la mia casa discografica di allora) si era rifiutata di farmi incidere sulla "Pecora".E' difficile pensare a Fabrizio come uno che non c'è più: quando se n'è andato non ci vedevamo da parecchio tempo. Credo di averlo sentito al telefono circa un anno prima che morisse ed aveva la sua solita bella voce, l'intelligenza correva sul filo.Fabrizio era un uomo generoso e bellicoso, facile da amare e difficilissimo da andarci d'accordo. Uno dei ricordi più belli che conservo di lui è quando andammo all'Idroscalo di Milano sulle montagne russe del Luna Park, insieme a Dori: scendemmo felici e ubriachi con lo stomaco in bocca e andammo a finire la serata chissà dove.Ho messo la nostra canzone in questo disco non per fargli un omaggio (Non ne ha bisogno e non so se gli piacerebbe). E' solo una buona canzone che oggi, dopo tutti questi anni, sento un po' più mia.
19 feb 2011
DE ANDRE' "IL TESTAMENTO DI TITO"
Fabrizio De André (Genova, 18 febbraio 1940 Milano, 11 gennaio 1999)Non potevo dimenticare la data del più grande poeta e cantautore della musica italiana...Faber,che avrebbe compiuto 71 anni..E lo voglio ricordare con un pezzo che nonn ho mai presentato "Il testamento di tito" dall'album "La buona novella".Questa è una canzone iconoclasta,provocatoria,che svela le ipocrisie della chiesa e fa emergere il sentimento vero,visto da un laico come Fabrizio...Per analizzare il pezzo và detto che Tito era uno dei due ladroni che vennero crocefissi con Cristo,il ladrone che poi riconobbe in Cristo il vero salvatore!!!Secondo la mia interpetrazione Il Testamento Di Tito è uno dei pezzi incentrati sulla pietà più riusciti di De Andrè.Infatti spesso Faber ha scritto canzoni su questo tema,sugli ultimi della scala sociale,i ladri,gli assassini,le prostitute,i drogati,tutte quelle persone che viaggiano "in direzione ostinata e contraria". Per usare le parole dello stesso Fabrizio: "credo che ci sia ben poco merito nella virtù e ben poca colpa nell'errore". Per questo De Andrè,sceglie il punto di vista del ladrone...Tutto ciò in nome di una fratellanza del genere umano che,attraverso la pietà,riesca ad andare oltre il giudizio moralista di certi comportamenti, senza per questo giustificarli,ma per comprenderne l'origine e,a volte, la necessità.
Ne "La Mia Ora Di Libertà" troviamo ancora: "E adesso imparo un sacco di cose in mezzo agli altri vestiti uguali, tranne qual è il crimine giusto per non passare da criminali. Ci hanno insegnato la meraviglia verso la gente che ruba il pane, ora sappiamo che è un delitto il non rubare quando si ha fame". Questo messaggio De Andrè lo sostiene per tutta la sua vita, in molteplici forme.Questo per me è il vero cuore, l'anima de Il Testamento Di Tito, ancora di più rispetto alle critiche(dei credenti) verso i comandamenti,o meglio, verso le loro contraddizioni e il cattivo uso che se ne fa. Certamente anche queste critiche sono importanti e Faber utilizza il personaggio del ladrone,disincantato e in pace con se stesso nel momento della morteper esprimere il proprio pensiero riguardo la Chiesa e gli insegnamenti cristiani. Ma il vero messaggio è nel finale quando,dopo essersi sfogato di ogni rabbia verso l'ipocrisia di quelli che l'hanno condannato in base a leggi morali che essi stessi non rispettano,Tito lascia che sia la pietà a guidare il suo cuore negli ultimi istanti,la pietà verso chi,in quel momento,è soltanto un "uomo che muore". Proprio come lui.
Non avrai altro Dio, all'infuori di me,
spesso mi ha fatto pensare:
genti diverse, venute dall'est
dicevan che in fondo era uguale.
Credevano a un altro diverso da te,
e non mi hanno fatto del male.
Credevano a un altro diverso da te
e non mi hanno fatto del male.
Non nominare il nome di Dio,
non nominarlo invano.
Con un coltello piantato nel fianco
gridai la mia pena e il suo nome:
ma forse era stanco, forse troppo occupato
e non ascoltò il mio dolore.
Ma forse era stanco, forse troppo lontano
davvero, lo nominai invano.
Onora il padre. Onora la madre
e onora anche il loro bastone,
bacia la mano che ruppe il tuo naso
perché le chiedevi un boccone:
quando a mio padre si fermò il cuore
non ho provato dolore.
Quando a mio padre si fermò il cuore
non ho provato dolore.
Ricorda di santificare le feste.
Facile per noi ladroni
entrare nei templi che rigurgitan salmi
di schiavi e dei loro padroni
senza finire legati agli altari
sgozzati come animali.
Senza finire legati agli altari
sgozzati come animali.
Il quinto dice "non devi rubare"
e forse io l'ho rispettato
vuotando in silenzio, le tasche già gonfie
di quelli che avevan rubato.
Ma io, senza legge, rubai in nome mio,
quegli altri, nel nome di Dio.
Ma io, senza legge, rubai in nome mio,
quegli altri, nel nome di Dio
Non commettere atti che non siano puri
cioè non disperdere il seme.
Feconda una donna ogni volta che l'ami, così sarai uomo di fede:
poi la voglia svanisce ed il figlio rimane
e tanti ne uccide la fame.
Io, forse, ho confuso il piacere e l'amore,
ma non ho creato dolore.
Il settimo dice "non ammazzare"
se del cielo vuoi essere degno.
guardatela oggi, questa legge di Dio,
tre volte inchiodata nel legno.
guardate la fine di quel nazareno,
e un ladro non muore di meno.
Guardate la fine di quel nazareno,
e un ladro non muore di meno.
Non dire falsa testimonianza
e aiutali a uccidere un uomo.
Lo sanno a memoria il diritto divino
e scordano sempre il perdono.
Ho spergiurato su Dio e sul mio onore
e no, non ne provo dolore.
Ho spergiurato su Dio e sul mio onore
e no, non ne provo dolore.
Non desiderare la roba degli altri,
non desiderarne la sposa.
Ditelo a quelli, chiedetelo ai pochi
che hanno una donna e qualcosa:
nei letti degli altri, già caldi d'amore
non ho provato dolore.
L'invidia di ieri non è già finita:
stasera vi invidio la vita.
Ma adesso che viene la sera ed il buio
mi toglie il dolore dagli occhi
e scivola il sole al di là delle dune
a violentare altre notti:
io nel vedere quest'uomo che muore,
madre, io provo dolore.
Nella pietà che non cede al rancore,
madre, ho imparato l'amore.
Ne "La Mia Ora Di Libertà" troviamo ancora: "E adesso imparo un sacco di cose in mezzo agli altri vestiti uguali, tranne qual è il crimine giusto per non passare da criminali. Ci hanno insegnato la meraviglia verso la gente che ruba il pane, ora sappiamo che è un delitto il non rubare quando si ha fame". Questo messaggio De Andrè lo sostiene per tutta la sua vita, in molteplici forme.Questo per me è il vero cuore, l'anima de Il Testamento Di Tito, ancora di più rispetto alle critiche(dei credenti) verso i comandamenti,o meglio, verso le loro contraddizioni e il cattivo uso che se ne fa. Certamente anche queste critiche sono importanti e Faber utilizza il personaggio del ladrone,disincantato e in pace con se stesso nel momento della morteper esprimere il proprio pensiero riguardo la Chiesa e gli insegnamenti cristiani. Ma il vero messaggio è nel finale quando,dopo essersi sfogato di ogni rabbia verso l'ipocrisia di quelli che l'hanno condannato in base a leggi morali che essi stessi non rispettano,Tito lascia che sia la pietà a guidare il suo cuore negli ultimi istanti,la pietà verso chi,in quel momento,è soltanto un "uomo che muore". Proprio come lui.
Non avrai altro Dio, all'infuori di me,
spesso mi ha fatto pensare:
genti diverse, venute dall'est
dicevan che in fondo era uguale.
Credevano a un altro diverso da te,
e non mi hanno fatto del male.
Credevano a un altro diverso da te
e non mi hanno fatto del male.
Non nominare il nome di Dio,
non nominarlo invano.
Con un coltello piantato nel fianco
gridai la mia pena e il suo nome:
ma forse era stanco, forse troppo occupato
e non ascoltò il mio dolore.
Ma forse era stanco, forse troppo lontano
davvero, lo nominai invano.
Onora il padre. Onora la madre
e onora anche il loro bastone,
bacia la mano che ruppe il tuo naso
perché le chiedevi un boccone:
quando a mio padre si fermò il cuore
non ho provato dolore.
Quando a mio padre si fermò il cuore
non ho provato dolore.
Ricorda di santificare le feste.
Facile per noi ladroni
entrare nei templi che rigurgitan salmi
di schiavi e dei loro padroni
senza finire legati agli altari
sgozzati come animali.
Senza finire legati agli altari
sgozzati come animali.
Il quinto dice "non devi rubare"
e forse io l'ho rispettato
vuotando in silenzio, le tasche già gonfie
di quelli che avevan rubato.
Ma io, senza legge, rubai in nome mio,
quegli altri, nel nome di Dio.
Ma io, senza legge, rubai in nome mio,
quegli altri, nel nome di Dio
Non commettere atti che non siano puri
cioè non disperdere il seme.
Feconda una donna ogni volta che l'ami, così sarai uomo di fede:
poi la voglia svanisce ed il figlio rimane
e tanti ne uccide la fame.
Io, forse, ho confuso il piacere e l'amore,
ma non ho creato dolore.
Il settimo dice "non ammazzare"
se del cielo vuoi essere degno.
guardatela oggi, questa legge di Dio,
tre volte inchiodata nel legno.
guardate la fine di quel nazareno,
e un ladro non muore di meno.
Guardate la fine di quel nazareno,
e un ladro non muore di meno.
Non dire falsa testimonianza
e aiutali a uccidere un uomo.
Lo sanno a memoria il diritto divino
e scordano sempre il perdono.
Ho spergiurato su Dio e sul mio onore
e no, non ne provo dolore.
Ho spergiurato su Dio e sul mio onore
e no, non ne provo dolore.
Non desiderare la roba degli altri,
non desiderarne la sposa.
Ditelo a quelli, chiedetelo ai pochi
che hanno una donna e qualcosa:
nei letti degli altri, già caldi d'amore
non ho provato dolore.
L'invidia di ieri non è già finita:
stasera vi invidio la vita.
Ma adesso che viene la sera ed il buio
mi toglie il dolore dagli occhi
e scivola il sole al di là delle dune
a violentare altre notti:
io nel vedere quest'uomo che muore,
madre, io provo dolore.
Nella pietà che non cede al rancore,
madre, ho imparato l'amore.
7 feb 2011
Khorakhanè (DE ANDRE')
Il cuore rallenta la testa cammina
in quel pozzo di piscio e cemento
a quel campo strappato dal vento
a forza di essere vento
Porto il nome di tutti i battesimi
ogni nome il sigillo di un lasciapassare
per un guado una terra una nuvola un canto
un diamante nascosto nel pane
per un solo dolcissimo umore del sangue
per la stessa ragione del viaggio viaggiare
Il cuore rallenta e la testa cammina
in un buio di giostre in disuso
qualche rom si è fermato italiano
come un rame a imbrunire su un muro
saper leggere il libro del mondo
con parole cangianti e nessuna scrittura
nei sentieri costretti in un palmo di mano
i segreti che fanno paura
finchè un uomo ti incontra e non si riconosce
e ogni terra si accende e si arrende la pace
i figli cadevano dal calendario
Yugoslavia Polonia Ungheria
i soldati prendevano tutti
e tutti buttavano via
e poi Mirka a San Giorgio di maggio
tra le fiamme dei fiori a ridere a bere
e un sollievo di lacrime a invadere gli occhi
e dagli occhi cadere
Ora alzatevi spose bambine
che è venuto il tempo di andare
con le vene celesti dei polsi
anche oggi si va a caritare
e se questo vuol dire rubare
questo filo di pane tra miseria e sfortuna
allo specchio di questa kampina
ai miei occhi limpidi come un addio
lo può dire soltanto chi sa di raccogliere in bocca
il punto di vista di Dio
Cvava sero po tute
i kerava
jek sano ot mori
i taha jek jak kon kasta
vasu ti baro nebo
avi ker
kon ovla so mutavia
kon ovla
ovla kon ascovi
me gava palan ladi
me gava
palan bura ot croiuti
(traduzione pezzo finale)
Poserò la testa sulla tua spalla
e farò
un sogno di mare
e domani un fuoco di legna
perché l'aria azzurra
diventi casa
chi sarà a raccontare
chi sarà
sarà chi rimane
io seguirò questo migrare
seguirò
questa corrente di ali
11 gen 2011
FABRIZIO DE ANDRE’ "Le passanti"
Io dedico questa canzone
ad ogni donna pensata come amore
in un attimo di libertà
a quella conosciuta appena
non c’era tempo e valeva la pena
di perderci un secolo in più.
A quella quasi da immaginare
tanto di fretta l’hai vista passare
dal balcone a un segreto più in là
e ti piace ricordarne il sorriso
che non ti ha fatto e che tu le hai deciso
in un vuoto di felicità.
Alla compagna di viaggio
i suoi occhi il più bel paesaggio
fan sembrare più corto il cammino
e magari sei l’unico a capirla
e la fai scendere senza seguirla
senza averle sfiorato la mano.
A quelle che sono già prese
e che vivendo delle ore deluse
con un uomo ormai troppo cambiato
ti hanno lasciato, inutile pazzia,
vedere il fondo della malinconia
di un avvenire disperato.
Immagini care per qualche istante
sarete presto una folla distante
scavalcate da un ricordo più vicino
per poco che la felicità ritorni
è molto raro che ci si ricordi
degli episodi del cammino.
Ma se la vita smette di aiutarti
è più difficile dimenticarti
di quelle felicità intraviste
dei baci che non si è osato dare
delle occasioni lasciate ad aspettare
degli occhi mai più rivisti.
Allora nei momenti di solitudine
quando il rimpianto diventa abitudine,
una maniera di viversi insieme,
si piangono le labbra assenti
di tutte le belle passanti
che non siamo riusciti a trattenere.
Ricordando De Andrè 18/02/1940 - 11/01/1999
l'11 gennaio 1999 è una delle date più tristi della musica italiana:a Milano moriva per un tumore Fabrizio De André!!Sapete quanto sia importante per me questo grande artista,tante volte in questo spazio ho parlato di lui(ho una sezione dedicata proprio a Faber ),dei suoi album delle sue poesie,sì poesie perchè i testi delle sue canzoni sono vere e proprie poesie,era un'artista che più di ogni altro nel nostro Paese ha dato al termine di cantautore un significato universale.La sua eredità artistica è incalcolabile..
Fabrizio ha cantato 40 anni della storia del nostro paese,l'ha fatto con i suoi vizi,le sue debolezze,i problemi,le sue particolarità,ci ha raccontato l'Italia come nessuno la mai fatto,e noi tutti dobbiamo tanto a Faber per tutto l’amore che ha dato a chi ne aveva bisogno,a chi non l’ebbe mai,perchè lui “s’innamorò di tutti noi, non proprio di qualcuno,non solo di qualcuno.Spesso mi chiedo cosa avrebbe pensato di questa epoca così brutta e senza valori e cosa avrebbe detto di un paese che è molto peggiorato da quando lui ci ha lasciato,lui che sapeva scrivere così bene di altruismo,uguaglianza, rispetto e di quell'Amore che solo una mente libera e un cuore pulito possono concepire,solo chi non ha in sé malignità e malvagità puo'capire quanto sia importante non mettere regole e paletti laddove non servono. Sicuramente ci avrebbe regalato altre canzono e di certo l’avrebbe fatto con la grande sincerità che l’ha sempre contraddistinto, con ironia,con tanta passione e,certamente,con grande poesia. Anche se lui se nè andato,ci resta un grande patrimonio umano e artistico e ci resta la sua voce splendida le “parole cangianti” di una voce libera e libertaria.
Nel 1945 la famiglia De André torna a Genova, stabilendosi nel nuovo appartamento di Via Trieste 8. Nell'ottobre del 1946 il piccolo Fabrizio viene iscritto alla scuola elementare presso l'Istituto delle suore Marcelline (da lui ribattezzate "porcelline") dove inizia a manifestare il suo temperamento ribelle e anticonformista. Gli espliciti segnali di insofferenza alla disciplina da parte del figlio inducono in seguito i coniugi De André a ritirarlo dalla struttura privata per iscriverlo in una scuola statale, l'Armando Diaz. Nel 1948, constatata la particolare predisposizione del figlio, i genitori di Fabrizio, estimatori di musica classica, decidono di fargli studiare il violino affidandolo alle mani del maestro Gatti, il quale individua subito il talento del giovane allievo.
Nel '51 De André inizia la frequentazione della scuola media Giovanni Pascoli ma una sua bocciatura, in seconda, fa infuriare il padre in maniera tale che lo demanda, per l'educazione, ai severissimi gesuiti dell'Arecco. Finirà poi le medie al Palazzi. Nel 1954, sul piano musicale, affronta anche lo studio della chitarra con il maestro colombiano Alex Giraldo. E'dell'anno dopo la prima esibizione in pubblico a uno spettacolo di beneficenza organizzato al Teatro Carlo Felice dall'Auxilium di Genova. Il suo primo gruppo suona genere country e western, girando per club privati e feste ma Fabrizio si avvicina poco dopo alla musica jazz e, nel '56, scopre la canzone francese nonchè quella trobadorica medievale. Di ritorno dalla Francia il padre gli porta in regalo due 78 giri di Georges Brassens del quale il musicista in erba inizia a tradurne alcuni testi.
Seguono gli studi ginnasiali, liceali ed infine universitari (facoltà di giurisprudenza), interrotti a sei esami dalla fine. Il suo primo disco esce nel '58 (l'ormai dimenticato singolo "Nuvole barocche"), seguito da altri episodi a 45 giri, ma la svolta artistica matura diversi anni dopo, quando Mina gli incide "La Canzone di Marinella", che si trasforma in un grande successo. Tra i suoi amici di allora ci sono Gino Paoli, Luigi Tenco, Paolo Villaggio. Nel 1962 sposa Enrica Rignon e nasce il figlio Cristiano. Sono i modelli americani e francesi del tempo a stregare il giovane cantautore che s'accompagna con la chitarra acustica, che si batte contro l'ipocrisia bigotta e le convenzioni borghesi imperanti, in brani diventati poi storici come "La Guerra di Piero", "Bocca di Rosa", "Via del Campo".
Seguirono altri album, accolti con entusiasmo da un pugno di cultori ma passati sotto silenzio dalla critica. Così come la stessa sorte segnò album stupendi come "La buona novella" (del 1970, una rilettura dei vangeli apocrifi), e "Non al denaro né all'amore nè al cielo", l'adattamento dell'Antologia di Spoon River, firmato insieme con Fernanda Pivano, senza dimenticare "Storia di un impiegato" profondo lavoro di marca pacifista. Solo dal 1975 De André, schivo e taciturno, accetta di esibirsi in tour. Nel 1977 nasce Luvi, la seconda figlia dalla compagna Dori Ghezzi. Proprio la bionda cantante e De André vengono rapiti dall'anonima sarda, nella loro villa di Tempio Pausania nel 1979
Il sequestro dura quattro mesi e porta alla realizzazione dell'"Indiano" nel 1981 dove la cultura sarda dei pastori viene accostata a quella dei nativi d'America. La consacrazione internazionale arriva con "Creuza de ma", nel 1984 dove il dialetto ligure e l'atmosfera sonora mediterranea raccontano odori, personaggi e storie di porto. Il disco segna una pietra miliare per l'allora nascente world music italiana ed e' premiato dalla critica come miglior album dell'anno e del decennio. Nel 1988 sposa la compagna Dori Ghezzi, e nel 1989 intraprende una collaborazione con Ivano Fossati (da cui nascono brani come "Questi posti davanti al mare"). Nel 1990 pubblica "Le nuvole", grande successo di vendite e di critica, che è accompagnato da un tour trionfale. Segue l'album live del '91 e il tour teatrale del 1992, poi un silenzio di quattro anni, interrotto solo nel 1996, quando torna sul mercato discografico con "Anime Salve", altro disco molto amato dalla critica e dal pubblico. L'11 gennaio 1999 Fabrizio De André muore a Milano, stroncato da un male incurabile. I suoi funerali si svolgono il 13 gennaio a Genova alla presenza di oltre diecimila persone.
Fabrizio ha cantato 40 anni della storia del nostro paese,l'ha fatto con i suoi vizi,le sue debolezze,i problemi,le sue particolarità,ci ha raccontato l'Italia come nessuno la mai fatto,e noi tutti dobbiamo tanto a Faber per tutto l’amore che ha dato a chi ne aveva bisogno,a chi non l’ebbe mai,perchè lui “s’innamorò di tutti noi, non proprio di qualcuno,non solo di qualcuno.Spesso mi chiedo cosa avrebbe pensato di questa epoca così brutta e senza valori e cosa avrebbe detto di un paese che è molto peggiorato da quando lui ci ha lasciato,lui che sapeva scrivere così bene di altruismo,uguaglianza, rispetto e di quell'Amore che solo una mente libera e un cuore pulito possono concepire,solo chi non ha in sé malignità e malvagità puo'capire quanto sia importante non mettere regole e paletti laddove non servono. Sicuramente ci avrebbe regalato altre canzono e di certo l’avrebbe fatto con la grande sincerità che l’ha sempre contraddistinto, con ironia,con tanta passione e,certamente,con grande poesia. Anche se lui se nè andato,ci resta un grande patrimonio umano e artistico e ci resta la sua voce splendida le “parole cangianti” di una voce libera e libertaria.
BIOGRAFIA
Fabrizio De André nasce il 18 febbraio 1940 a Genova (Pegli) in Via De Nicolay 12 da Luisa Amerio e Giuseppe De André, professore in alcuni istituti privati da lui diretti. Nella primavera del 1941 il professor De André, antifascista, visto l'aggravarsi della situazione a causa della guerra, si reca nell'Astigiano alla ricerca di un cascinale ove far rifugiare i propri familiari e acquista nei pressi di Revignano d'Asti, in strada Calunga, la Cascina dell'Orto ove Fabrizio trascorre parte della propria infanzia con la madre e il fratello Mauro, maggiore di quattro anni. Qui il piccolo "Bicio" - come viene soprannominato impara a conoscere tutti gli aspetti della vita contadina, integrandosi con le persone del luogo e facendosi benvolere dalle stesse. E' proprio in tale contesto che cominciano a manifestare i primi segni di interesse per la musica: un giorno la madre lo trova in piedi su una sedia, con la radio accesa, intento a dirigere un brano sinfonico a mò di direttore d'orchestra. In effetti, la leggenda narra che si trattasse del "Valzer campestre" del celebre direttore d'orchestra e compositore Gino Marinuzzi, dal quale, oltre venticinque anni dopo, Fabrizio trarrà ispirazione per la canzone "Valzer per un amore". Nel 1945 la famiglia De André torna a Genova, stabilendosi nel nuovo appartamento di Via Trieste 8. Nell'ottobre del 1946 il piccolo Fabrizio viene iscritto alla scuola elementare presso l'Istituto delle suore Marcelline (da lui ribattezzate "porcelline") dove inizia a manifestare il suo temperamento ribelle e anticonformista. Gli espliciti segnali di insofferenza alla disciplina da parte del figlio inducono in seguito i coniugi De André a ritirarlo dalla struttura privata per iscriverlo in una scuola statale, l'Armando Diaz. Nel 1948, constatata la particolare predisposizione del figlio, i genitori di Fabrizio, estimatori di musica classica, decidono di fargli studiare il violino affidandolo alle mani del maestro Gatti, il quale individua subito il talento del giovane allievo.
Nel '51 De André inizia la frequentazione della scuola media Giovanni Pascoli ma una sua bocciatura, in seconda, fa infuriare il padre in maniera tale che lo demanda, per l'educazione, ai severissimi gesuiti dell'Arecco. Finirà poi le medie al Palazzi. Nel 1954, sul piano musicale, affronta anche lo studio della chitarra con il maestro colombiano Alex Giraldo. E'dell'anno dopo la prima esibizione in pubblico a uno spettacolo di beneficenza organizzato al Teatro Carlo Felice dall'Auxilium di Genova. Il suo primo gruppo suona genere country e western, girando per club privati e feste ma Fabrizio si avvicina poco dopo alla musica jazz e, nel '56, scopre la canzone francese nonchè quella trobadorica medievale. Di ritorno dalla Francia il padre gli porta in regalo due 78 giri di Georges Brassens del quale il musicista in erba inizia a tradurne alcuni testi.
Seguono gli studi ginnasiali, liceali ed infine universitari (facoltà di giurisprudenza), interrotti a sei esami dalla fine. Il suo primo disco esce nel '58 (l'ormai dimenticato singolo "Nuvole barocche"), seguito da altri episodi a 45 giri, ma la svolta artistica matura diversi anni dopo, quando Mina gli incide "La Canzone di Marinella", che si trasforma in un grande successo. Tra i suoi amici di allora ci sono Gino Paoli, Luigi Tenco, Paolo Villaggio. Nel 1962 sposa Enrica Rignon e nasce il figlio Cristiano. Sono i modelli americani e francesi del tempo a stregare il giovane cantautore che s'accompagna con la chitarra acustica, che si batte contro l'ipocrisia bigotta e le convenzioni borghesi imperanti, in brani diventati poi storici come "La Guerra di Piero", "Bocca di Rosa", "Via del Campo".
Seguirono altri album, accolti con entusiasmo da un pugno di cultori ma passati sotto silenzio dalla critica. Così come la stessa sorte segnò album stupendi come "La buona novella" (del 1970, una rilettura dei vangeli apocrifi), e "Non al denaro né all'amore nè al cielo", l'adattamento dell'Antologia di Spoon River, firmato insieme con Fernanda Pivano, senza dimenticare "Storia di un impiegato" profondo lavoro di marca pacifista. Solo dal 1975 De André, schivo e taciturno, accetta di esibirsi in tour. Nel 1977 nasce Luvi, la seconda figlia dalla compagna Dori Ghezzi. Proprio la bionda cantante e De André vengono rapiti dall'anonima sarda, nella loro villa di Tempio Pausania nel 1979
Il sequestro dura quattro mesi e porta alla realizzazione dell'"Indiano" nel 1981 dove la cultura sarda dei pastori viene accostata a quella dei nativi d'America. La consacrazione internazionale arriva con "Creuza de ma", nel 1984 dove il dialetto ligure e l'atmosfera sonora mediterranea raccontano odori, personaggi e storie di porto. Il disco segna una pietra miliare per l'allora nascente world music italiana ed e' premiato dalla critica come miglior album dell'anno e del decennio. Nel 1988 sposa la compagna Dori Ghezzi, e nel 1989 intraprende una collaborazione con Ivano Fossati (da cui nascono brani come "Questi posti davanti al mare"). Nel 1990 pubblica "Le nuvole", grande successo di vendite e di critica, che è accompagnato da un tour trionfale. Segue l'album live del '91 e il tour teatrale del 1992, poi un silenzio di quattro anni, interrotto solo nel 1996, quando torna sul mercato discografico con "Anime Salve", altro disco molto amato dalla critica e dal pubblico. L'11 gennaio 1999 Fabrizio De André muore a Milano, stroncato da un male incurabile. I suoi funerali si svolgono il 13 gennaio a Genova alla presenza di oltre diecimila persone.
4 gen 2011
Amico fragile... De andrè
Stasera la cara Vanessa mi ha fatto ricordare l'album tributo a De Andrè del 2003 "Amico fragile" per la precisione le tracce dell'album sono riprese dal concerto del 2000 a Genova...e quella sera salirono sul palco i più grandi della musica italiana,da Battiato a Celentano,Fiorella mannoia,Vecchioni e tanti altri tra cui Vasco Rossi che interpreto proprio "Anima Fragile" una delle canzoni che Faber adorava di più,e da cui prende il nome l'intera opera tributo...Faber l'ha scrisse durante una sua vacanza in Sardegna canzone completamente autobiografica alla quale come dicevo Fabrizio è sempre stato molto attaccato,riproponendola in tutti i suoi concerti,con un arrangiamento a volte leggermente modificato ed il finale che diventa spesso: "per raggiungere un posto che si chiamasse / Anarchia" invece dell'originale "Arrivederci". Nacque in un momento di rabbia e di come dicevo di alcol, dopo una serata in compagnia di persone con le quali avrebbe voluto discutere di ciò che stava succedendo in Italia in quel periodo; in particolare le dichiarazioni di Paolo VI sull'esistenza del diavolo e sugli esorcismi. La gente insisteva perché lui suonasse anche quella sera; così, evaporato in una nuvola rossa, se ne andò a rintanarsi dove non poteva essere disturbato e compose questa canzone in una sola notte. È la riflessione sulla fragilità dei rapporti umani, ma, nello stesso tempo, sulla necessità di averne e quindi sul senso di vuoto che nasce quando questi vengono meno o restano superficiali. Il risultato è una dichiarazione di amore-odio di un borghese pentito alla propria gente.Si sentiva come se avesse perso di vista i suoi ideali (l'anarchia), si ritrovò contornato da persone ipocrite, i "borghesi" che aveva sempre criticato.Poi si aggiungono i problemi familiari (il divorzio) e la dipendenza dall'alcool (che supererà dopo la morte del padre).
Lo stesso De Andrè raccontava:
Amico fragile è nata così: quando ero ancora con la mia prima moglie, fui invitato una sera a Portobello di Gallura, dove m'ero fatto una casa nel '69, in uno di questi ghetti della costa nord sarda: d'estate arrivavano tutti, romani, milanesi... in questo parco residenziale, e m'invitavano la sera che per me finiva sempre col chiudersi puntualmente con la chitarra in mano. Una sera ho tentato di dire: "Perché piuttosto non parliamo di...". Era il periodo, ricordo, che Paolo VI se n'era venuto fuori con la faccenda - ripresa poi mi pare da quest'altro qui, della stessa pasta - degli esorcismi. Insomma dico: "Parliamo un po' di quello che sta succedendo in Italia..."; nemmeno per sogno, io dovevo suonare. Allora mi sono proprio rotto i coglioni, mi sono ubriacato sconciamente, ho insultato tutti, me ne sono tornato a casa e ho scritto Amico fragile. L'ho scritta da sbronzo, in un'unica notte. Ricordo che erano circa le otto del mattino, mia moglie mi cercava, non mi trovava né a letto né da nessun'altra parte: c'era infatti una specie di buco a casa nostra, che era poi una dispensa priva anche di mobili, dove m'ero rifugiato e mi hanno trovato lì che stavo finendo proprio questa canzone.
Evaporato in una nuvola rossa
in una delle molte feritoie della notte
con un bisogno d'attenzione e d'amore
troppo, "Se mi vuoi bene piangi "
per essere corrisposti,
valeva la pena divertirvi le serate estive
con un semplicissimo "Mi ricordo":
per osservarvi affittare un chilo d'era
ai contadini in pensione e alle loro donne
e regalare a piene mani oceani
ed altre ed altre onde ai marinai in servizio,
fino a scoprire ad uno ad uno i vostri nascondigli
senza rimpiangere la mia credulità:
perché già dalla prima trincea
ero più curioso di voi,
ero molto più curioso di voi.
E poi sorpreso dai vostri "Come sta"
meravigliato da luoghi meno comuni e più feroci,
tipo "Come ti senti amico, amico fragile,
se vuoi potrò occuparmi un'ora al mese di te"
"Lo sa che io ho perduto due figli"
"Signora lei è una donna piuttosto distratta."
E ancora ucciso dalla vostra cortesia
nell'ora in cui un mio sogno
ballerina di seconda fila,
agitava per chissà quale avvenire
il suo presente di seni enormi
e il suo cesareo fresco,
pensavo è bello che dove finiscono le mie dita
debba in qualche modo incominciare una chitarra.
E poi seduto in mezzo ai vostri arrivederci,
mi sentivo meno stanco di voi
ero molto meno stanco di voi.
Potevo stuzzicare i pantaloni della sconosciuta
fino a farle spalancarsi la bocca.
Potevo chiedere ad uno qualunque dei miei figli
di parlare ancora male e ad alta voce di me.
Potevo barattare la mia chitarra e il suo elmo
con una scatola di legno che dicesse perderemo.
Potevo chiedere come si chiama il vostro cane
Il mio è un po' di tempo che si chiama Libero.
Potevo assumere un cannibale al giorno
per farmi insegnare la mia distanza dalle stelle.
Potevo attraversare litri e litri di corallo
per raggiungere un posto che si chiamasse arrivederci.
E mai che mi sia venuto in mente,
di essere più ubriaco di voi
di essere molto più ubriaco di voi.
Lo stesso De Andrè raccontava:
Amico fragile è nata così: quando ero ancora con la mia prima moglie, fui invitato una sera a Portobello di Gallura, dove m'ero fatto una casa nel '69, in uno di questi ghetti della costa nord sarda: d'estate arrivavano tutti, romani, milanesi... in questo parco residenziale, e m'invitavano la sera che per me finiva sempre col chiudersi puntualmente con la chitarra in mano. Una sera ho tentato di dire: "Perché piuttosto non parliamo di...". Era il periodo, ricordo, che Paolo VI se n'era venuto fuori con la faccenda - ripresa poi mi pare da quest'altro qui, della stessa pasta - degli esorcismi. Insomma dico: "Parliamo un po' di quello che sta succedendo in Italia..."; nemmeno per sogno, io dovevo suonare. Allora mi sono proprio rotto i coglioni, mi sono ubriacato sconciamente, ho insultato tutti, me ne sono tornato a casa e ho scritto Amico fragile. L'ho scritta da sbronzo, in un'unica notte. Ricordo che erano circa le otto del mattino, mia moglie mi cercava, non mi trovava né a letto né da nessun'altra parte: c'era infatti una specie di buco a casa nostra, che era poi una dispensa priva anche di mobili, dove m'ero rifugiato e mi hanno trovato lì che stavo finendo proprio questa canzone.
Evaporato in una nuvola rossa
in una delle molte feritoie della notte
con un bisogno d'attenzione e d'amore
troppo, "Se mi vuoi bene piangi "
per essere corrisposti,
valeva la pena divertirvi le serate estive
con un semplicissimo "Mi ricordo":
per osservarvi affittare un chilo d'era
ai contadini in pensione e alle loro donne
e regalare a piene mani oceani
ed altre ed altre onde ai marinai in servizio,
fino a scoprire ad uno ad uno i vostri nascondigli
senza rimpiangere la mia credulità:
perché già dalla prima trincea
ero più curioso di voi,
ero molto più curioso di voi.
E poi sorpreso dai vostri "Come sta"
meravigliato da luoghi meno comuni e più feroci,
tipo "Come ti senti amico, amico fragile,
se vuoi potrò occuparmi un'ora al mese di te"
"Lo sa che io ho perduto due figli"
"Signora lei è una donna piuttosto distratta."
E ancora ucciso dalla vostra cortesia
nell'ora in cui un mio sogno
ballerina di seconda fila,
agitava per chissà quale avvenire
il suo presente di seni enormi
e il suo cesareo fresco,
pensavo è bello che dove finiscono le mie dita
debba in qualche modo incominciare una chitarra.
E poi seduto in mezzo ai vostri arrivederci,
mi sentivo meno stanco di voi
ero molto meno stanco di voi.
Potevo stuzzicare i pantaloni della sconosciuta
fino a farle spalancarsi la bocca.
Potevo chiedere ad uno qualunque dei miei figli
di parlare ancora male e ad alta voce di me.
Potevo barattare la mia chitarra e il suo elmo
con una scatola di legno che dicesse perderemo.
Potevo chiedere come si chiama il vostro cane
Il mio è un po' di tempo che si chiama Libero.
Potevo assumere un cannibale al giorno
per farmi insegnare la mia distanza dalle stelle.
Potevo attraversare litri e litri di corallo
per raggiungere un posto che si chiamasse arrivederci.
E mai che mi sia venuto in mente,
di essere più ubriaco di voi
di essere molto più ubriaco di voi.
19 dic 2010
La leggenda di Natale ...Fabrizio De Andrè
Parlavi alla luna giocavi coi fiori
avevi l'età che non porta dolori
e il vento era un mago, la rugiada una dea,
nel bosco incantato di ogni tua idea.
E venne l'inverno che uccide il colore
e un babbo Natale che parlava d'amore
e d'oro e d'argento splendevano i doni
ma gli occhi eran freddi e non erano buoni.
Coprì le tue spalle d'argento e di lana
di pelle e smeraldi intrecciò una collana
e mentre incantata lo stavi a guardare
dai piedi ai capelli ti volle baciare.
E adesso che gli altri ti chiamano dea
l'incanto è svanito da ogni tua idea
ma ancora alla luna vorresti narrare
la storia d'un fiore appassito a Natale.
Dall'album "tutti morirono a stento" Faber per questo pezzo prese ispirazione da Georges Brassens,"Le pèrre noel et la petite fille
7 dic 2010
De Andrè "Via del campo"
Sapete quanto amo la musica di Faber,a mio parere è il poeta-cantautore che più di ogni altro ha saputo esprimere l'attenzione per i diversi, gli emarginati, i rifiutati dalla società, i poveri della terra...Ha saputo raccontare storie individuali e collettive, con la sua anarchia semplice e intensa...Storie di esclusi,di umiliati,di antimilitarismo,di ribellione ai codici imposti dalla morale e dalla religione...Parole e poesie che sono entrate nei cuori di tutti,senza differenze generazionali, abbattendo con la sua irriverenza il perbenismo di chi anteponeva l'apparire all'essere...Uomo schivo,lontano dai riflettori,ci ha raccontato una società malata di luoghi comuni,di atteggiamenti preconfezionati, di chiusure mentali...Ci ha fatto conoscere personaggi grotteschi ma vivi,reali,di straccioni,di puttane,di amori sbagliati e amori profondi,sacrificati alla morte e rassegnati alla vita...
Oggi voglio proporre "Via del campo"
Via del campo è una delle mie preferite, è una canzone molto corta,però con un testo bellissimo!!! leggendo potrebbe sembrare che si parli di persone diverse (graziosa, bambina, puttana), in realtà la persona è sempre la stessa. Infatti via del campo è una stradina malfamata di Genova, piena di travestiti prostitute e gente povera che vive di espedienti illegali. Gli aggettivi utilizzati dal cantautore sono usati per rappresentare il candore, la purezza (graziosa, bambina, rugiada) e le gioie che la donna può donare (sorriso paradiso). La protagonista è prima una graziosa, cioè una bella ragazza, ma triste (via del campo c’è una graziosa, gli occhi grandi color di foglia). Prima una bambina innocente ma povera (via del campo c’è una bambina, con le labbra color rugiada, gli occhi grigi come la strada) che però, nonostante questo, è in grado di fare cose belle (nascon fiori dove cammina). Infatti i fiori rappresentano la bellezza, la giovinezza, la passione e la felicità. Poi c’è una puttana, che è l’aspetto più evidente della protagonista della canzone, che è malinconica perché non è li per sua scelta (via del campo c’è una puttana, gli occhi grandi color di foglia) ma è costretta a essere docile e a non negarsi a nessuno (se di amarla ti vien la voglia, basta prenderla per la mano, e ti sembra di andar lontano).È una persona che nonostante sia triste e non le piaccia la vita che fa, è costretta a mentire con il corpo e con le parole, mostrandosi allegra e sorridente (lei ti guarda con un sorriso). Lei è malinconica perché non è la vita vuole ma è costretta a viverla. Non può, anche se vuole, averne un’altra anche se ne avesse l’opportunità (via del campo ci va un illuso a pregarla di maritare, a vederla salir le scale, fino a quando il balcone è chiuso).
La duplice ma inscindibile metafora finale sottolinea da un lato il giudizio di positività che De André esprime per quel mondo umile e reietto (letame), ma pieno di umanità e passione, cui la giovane prostituta appartiene; e d'altro lato formula la condanna al vuoto e all'insensatezza del mondo ricco e benestante,ma ipocrita e freddo (diamanti).Com'è stato notato, "mai per De André la prostituta è veramente colpevole; la colpa semmai è dalla parte di chi profitta dei suoi servigi
Via del Campo c'è una graziosa
gli occhi grandi color di foglia
tutta notte sta sulla soglia
vende a tutti la stessa rosa.
Via del Campo c'è una bambina
con le labbra color rugiada
gli occhi grigi come la strada
nascon fiori dove cammina.
Via del Campo c'è una puttana
gli occhi grandi color di foglia
se di amarla ti vien la voglia
basta prenderla per la mano
e ti sembra di andar lontano
lei ti guarda con un sorriso
non credevi che il paradiso
fosse solo lì al primo piano.
Via del Campo ci va un illuso
a pregarla di maritare
a vederla salir le scale
fino a quando il balcone ha chiuso.
Ama e ridi se amor risponde
piangi forte se non ti sente
dai diamanti non nasce niente
dal letame nascono i fior
dai diamanti non nasce niente
dal letame nascono i fior.
Oggi voglio proporre "Via del campo"
Via del campo è una delle mie preferite, è una canzone molto corta,però con un testo bellissimo!!! leggendo potrebbe sembrare che si parli di persone diverse (graziosa, bambina, puttana), in realtà la persona è sempre la stessa. Infatti via del campo è una stradina malfamata di Genova, piena di travestiti prostitute e gente povera che vive di espedienti illegali. Gli aggettivi utilizzati dal cantautore sono usati per rappresentare il candore, la purezza (graziosa, bambina, rugiada) e le gioie che la donna può donare (sorriso paradiso). La protagonista è prima una graziosa, cioè una bella ragazza, ma triste (via del campo c’è una graziosa, gli occhi grandi color di foglia). Prima una bambina innocente ma povera (via del campo c’è una bambina, con le labbra color rugiada, gli occhi grigi come la strada) che però, nonostante questo, è in grado di fare cose belle (nascon fiori dove cammina). Infatti i fiori rappresentano la bellezza, la giovinezza, la passione e la felicità. Poi c’è una puttana, che è l’aspetto più evidente della protagonista della canzone, che è malinconica perché non è li per sua scelta (via del campo c’è una puttana, gli occhi grandi color di foglia) ma è costretta a essere docile e a non negarsi a nessuno (se di amarla ti vien la voglia, basta prenderla per la mano, e ti sembra di andar lontano).È una persona che nonostante sia triste e non le piaccia la vita che fa, è costretta a mentire con il corpo e con le parole, mostrandosi allegra e sorridente (lei ti guarda con un sorriso). Lei è malinconica perché non è la vita vuole ma è costretta a viverla. Non può, anche se vuole, averne un’altra anche se ne avesse l’opportunità (via del campo ci va un illuso a pregarla di maritare, a vederla salir le scale, fino a quando il balcone è chiuso).
La duplice ma inscindibile metafora finale sottolinea da un lato il giudizio di positività che De André esprime per quel mondo umile e reietto (letame), ma pieno di umanità e passione, cui la giovane prostituta appartiene; e d'altro lato formula la condanna al vuoto e all'insensatezza del mondo ricco e benestante,ma ipocrita e freddo (diamanti).Com'è stato notato, "mai per De André la prostituta è veramente colpevole; la colpa semmai è dalla parte di chi profitta dei suoi servigi
Via del Campo c'è una graziosa
gli occhi grandi color di foglia
tutta notte sta sulla soglia
vende a tutti la stessa rosa.
Via del Campo c'è una bambina
con le labbra color rugiada
gli occhi grigi come la strada
nascon fiori dove cammina.
Via del Campo c'è una puttana
gli occhi grandi color di foglia
se di amarla ti vien la voglia
basta prenderla per la mano
e ti sembra di andar lontano
lei ti guarda con un sorriso
non credevi che il paradiso
fosse solo lì al primo piano.
Via del Campo ci va un illuso
a pregarla di maritare
a vederla salir le scale
fino a quando il balcone ha chiuso.
Ama e ridi se amor risponde
piangi forte se non ti sente
dai diamanti non nasce niente
dal letame nascono i fior
dai diamanti non nasce niente
dal letame nascono i fior.
22 nov 2010
De Andrè "Poesie"
NUVOLE
Vanno
vengono
ogni tanto si fermano
e quando si fermano
sono nere come il corvo
sembra che ti guardano con malocchio
Certe volte sono bianche
e corrono
e prendono la forma dell’airone
o della pecora
o di qualche altra bestia
ma questo lo vedono meglio i bambini
che giocano a corrergli dietro per tanti metri
Certe volte ti avvisano con rumore
prima di arrivare
e la terra si trema
e gli animali si stanno zitti
certe volte ti avvisano con rumore
Vanno
vengono
ritornano
e magari si fermano tanti giorni
che non vedi più il sole e le stelle
e ti sembra di non conoscere più
il posto dove stai
Vanno
vengono
per una vera
mille sono finte
e si mettono li tra noi e il cielo
per lasciarci soltanto una voglia di pioggia.
La poesia è la musica dell'anima...
Tutto possiede in sè della poesia.
I poeti altro non sono che dei musicisti
che suonano le melodie che
provengono dal cuore,
con strumenti diversi da quelli convenzionali..
Uomini che sanno trarre dalle cose
un significato profondo,
un afflato sensibile solo a pochi,
non percepibile da tutti
e lo trasformano in parole...
Alchimisti dell'anima
Vanno
vengono
ogni tanto si fermano
e quando si fermano
sono nere come il corvo
sembra che ti guardano con malocchio
Certe volte sono bianche
e corrono
e prendono la forma dell’airone
o della pecora
o di qualche altra bestia
ma questo lo vedono meglio i bambini
che giocano a corrergli dietro per tanti metri
Certe volte ti avvisano con rumore
prima di arrivare
e la terra si trema
e gli animali si stanno zitti
certe volte ti avvisano con rumore
Vanno
vengono
ritornano
e magari si fermano tanti giorni
che non vedi più il sole e le stelle
e ti sembra di non conoscere più
il posto dove stai
Vanno
vengono
per una vera
mille sono finte
e si mettono li tra noi e il cielo
per lasciarci soltanto una voglia di pioggia.
La poesia è la musica dell'anima...
Tutto possiede in sè della poesia.
I poeti altro non sono che dei musicisti
che suonano le melodie che
provengono dal cuore,
con strumenti diversi da quelli convenzionali..
Uomini che sanno trarre dalle cose
un significato profondo,
un afflato sensibile solo a pochi,
non percepibile da tutti
e lo trasformano in parole...
Alchimisti dell'anima
14 nov 2010
DE ANDRE' "Una storia sbagliata"
Nel millenovecentottanta uscì il singolo “Una Storia Sbagliata”di Fabrizio De Andrè dedicato a Pier Paolo Pasolini, il cui tema portante era proprio la brutale morte dell’artista.Questa canzone non è mai stata pubblicata su alcun album,è possibile reperirla solo nel cofanetto "Fabrizio De Andrè" che dovrebbe contenere l'opera omnia..Come dicevo uscì nel 1980 su 45 giri, il lato b era un'altra canzone inedita di De Andrè che si intitolava "Titti" (se qualcuno di voi ce l'ha si faccia vivo).Non si può negare che delle molte cose che sono riuscite bene al cantautore genovese nel corso della propria carriera è stata proprio quella di trovare le parole giuste per parlare di ogni cosa.Avvenne lo stesso anche per quanto riguarda la tragica morte di Pasolini, alla quale i versi di Fabrizio De Andrè non possono far altro che rendere giustizia.La morte del grande regista e scrittore novecentesco è stata davvero “una storia sbagliata”....Pasolini è stato ucciso dal mondo delle periferie romane che erano state sviscerate,analizzate, ricostruite minuziosamente dai suoi film e dai suoi libri. La sua morte potrebbe essere un racconto non scritto, l’epilogo di un ultimo libro che non ha trovato spazio fra le opere cartacee di Pasolini: la storia della sua vita, del suo dolore, della sua condizione d’intellettuale discriminato, incompreso, solo,e la sua fine che lascia tanti lati oscuri e tanti dubbi....
Il testo della canzone reca una traccia chiara di questi dubbi... infatti,non sarà un caso se De Andrè canta di “una storia mica male insabbiata” e di “una storia da non raccontare”. E c’è un altro riferimento: quello all’eventualità di un movente politico: “è una storia vestita di nero”Questa canzone è una serie di impressioni sul tempo di quella notte e su quello di una vita intera, macchiata da quell’onta indelebile dell’omosessualità. E così che De Andrè racconta di “una storia di periferia”, di “una storia da una botta e via”, di una “storia diversa per gente normale”, e di una “storia comune per gente speciale”. Una serie di pennellate che sfiorano anche quel “fiume di inchiostro” nel quale la storia terminò, trasformandosi per questo, diceva il cantautore, in un succulento boccone per le riviste patinate da leggersi dal parrucchiere.
Cosa aggiungere sapete che De Andrè è il mio cantante italiano preferito e Pasolini il mio scrittore italiano del dopoguerra preferito,ragion per cui dopo questa riflessione vorrei far parlare direttamente De Andrè con il suo pezzo:
UNA STORIA SBAGLIATA
E' una storia da dimenticare
e' una storia da non raccontare
e' una storia un po' complicata
e' una storia sbagliata.
Comincio' con la luna sul posto
e fini' con un fiume d'inchiostro
e' una storia un poco scontata
e' una storia sbagliata.
Storia diversa per gente normale
storia comune per gente speciale
cos'altro vi serve da queste vite
ora che il cielo al centro le ha colpite
ora che il cielo ai bordi le ha scolpite.
E' una storia di periferia
e' una storia da una botta e via
e' una storia sconclusionata
una storia sbagliata.
Una spiaggia ai piedi del letto
stazione Termini ai piedi del cuore
una notte un po' concitata
una notte sbagliata.
Notte diversa per gente normale
notte comune per gente speciale
cos'altro ti serve da queste vite
ora che il cielo al centro le ha colpite
ora che il cielo ai bordi le ha scolpite.
E' una storia vestita di nero
e' una storia da basso impero
e' una storia mica male insabbiata
e' una storia sbagliata.
E' una storia da carabinieri
e' una storia per parrucchieri
e' una storia un po' sputtanata
o e' una storia sbagliata.
Storia diversa per gente normale
storia comune per gente speciale
cos'altro vi serve da queste vite
ora che il cielo al centro le ha colpite
ora che il cielo ai bordi le ha scolpite.
Per il segno che c'e' rimasto
non ripeterci quanto ti spiace
non ci chiedere piu' come e' andata
tanto lo sai che e' una storia sbagliata
tanto lo sai che e' una storia sbagliata.
L'INTERVISTA A FABRIZIO DE ANDRE':
È una canzone su commissione, forse l'unica che mi è stata commissionata. Mi fu chiesta da Franco Biancacci, a quel tempo a Rai Due, come sigla di due documentari-inchiesta sulle morti di Pasolini e di Wilma Montesi. In quel tempo, se non ricordo male, stavo cominciando a scrivere con Massimo Bubola l'ellepì che fu fu chiamato L'indiano (quello per intenderci che ha come copertina quel quadro di Remington che rappresenta un indiano a cavallo). E così gli ho chiesto di collaborare anche a questo lavoro. Ricordo che decidemmo tout-court di fare la canzone su Pasolini, e non tanto perché non ci importasse niente della morte della povera Montesi, ma per il fatto che a noi che scrivevamo canzoni, come credo d'altra parte a tutti coloro che si sentivano in qualche misura legati al mondo della letteratura e dello spettacolo, la morte di Pasolini ci aveva resi quasi come orfani. Ne avevamo vissuto la scomparsa come un grave lutto, quasi come se ci fosse mancato un parente stretto. Nella canzone comunque esiste una traccia di questa ambivalenza, cioè del fatto che ci si riferisce a due decessi e non ad uno solo. E lo si capisce nell'inciso quando canto: "Cos'altro vi serve da queste vita / ora che il cielo al centro le ha colpite".
Come nasce una canzone? Direi che buona parte del senso e del valore della canzone sta prima di tutto nel suo titolo, cioè Una storia sbagliata, vale a dire una storia che non sarebbe dovuta accadere. Nel senso che in un clima di normale civiltà una storia del genere non dovrebbe succedere. E poi mi pare ci siano altri due versi che a mio parere spiegano meglio di altri il senso della canzone: "Storia diversa per gente normale / storia comune per gente speciale". Laddove per "normale" si deve intendere mediocre e poco civilizzato e per "speciale" normalmente, civilmente abituato a convivere con la cosiddetta diversità. Mi spiego meglio: per una persona matura e civile direi che è assolutamente normale che un omosessuale faccia la corte ad un suo simile dello stesso sesso. E assolutamente normale anche che se ne innamori. Dovrebbe esserlo anche per il corteggiato eterosessuale che mille modi ha di difendersi senza ricorrere alla violenza. Purtroppo la cultura maschilista e intollerante di un passato ancora troppo recente, ed allora ancora più recente di quanto non lo sia adesso, e che definirei un passato ancora recidivo, ha fatto credere alla maggioranza che il termine normalità debba coincidere necessariamente con il termine intolleranza. Ecco, un altro aspetto tragico che abbiamo voluto sottolineare nella canzone per la morte di Pasolini è quello legato ad una moda purtroppo ancora adesso corrente, e che si ricollega anche lei al clima di ignoranza e di caccia al diverso. E cioè il fatto che della morte di un grande uomo di pensiero sia stata fatta praticamente carne di porco da sbattere sul banco di macelleria dei settimanali spazzatura e non solo di quelli. Il verso "È una storia per parrucchieri" vuol dire che è una storia che purtroppo la si leggeva allora e ogni tanto la si legge ancora oggi sulle riviste equivoche mentre si aspetta di farsi fare la barba oppure la permanente. Questo è un po' in generale il senso della canzone. [In Doriano Fasoli, Fabrizio De André. Passaggi di tempo, pp. 61-63]
Il testo della canzone reca una traccia chiara di questi dubbi... infatti,non sarà un caso se De Andrè canta di “una storia mica male insabbiata” e di “una storia da non raccontare”. E c’è un altro riferimento: quello all’eventualità di un movente politico: “è una storia vestita di nero”Questa canzone è una serie di impressioni sul tempo di quella notte e su quello di una vita intera, macchiata da quell’onta indelebile dell’omosessualità. E così che De Andrè racconta di “una storia di periferia”, di “una storia da una botta e via”, di una “storia diversa per gente normale”, e di una “storia comune per gente speciale”. Una serie di pennellate che sfiorano anche quel “fiume di inchiostro” nel quale la storia terminò, trasformandosi per questo, diceva il cantautore, in un succulento boccone per le riviste patinate da leggersi dal parrucchiere.
Cosa aggiungere sapete che De Andrè è il mio cantante italiano preferito e Pasolini il mio scrittore italiano del dopoguerra preferito,ragion per cui dopo questa riflessione vorrei far parlare direttamente De Andrè con il suo pezzo:
UNA STORIA SBAGLIATA
E' una storia da dimenticare
e' una storia da non raccontare
e' una storia un po' complicata
e' una storia sbagliata.
Comincio' con la luna sul posto
e fini' con un fiume d'inchiostro
e' una storia un poco scontata
e' una storia sbagliata.
Storia diversa per gente normale
storia comune per gente speciale
cos'altro vi serve da queste vite
ora che il cielo al centro le ha colpite
ora che il cielo ai bordi le ha scolpite.
E' una storia di periferia
e' una storia da una botta e via
e' una storia sconclusionata
una storia sbagliata.
Una spiaggia ai piedi del letto
stazione Termini ai piedi del cuore
una notte un po' concitata
una notte sbagliata.
Notte diversa per gente normale
notte comune per gente speciale
cos'altro ti serve da queste vite
ora che il cielo al centro le ha colpite
ora che il cielo ai bordi le ha scolpite.
E' una storia vestita di nero
e' una storia da basso impero
e' una storia mica male insabbiata
e' una storia sbagliata.
E' una storia da carabinieri
e' una storia per parrucchieri
e' una storia un po' sputtanata
o e' una storia sbagliata.
Storia diversa per gente normale
storia comune per gente speciale
cos'altro vi serve da queste vite
ora che il cielo al centro le ha colpite
ora che il cielo ai bordi le ha scolpite.
Per il segno che c'e' rimasto
non ripeterci quanto ti spiace
non ci chiedere piu' come e' andata
tanto lo sai che e' una storia sbagliata
tanto lo sai che e' una storia sbagliata.
L'INTERVISTA A FABRIZIO DE ANDRE':
È una canzone su commissione, forse l'unica che mi è stata commissionata. Mi fu chiesta da Franco Biancacci, a quel tempo a Rai Due, come sigla di due documentari-inchiesta sulle morti di Pasolini e di Wilma Montesi. In quel tempo, se non ricordo male, stavo cominciando a scrivere con Massimo Bubola l'ellepì che fu fu chiamato L'indiano (quello per intenderci che ha come copertina quel quadro di Remington che rappresenta un indiano a cavallo). E così gli ho chiesto di collaborare anche a questo lavoro. Ricordo che decidemmo tout-court di fare la canzone su Pasolini, e non tanto perché non ci importasse niente della morte della povera Montesi, ma per il fatto che a noi che scrivevamo canzoni, come credo d'altra parte a tutti coloro che si sentivano in qualche misura legati al mondo della letteratura e dello spettacolo, la morte di Pasolini ci aveva resi quasi come orfani. Ne avevamo vissuto la scomparsa come un grave lutto, quasi come se ci fosse mancato un parente stretto. Nella canzone comunque esiste una traccia di questa ambivalenza, cioè del fatto che ci si riferisce a due decessi e non ad uno solo. E lo si capisce nell'inciso quando canto: "Cos'altro vi serve da queste vita / ora che il cielo al centro le ha colpite".
Come nasce una canzone? Direi che buona parte del senso e del valore della canzone sta prima di tutto nel suo titolo, cioè Una storia sbagliata, vale a dire una storia che non sarebbe dovuta accadere. Nel senso che in un clima di normale civiltà una storia del genere non dovrebbe succedere. E poi mi pare ci siano altri due versi che a mio parere spiegano meglio di altri il senso della canzone: "Storia diversa per gente normale / storia comune per gente speciale". Laddove per "normale" si deve intendere mediocre e poco civilizzato e per "speciale" normalmente, civilmente abituato a convivere con la cosiddetta diversità. Mi spiego meglio: per una persona matura e civile direi che è assolutamente normale che un omosessuale faccia la corte ad un suo simile dello stesso sesso. E assolutamente normale anche che se ne innamori. Dovrebbe esserlo anche per il corteggiato eterosessuale che mille modi ha di difendersi senza ricorrere alla violenza. Purtroppo la cultura maschilista e intollerante di un passato ancora troppo recente, ed allora ancora più recente di quanto non lo sia adesso, e che definirei un passato ancora recidivo, ha fatto credere alla maggioranza che il termine normalità debba coincidere necessariamente con il termine intolleranza. Ecco, un altro aspetto tragico che abbiamo voluto sottolineare nella canzone per la morte di Pasolini è quello legato ad una moda purtroppo ancora adesso corrente, e che si ricollega anche lei al clima di ignoranza e di caccia al diverso. E cioè il fatto che della morte di un grande uomo di pensiero sia stata fatta praticamente carne di porco da sbattere sul banco di macelleria dei settimanali spazzatura e non solo di quelli. Il verso "È una storia per parrucchieri" vuol dire che è una storia che purtroppo la si leggeva allora e ogni tanto la si legge ancora oggi sulle riviste equivoche mentre si aspetta di farsi fare la barba oppure la permanente. Questo è un po' in generale il senso della canzone. [In Doriano Fasoli, Fabrizio De André. Passaggi di tempo, pp. 61-63]
22 ott 2010
Creuza de Ma,De Andrè
Creuza de ma è il pezzo che da il titolo a questo meraviglioso album,è un disco considerato come uno dei massimi capolavori non solo della musica italiana,ma della musica ...Adirittura David Byrne dichiarò a un'intervista al "Rolling Stone" che questo è l'album più importanti della scena musicale degli anni 80 e quando disse questo molti risero..adesso molti si sono ricreduti anche se il suo impatto e la sua grandezza non sono ancora stati recepiti appieno dalla scena musicale italiana e internazionale!!!(un consiglio di leggere le traduzione dei testi)Certo attribuire questo disco solo a De Andrè è un po’ limitativo visto che l’apporto musicale di Pagani è stato importante.L'album è del 1984 quindi sono passati 26 anni dall’uscita del disco,e in tutto questo tempo ammetto di averlo ascoltato spesso,assaporandolo in ogni sua minima sfumatura,nei suoni e nei testi, cercando proprio qui di cogliere il significato più profondo che i due musicisti hanno voluto esprimere..Un disco italiano ma in un italiano dialettale, in genovese antico.L'idea è stata quella di concepire un album "mediterraneo" nell'origine, andando a pescare in giro per il bacino del mare,gli strumenti che le civiltà dall'origine avevano tramandato.
La malinconia che mi avvolge, quando ascolto la voce di Fabrizio De Andrè, è ancora tanta.Malinconia e senso di vuoto.Creuza de ma è uno dei tanti bellissimi dischi incisi da De Andrè, potrei banalmente definirlo un capolavoro,se non mi fosse difficile, per non dire impossibile,stilare una classifica delle sue composizioni. Una cosa differenzia questo disco come dicevo è in dialetto antico Genovese...ma anche in questa veste,pur nella difficoltà della comprensione del dialetto per chi genovese non è come me, la poesia è intatta, la magia e l’incanto delle atmosfere che De Andrè riusciva a creare, immutati. Intanto la musica, linguaggio universale che parla direttamente al cuore; poi la voce calda e scandita di Fabrizio De Andrè, inconfondibile e bella, pur se non estesa, che ci culla ... Infine la sua poeticità, la sua delicatezza e la sua sensibilità, la sua ironia, che si esprimono magistralmente anche con l’uso del dialetto.
La Creuza de ma du cui prende il nome l'album,è la stradina che fende,spesso in modo verticale,le colline liguri e che delimita i confini di proprietà,ma si dice che i genovesi la usano anche per descrivere le stradine
urbane in ciottolato..La Creuza a Genova è anche un fenomeno meteorologico quando il mare non è calmo e si creano piccoli vortici di vento che creano cureve che sembrano sentieri...i Marinai di Genova dicono:U ma u fa e Crèuze,il mare fà le strade..Ecco perchè Fabrizio a intitolato l'album così....
Il testo della canzone racconta del ritorno a casa dei marina,eterni viaggiatori del mare e del loro ritrovarsi
alla taverna del l'Andrea...ed è carica della rassegnazione di chi è costretto come i marinai,come Ulisse a un viaggio senza fine,un viaggio condanna in cui le soste sono fonte di frustrazione e occasioni per ubriacarsi ("E nella barca del vino ci navigheremo sugli scogli/ emigranti della risata con i chiodi negli occhi/ finché il mattino crescerà da poterlo raccogliere/ fratello dei garofani e delle ragazze/ padrone della corda marcia d'acqua e di sale che ci lega e ci porta in una mulattiera di mare"). Il brano sa evocare odori e profumi della cucina ligure ("frittura di pesciolini/ bianco di Portofino/ cervelle di agnello nello stesso vino/ lasagne da tagliare ai quattro sughi/ pasticcio in agrodolce di lepre di tegole") o anche suscitare lampi di un'Oriente lontano e misterioso ("Ombre di facce, facce di marinai/ da dove venite dov'è che andate?/ da un posto dove la luna si mostra nuda/ e la notte ci ha puntato il coltello alla gola/ e a montare l'asino c'è rimasto Dio/ il Diavolo è in cielo e ci si è fatto il nido").
La title track si apre sui rumori del caotico mercato di Genova, presto affiancati da un assolo di gaida,sorta di cornamusa in uso fra i pastori ....Appena il canto si dispiega sulla semplice melodia, ogni residuo dubbio dell'ascoltatore riguardo alle scelte linguistiche di De André è fugato. Nel "suo" genovese, la voce di De André diventa ancor più ricca, più espressiva di quanto non lo sia mai stata, e gli ostacoli che il dialetto pone a un'immediata comprensione sono in realtà fonte di infinite suggestioni sonore.
"Jamin-a" è forse la più bella ode a una prostituta che sia mai stata scritta: un ideale proseguimento delle storie narrate in "Via Del Campo" e "Bocca Di Rosa", ma qui il racconto perde ogni valenza polemica o iconografica. Grazie all'adozione del genovese, De André non teme censure, e affronta il brano con esplicita, cruda, irriverente, irresistibile sensualità: il corpo di Jamin-a è protagonista, con la sua "lengua nfeugà" lingua infuocata e il "nodo delle sue gambe", incatena l'ascoltatore in un vortice di suggestione erotica e sonora. La struttura armonica del brano è affidata all'oud e al bouzouki, strumenti a corda di tradizione araba e greca.
"Sidun" è il canto funebre della madre palestinese è al tempo stesso uno dei vertici dell'espressione poetica di De André e uno dei massimi risultati musicali della carriera del cantautore genovese. "Sinan Capudan Pascià" è la storia (vera) di un marinaio genovese che venne catturato dai turchi e divento pascià per aver salvato la nave del sultano dal naufragio. Il ritornello, adattamento di un canto di marinai diffuso in area tirrenica, è un piccolo nonsense con ambizioni da metafisica simbolista ("in mezzo al mare c'è un pesce palla, che quando vede le belle viene a galla; in fondo al mare c'è un pesce tondo che quando vede le brutte se ne va sul fondo") e più in là lo stesso refrain diventa un'apologia del "farsi da soli" in chiave di bassa e surreale comicità ("La sfortuna è un cazzo, che gira intorno al culo più vicino… un avvoltoio che vola intorno al culo dell'imbecille"). C'è spazio anche per una sparata del novello pascià sull'universalità dell'ossessione per il denaro ("E digli a chi mi chiama rinnegato, che a tutte le ricchezze, all'argento e all'oro, Sinàn ha concesso di luccicare al sole, bestemmiando Maometto al posto del Signore").
Le due tracce successive riportano la narrazione e l'atmosfera nell'antica Genova, e danno piena voce a figure di emarginati. La "pittima" ovvero l'esattore di debiti privati per conto terzi, lamenta la sua condizione precaria e pericolosa, rivendicando con orgoglio la "rispettabilità" del suo mestiere meschino. In "A Dumenega" le prostitute genovesi, relegate nel ghetto per tutta la settimana, in libera uscita la domenica, passeggiano per la città come gran dame, schernite dalla folla ipocrita degli abituali frequentatori dei bordelli cittadini. È bene anche ricordare che anticamente i proventi dei bordelli erano incamerati dal comune di Genova, che con essi ricopriva quasi interamente le spese di manutenzione del porto.
L'ultima traccia, "Da me riva", è una "ode del distacco", il pensiero malinconico del marinaio che riparte, ancora una volta, e saluta la propria compagna, rimasta a riva, ormai solo un profilo lontano, controluce.
La malinconia che mi avvolge, quando ascolto la voce di Fabrizio De Andrè, è ancora tanta.Malinconia e senso di vuoto.Creuza de ma è uno dei tanti bellissimi dischi incisi da De Andrè, potrei banalmente definirlo un capolavoro,se non mi fosse difficile, per non dire impossibile,stilare una classifica delle sue composizioni. Una cosa differenzia questo disco come dicevo è in dialetto antico Genovese...ma anche in questa veste,pur nella difficoltà della comprensione del dialetto per chi genovese non è come me, la poesia è intatta, la magia e l’incanto delle atmosfere che De Andrè riusciva a creare, immutati. Intanto la musica, linguaggio universale che parla direttamente al cuore; poi la voce calda e scandita di Fabrizio De Andrè, inconfondibile e bella, pur se non estesa, che ci culla ... Infine la sua poeticità, la sua delicatezza e la sua sensibilità, la sua ironia, che si esprimono magistralmente anche con l’uso del dialetto.
La Creuza de ma du cui prende il nome l'album,è la stradina che fende,spesso in modo verticale,le colline liguri e che delimita i confini di proprietà,ma si dice che i genovesi la usano anche per descrivere le stradine
urbane in ciottolato..La Creuza a Genova è anche un fenomeno meteorologico quando il mare non è calmo e si creano piccoli vortici di vento che creano cureve che sembrano sentieri...i Marinai di Genova dicono:U ma u fa e Crèuze,il mare fà le strade..Ecco perchè Fabrizio a intitolato l'album così....
Il testo della canzone racconta del ritorno a casa dei marina,eterni viaggiatori del mare e del loro ritrovarsi
alla taverna del l'Andrea...ed è carica della rassegnazione di chi è costretto come i marinai,come Ulisse a un viaggio senza fine,un viaggio condanna in cui le soste sono fonte di frustrazione e occasioni per ubriacarsi ("E nella barca del vino ci navigheremo sugli scogli/ emigranti della risata con i chiodi negli occhi/ finché il mattino crescerà da poterlo raccogliere/ fratello dei garofani e delle ragazze/ padrone della corda marcia d'acqua e di sale che ci lega e ci porta in una mulattiera di mare"). Il brano sa evocare odori e profumi della cucina ligure ("frittura di pesciolini/ bianco di Portofino/ cervelle di agnello nello stesso vino/ lasagne da tagliare ai quattro sughi/ pasticcio in agrodolce di lepre di tegole") o anche suscitare lampi di un'Oriente lontano e misterioso ("Ombre di facce, facce di marinai/ da dove venite dov'è che andate?/ da un posto dove la luna si mostra nuda/ e la notte ci ha puntato il coltello alla gola/ e a montare l'asino c'è rimasto Dio/ il Diavolo è in cielo e ci si è fatto il nido").
La title track si apre sui rumori del caotico mercato di Genova, presto affiancati da un assolo di gaida,sorta di cornamusa in uso fra i pastori ....Appena il canto si dispiega sulla semplice melodia, ogni residuo dubbio dell'ascoltatore riguardo alle scelte linguistiche di De André è fugato. Nel "suo" genovese, la voce di De André diventa ancor più ricca, più espressiva di quanto non lo sia mai stata, e gli ostacoli che il dialetto pone a un'immediata comprensione sono in realtà fonte di infinite suggestioni sonore.
"Jamin-a" è forse la più bella ode a una prostituta che sia mai stata scritta: un ideale proseguimento delle storie narrate in "Via Del Campo" e "Bocca Di Rosa", ma qui il racconto perde ogni valenza polemica o iconografica. Grazie all'adozione del genovese, De André non teme censure, e affronta il brano con esplicita, cruda, irriverente, irresistibile sensualità: il corpo di Jamin-a è protagonista, con la sua "lengua nfeugà" lingua infuocata e il "nodo delle sue gambe", incatena l'ascoltatore in un vortice di suggestione erotica e sonora. La struttura armonica del brano è affidata all'oud e al bouzouki, strumenti a corda di tradizione araba e greca.
"Sidun" è il canto funebre della madre palestinese è al tempo stesso uno dei vertici dell'espressione poetica di De André e uno dei massimi risultati musicali della carriera del cantautore genovese. "Sinan Capudan Pascià" è la storia (vera) di un marinaio genovese che venne catturato dai turchi e divento pascià per aver salvato la nave del sultano dal naufragio. Il ritornello, adattamento di un canto di marinai diffuso in area tirrenica, è un piccolo nonsense con ambizioni da metafisica simbolista ("in mezzo al mare c'è un pesce palla, che quando vede le belle viene a galla; in fondo al mare c'è un pesce tondo che quando vede le brutte se ne va sul fondo") e più in là lo stesso refrain diventa un'apologia del "farsi da soli" in chiave di bassa e surreale comicità ("La sfortuna è un cazzo, che gira intorno al culo più vicino… un avvoltoio che vola intorno al culo dell'imbecille"). C'è spazio anche per una sparata del novello pascià sull'universalità dell'ossessione per il denaro ("E digli a chi mi chiama rinnegato, che a tutte le ricchezze, all'argento e all'oro, Sinàn ha concesso di luccicare al sole, bestemmiando Maometto al posto del Signore").
Le due tracce successive riportano la narrazione e l'atmosfera nell'antica Genova, e danno piena voce a figure di emarginati. La "pittima" ovvero l'esattore di debiti privati per conto terzi, lamenta la sua condizione precaria e pericolosa, rivendicando con orgoglio la "rispettabilità" del suo mestiere meschino. In "A Dumenega" le prostitute genovesi, relegate nel ghetto per tutta la settimana, in libera uscita la domenica, passeggiano per la città come gran dame, schernite dalla folla ipocrita degli abituali frequentatori dei bordelli cittadini. È bene anche ricordare che anticamente i proventi dei bordelli erano incamerati dal comune di Genova, che con essi ricopriva quasi interamente le spese di manutenzione del porto.
L'ultima traccia, "Da me riva", è una "ode del distacco", il pensiero malinconico del marinaio che riparte, ancora una volta, e saluta la propria compagna, rimasta a riva, ormai solo un profilo lontano, controluce.
26 set 2010
L'Ottico di De Andrè
Nel 1971 Fabrizio De André pubblicò l'album Non al denaro, non all'amore né al cielo, liberamente tratto dall'Antologia di Spoon River,non è la prima volta che parlo di questo album,l'avevo già fatto però in un'ottica più generale (Non al denaro,non all'amore nè al cielo)
Oggi vorrei parlare di questo pezzo "L'Ottico" e devo dire che mi inquieta e mi affascina da diversi anni.Anche se oggi mi inquietano di più i tanti spacciatori di realtà colorate (ma per nulla affascinanti) che uccidono il desiderio di un mondo che davvero sia meno amaro guardare.Amo moltissimo questa canzone, ma non mi sarei mai provato per mia incapacità nel farlo a realizzare un video.Però oggi ne ho trovato uno che si avvicina a quel che immaginavo ascoltando Faber... complimenti a chi l'ha realizzato e grazie per averlo condiviso nel Tubo:
Come dicevo un ottico è un brano tratto da Non al denaro non all'amore né al cielo, ispirato all'Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters. Per chi non la conosce vorrei specificare che è una ipotetica raccolta di epitaffi in cui tutti i morti sepolti nel cimitero della città "Spoon River" raccontano la loro vita guardandola con gli occhi di un morto che quindi non ha più alcun legame con la vita e non ha più motivo di mentire. Quindi una sorta di analisi a posteriori della vita.In particolare De André estrapola dal libro nove poesie, le rielabora e le musica con l'apporto fondamentale di un'allora semi sconosciuto Nicola Piovani.La prima è l'introduzione che presenta tutti i personaggi della raccolta,successivamente si susseguono otto tracce divise in due per tema..le prime quattro vedono storie di uomini che sono morti provando invidia verso un qualcosa, gli altri quattro invece in quanto vittime della scienza. L'ultimo di ogni gruppo rappresenta l'esempio di chi è riuscito a morire senza rimpianti, riuscendo a superare quelli che erano i suoi ostacoli.
L'ottico in particolare è una delle vittime della scienza, lui vuole costruire degli occhiali che permettano a tutti di vedere il mondo così come gli pare...nel testo si susseguono quattro clienti, ognuno dei quali acquista un paio di occhiali che gli permette di vedere cose che non aveva mai visto prima. Alcuni hanno paragonato l'ottico Dippold di Masters ad uno spacciatore ed in effetti la cosa è più che sensata rileggendo il testo della poesia (Dippold, l'ottico), tanto che De Andrè lo definisce "spacciatore di lenti

Un ottico(De Andrè)
Daltonici, presbiti, mendicanti di vista
il mercante di luce, il vostro oculista,
ora vuole soltanto clienti speciali
che non sanno che farne di occhi normali.
Non più ottico ma spacciatore di lenti
per improvvisare occhi contenti,
perché le pupille abituate a copiare
inventino i mondi sui quali guardare.
Seguite con me questi occhi sognare,
fuggire dall'orbita e non voler ritornare.
Vedo che salgo a rubare il sole
per non aver più notti,
perché non cada in reti di tramonti
l'ho chiuso nei miei occhi,
e chi avrà freddo
lungo il mio sguardo si dovrà scaldare.
Vedo i fiumi dentro le mie vene,
cercano il loro mare,
rompono gli argini,
trovano cieli da fotografare.
Sangue che scorre senza fantasia
porta tumori di malinconia.
Vedo gendarmi pascolare
donne chine sulla rugiada,
rosse le lingue al polline dei fiori
ma dov'è l'ape regina?
Forse è volata ai nidi dell'aurora,
forse è volata, forse più non vola.
Vedo gli amici ancora sulla strada,
loro non hanno fretta,
rubano ancora al sonno l'allegria
all'alba un po' di notte:
e poi la luce, luce che trasforma
il mondo in un giocattolo.
Faremo gli occhiali così
Antologia Spon River:
l'Ottico
Che cosa vedete adesso?
Globi di rosso, giallo, porpora.
Un momento! E adesso?
Mio padre e mia madre e le mie sorelle
Sì. E adesso?
Cavalieri in armi, belle donne, visi gentili.
Provate questa.
Un campo di grano - una città.
Benissimo! E adesso?
Una donna giovane e angeli chini su di lei.
Una lente più forte! E adesso?
Molte donne dagli occhi vivi e labbra schiuse.
Provate queste.
Soltanto un bicchiere sul tavolo.
Oh, capisco! Provate questa lente!
Soltanto uno spazio vuoto, non vedo nulla in particolare.
Bene, adesso!
Pini, un lago, un cielo d'estate.
Questa va meglio. E adesso?
Un libro.
Leggetemi una pagina.
Non posso. Gli occhi mi sfuggono al di là della pagina.
Provate questa lente.
Abissi d'aria.
Ottima! E adesso?
Luce, soltanto luce che trasforma il mondo in un giocattolo.
Benissimo, faremo gli occhiali così.
Oggi vorrei parlare di questo pezzo "L'Ottico" e devo dire che mi inquieta e mi affascina da diversi anni.Anche se oggi mi inquietano di più i tanti spacciatori di realtà colorate (ma per nulla affascinanti) che uccidono il desiderio di un mondo che davvero sia meno amaro guardare.Amo moltissimo questa canzone, ma non mi sarei mai provato per mia incapacità nel farlo a realizzare un video.Però oggi ne ho trovato uno che si avvicina a quel che immaginavo ascoltando Faber... complimenti a chi l'ha realizzato e grazie per averlo condiviso nel Tubo:
Come dicevo un ottico è un brano tratto da Non al denaro non all'amore né al cielo, ispirato all'Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters. Per chi non la conosce vorrei specificare che è una ipotetica raccolta di epitaffi in cui tutti i morti sepolti nel cimitero della città "Spoon River" raccontano la loro vita guardandola con gli occhi di un morto che quindi non ha più alcun legame con la vita e non ha più motivo di mentire. Quindi una sorta di analisi a posteriori della vita.In particolare De André estrapola dal libro nove poesie, le rielabora e le musica con l'apporto fondamentale di un'allora semi sconosciuto Nicola Piovani.La prima è l'introduzione che presenta tutti i personaggi della raccolta,successivamente si susseguono otto tracce divise in due per tema..le prime quattro vedono storie di uomini che sono morti provando invidia verso un qualcosa, gli altri quattro invece in quanto vittime della scienza. L'ultimo di ogni gruppo rappresenta l'esempio di chi è riuscito a morire senza rimpianti, riuscendo a superare quelli che erano i suoi ostacoli.

L'ottico in particolare è una delle vittime della scienza, lui vuole costruire degli occhiali che permettano a tutti di vedere il mondo così come gli pare...nel testo si susseguono quattro clienti, ognuno dei quali acquista un paio di occhiali che gli permette di vedere cose che non aveva mai visto prima. Alcuni hanno paragonato l'ottico Dippold di Masters ad uno spacciatore ed in effetti la cosa è più che sensata rileggendo il testo della poesia (Dippold, l'ottico), tanto che De Andrè lo definisce "spacciatore di lenti

Un ottico(De Andrè)
Daltonici, presbiti, mendicanti di vista
il mercante di luce, il vostro oculista,
ora vuole soltanto clienti speciali
che non sanno che farne di occhi normali.
Non più ottico ma spacciatore di lenti
per improvvisare occhi contenti,
perché le pupille abituate a copiare
inventino i mondi sui quali guardare.
Seguite con me questi occhi sognare,
fuggire dall'orbita e non voler ritornare.
Vedo che salgo a rubare il sole
per non aver più notti,
perché non cada in reti di tramonti
l'ho chiuso nei miei occhi,
e chi avrà freddo
lungo il mio sguardo si dovrà scaldare.
Vedo i fiumi dentro le mie vene,
cercano il loro mare,
rompono gli argini,
trovano cieli da fotografare.
Sangue che scorre senza fantasia
porta tumori di malinconia.
Vedo gendarmi pascolare
donne chine sulla rugiada,
rosse le lingue al polline dei fiori
ma dov'è l'ape regina?
Forse è volata ai nidi dell'aurora,
forse è volata, forse più non vola.
Vedo gli amici ancora sulla strada,
loro non hanno fretta,
rubano ancora al sonno l'allegria
all'alba un po' di notte:
e poi la luce, luce che trasforma
il mondo in un giocattolo.
Faremo gli occhiali così
Antologia Spon River:
l'Ottico
Che cosa vedete adesso?
Globi di rosso, giallo, porpora.
Un momento! E adesso?
Mio padre e mia madre e le mie sorelle
Sì. E adesso?
Cavalieri in armi, belle donne, visi gentili.
Provate questa.
Un campo di grano - una città.
Benissimo! E adesso?
Una donna giovane e angeli chini su di lei.
Una lente più forte! E adesso?
Molte donne dagli occhi vivi e labbra schiuse.
Provate queste.
Soltanto un bicchiere sul tavolo.
Oh, capisco! Provate questa lente!
Soltanto uno spazio vuoto, non vedo nulla in particolare.
Bene, adesso!
Pini, un lago, un cielo d'estate.
Questa va meglio. E adesso?
Un libro.
Leggetemi una pagina.
Non posso. Gli occhi mi sfuggono al di là della pagina.
Provate questa lente.
Abissi d'aria.
Ottima! E adesso?
Luce, soltanto luce che trasforma il mondo in un giocattolo.
Benissimo, faremo gli occhiali così.
Iscriviti a:
Post (Atom)