Guardando la mia "Home" su Facebook ho notato questo toccante spot sulla Leucemia,che un mio contatto ha condiviso:
E ogni volta che sento parlare di questa terribile malattia,il mio pensierò và alla prima volta che sentii parlare di "Leucemia",circa quindici anni fà(x me fino allora sconosciuta)avevo 17 anni e come tutti i ragazzi di quell'età la passione sul Calcio prevaleva su tutto...Ricordo,che questa malattia entro di colpo nella mia coscienza attraverso un nome "Andrea Fortunato"(terzino della Juve),
A soli 23 anni,si ammalò di leucemia linfoide acuta.Una diagnosi spietata,crudele...Mi sembrava un ragazzo semplice,tranquillo,altruista,un ottimo esempio a dispetto di tanti altri che arrivati alla ribalta del grande Calcio(era entrato pure nel giro della nazionale)si montano la testa....Cmq in quel gruppo di "Campioni c'era dei ragazzi straordinari,ricordo che Ravanelli l'ospitò nella sua casa Perugina x potersi curare ma non servì a niente,Andrea sembrava... avercela fatta,tanto che qualche giorno prima era andato a salutare i compagni al campo.Poi una domenica sera,alla Domenica sportiva la terribile notizia:"Fortunato non c'è più...
Si dice che colui che muore giovane sia piu' caro agli dei.Forse e' cosi'.E ora Andrea starà veramente correndo felice da qualche parte dietro un pallone...A chi lo ha amato resta il suo ricordo... "Per me e' sempre vivo!! Indimenticabile campione........
Ho ritrovato l’ultima intervista ad Andrea e consiglio di leggerla:
«Undici mesi di malattia è una cosa lunga,infinita.Ma di tremendo, a parte i periodi di grande crisi fisica, ci sono stati solamente i primissimi momenti; dopo ho combattuto. Invece, all’inizio è stato diverso; il giorno prima stavi fra i sani, il giorno dopo passi fra i quasi incurabili. Non si può descrivere che cosa si prova». Come si reagisce ? «Ti senti perduto e, nello stesso tempo, diventi curioso; è una sensazione strana. Vuoi sapere ogni cosa della tua malattia, ti interroghi sui sintomi, sulle cause, sulle possibili conseguenze. Sai che non ti diranno tutto, provi ad indovinare le bugie, ma poi fingi di crederci, ti convinci che è meglio, altrimenti impazzisci. Quando un medico ti spiega quali sono i sintomi della leucemia ti senti sprofondare; e più parla, più tu capisci che tutto corrisponde, che è davvero il tuo caso. In quel momento il male ti prende in ostaggio; ma tu devi impedirgli di ammazzarti». Come ci si può riuscire ? «Con l’aiuto di Dio e dei medici, ma anche con un pensiero fisso: ce la devo fare. Me lo ripetevo ogni giorno e me lo ripeto ancora; neppure per un istante ho pensato che avrei perso la partita. Lo chiamano atteggiamento positivo, pare sia una mezza medicina». - Vuoi fare ancora il calciatore ? «Questo è un pensiero che non mi ha mai abbandonato. Mi sono sentito un atleta anche nei giorni più difficili, quando ero più di là che di qua. Ho lottato con spirito sportivo, si può dire che non mi sono mai tolto la maglia di dosso. Rimetterla davvero, ma non solo; ho chiesto, mi sono informato, mi hanno spiegato che tanti atleti sono tornati all’attività dopo la leucemia. Credo, spero di riuscirci». - Come cambia la vita, dopo un’avventura del genere ? «Cambia tutto, ti costruisci una scala di valori nuova; dai importanza alle cose che valgono davvero e non te la prendi più per le sciocchezze. E capisci che l’amicizia è la prima cosa; io, per esempio, ho un fratello in più, Fabrizio Ravanelli. È stato incredibile, mi ha messo a disposizione una parte della sua vita, non solo la sua famiglia e la sua casa di Perugia; non si può descrivere con le parole. Il giorno più bello, in questi mesi di malattia, l’ho vissuto quando lui ha segnato cinque goals al Cska, in Coppa; quella sera ho capito davvero che cosa è la felicità; ed è stato altrettanto bello, vedere Fabrizio esordire in Nazionale, proprio a Salerno, la mia città». Ti sono servite le vittorie bianconere ? «Non solo quelle, ma la costante presenza dei compagni e della società; un’altra famiglia, davvero. Se sono vivo lo devo anche a loro, al loro affetto». C’è un momento, di questi mesi, che ricordi con particolare intensità ? «L’uscita dall’ospedale a Perugia, dopo il secondo trapianto; non mi sembrava vero, vedevo diverse tutte le cose, mi parevano straordinarie anche le più insignificanti. Non immaginavo quanto potesse essere meravigliosa anche una semplice passeggiata». Cosa insegna la malattia ? «Che nella vita c’è di peggio di uno stiramento che ti tiene fuori dal campo per due settimane. Che ogni giorno muoiono bambini leucemici senza che nessuno lo sappia e senza che si possa fare nulla. Che in Italia abbiamo i migliori medici del mondo; a Perugia vengono ad imparare le nostre tecniche dall’America, da Israele, dalla Francia. Però, le strutture sono quelle che sono, mancano gli spazi, c’è gente in coda da mesi per un trapianto. Bisogna donare il midollo, senza paura, perché questo salva la vita agli altri e da senso alla tua». Il tuo sogno ? «La leucemia mi ha insegnato a non fare progetti a lunga scadenza e neppure a media; non per paura, ma per realismo. La prima volta che programmai il ritorno a Torino, mi alzai la mattina con la febbre; nulla di grave, per fortuna, ma ci rimasi male. Vivere alla giornata non è una sconfitta, semmai un modo per apprezzare davvero la vita in ogni attimo, in ogni sfumatura. È quello che farò».
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