16 nov 2011

Fiat(Fabbrica Italiana? Automobili Torino)

In questi giorni siamo tutti presi dalle vicende del nuovo governo "che proprio oggi a giurato davanti al presidente della Repubblica" e per questo non si parla d’altro.Pochi sopratutto i giornali hanno dato spazio ad un altra notizia,cioè che la Fiat smettera' di produrre auto a Termini Imerese a partire dal 23 novembre...Un mese prima rispetto alla data annunciata!!!Tutto questo non so perchè  mi fa ricordare un video del 1980 di Enrico Berlinguer quando la Fiat decise di licenziare 15.000 operai,allora Enrico andò davanti a Mirafiori per dire a tutti che il partito comunista stava dalla parte dei lavoratori ecco il video:
Mi chiedo oggi dov'è la politica? Chi può tutelare tutti coloro che oggi sono senza lavoro e senza  futuro!!!!NESSUNO....E inoltre davanti a questa devastazione sociale  voglio fare un'altra riflessione, sulla politica adottata dalla Fiat(Fiat abbreviazione di: Fabbrica italiana automobili Torino)è Sì proprio ITALIA!!!Se oggi il mondo conosciuto,l’occidente,l’Europa, e la stessa Italia sono in crisi,la colpa è anche di scelte discutibili iniziate già a partire dagli anni ottanta da queste aziende come e sopratutto la Fiat,quando i  paesi europei e sopratutto l'Italia hanno dimesso senza troppe riverenze settori strategici della produzione.Da pivellini elevati a maestri consumati i padri della seconda rivoluzione industriale italiana fornivano spiegazioni a costo ridotto a popoli che in breve hanno ribaltato le sorti industriali e produttive del mondo,con prodotti di pari qualità ma da costo di produzione assai più basso,anche grazie alla diversa veduta del valore della persona/lavoratore (e del connesso costo della sicurezza e della tutela del lavoro)degli Stati stessi.Alcuni settori,poi, hanno subito un rapido declino a causa di politiche industriali suicide.Mi riferisco a quello automobilistico per esempio all’Alfa Romeo,regalata alla Fiat con la promessa che la stessa doveva prendersene cura.
Chissà perchè nella realtà industriale italiana il settore automobilistico è da sempre stato ritenuto strategico.Al punto che,la Famiglia Agnelli ha potuto,di concerto con i vari governi succedutisi,impiantare nuovi stabilimenti produttivi in aree depresse del paese,il cui costo,nella realtà,è stato quasi interamente assorbito dallo stato,compresi i vari aiuti ricevutoi nel tempo durante ogni cridi e non...incentivi ecc....Tuttavia,la coerenza con l’attività produttiva è stata valida ed il settore automobilistico ha rappresentato il traino per tutti gli altri settori industriali.Storia,qualità,design,mito e leggenda delle vetture prodotte hanno contribuito a far diventare l’Italia grande nel mondo.Le auto italiane hanno rappresentato una vera e propria leggenda nel mondo,il punto di arrivo dell’uomo e della donna di successo come il sogno da bambino per intere generazioni.C’è n’era per tutti i gusti.Dalla piccola ed economica utilitaria alla granturismo, dalla berlina di rappresentanza che “vince le corse” al coupe che faceva innamorare al primo sguardo.Oggi le vetture italiane storiche sono considerate delle sculture a motore,veri e propri oggetti di culto,contesi a suon di scambi frenetici da appassionati americani,inglesi,giapponesi e cinesi.Alfa Romeo,Lancia, Maserati e Fiat (le Ferrari rappresentano un discorso a parte) sono gelosamente custodite in boxes privati e da più parti vengono considerati mai come di questi tempi come beni rifugio con vertiginosi incrementi di valore perché tutti le vogliono.
Quanto accade adesso è, invece, un’altra storia. FIAT appare come una impresa forte sul mercato internazionale, acquisisce pacchetti azionari e partecipazioni industriali estere,apparendo come una impresa ben gestita e quasi in controtendenza rispetto al mercato ed all’andamento produttivo nazionale in evidente difficoltà. Tuttavia, i risultati appaiono a dir poco discutibili.Storici stabilimenti nazionali dimessi o venduti ai cinesi,in barba alle politiche nazionali e sindacali di tutela del lavoro e della produzione.Dimissioni da Confindustria con ovvie conseguenze sul piano gestionale.Ma la cosa che di più sconcerta sono i prodotti.Si assiste in questi giorni al rilancio di modelli LANCIA. Nuove vetture che, provviste di apposito marchio fanno la propria apparizione sul mercato.Per incantare chi? Mai nessuno aveva osato tanto.La standardizzazione industriale è un fatto oramai noto.Prodotti similari caratterizzati dovrebbero fornire una identità oramai persa da tempo grazie alle produzioni di serie ed al tentativo di riduzione di costi.Tuttavia, cercare di far apparire come una Lancia una Chrysler solo ed esclusivamente sostituendo qualche rivestimento e lo scudetto frontale è davvero troppo,almeno per un italiano.Passi per una marca cinese o coreana,un prodotto senza storia o cultura automobilistica,ma non per una Lancia.In Italia,proprio Ferrari e Ducati hanno fondato la tenuta ed il consolidamento del proprio marchio e della propria produzione grazie a valide politiche di immagine e di prodotto. Già da tempo FIAT di un modello ne faceva tre per i tre marchi del gruppo che nella realtà avevano in comune solo i difetti ed il cui successo,o meglio insuccesso,sui mercati in specie quello interno ne hanno caratterizzato fini premature e trattamenti simili ad elettrodomestici.Ma quanto stà accadendo,tuttavia, è davvero troppo.
L’auto italiana,l’oggetto di culto mondiale è trattata alla stregua di un prodotto di consumo senza arte né parte...Cosa dovrebbe fare allora la solerte magistratura in casi come questo.Arrestare Marchionne? Magari. Cosi forse la smetterebbe di trattare dei miti come degli elettrodomestici nel paese della passione automobilistica,anteponendo il tentativo di profitto a scapito della tradizione,la strategia del breve periodo a scapito del mito,della storia o della leggenda.Favorendo il consolidamento di marchi stranieri e annunciando la fine di storici marchi italiani.Ingenerando,con questo,una crisi industriale che nella realtà è crisi di vendite frutto di una crisi di identità e fiducia nel prodotto italiano senza precedenti nella storia industriale del paese...In questo contesto, l’auto d’epoca come una Fiat “500” o un Alfa Romeo “Giulia” non rappresentano più solo un pezzo storico le cui lamiere sono intrise di sudore,intuito,passione e leggenda, rappresentano dei pezzi unici la cui storia mitica e indescrivibile,che incanterebbe come incanta chiunque, è un fatto oramai finito e irripetibile, lasciato agonizzante per decenni e definitivamente decapitato da una persona sbagliata nel posto sbagliato.Molti hanno paura che Fiat dismetterà totalmente la propria produzione in Italia.Probabilmente,visti i risultati,saranno gli italiani appassionati che diranno a Marchionne e C. di andarsene prima di essere cacciati per questi insulti. L’Italia,caro Marchionne,è un'altra cosa; forse i Suoi numerosi Master e frequenti contatti con l’estero hanno cancellato quel già scarso sentimento e riverenza verso il prodotto che Lei tenta di rifilare e che Lei, come e meglio dei suoi recenti predecessori, non rappresenta in alcun modo. Provi al banco promozioni di qualche catena di elettrodomestici,forse con qualche tre per due potrà essere compreso
Manuela Cibellis "Figlia di un operaio" da Informare ControInformando
Per anni ho visto mio papà soltanto nei fine settimana. Per anni, la domenica pomeriggio ho visto mia mamma preparargli con cura e amore la valigia per una settimana. Per anni, la domenica sera si accompagnava il papà a prendere l’autobus. E lo si vedeva rientrare il venerdì sera. Distrutto da ore di lavoro e alienato dal lavoro sempre uguale.Per anni non ho capito perché il mio papà era costretto a partire tutte le domeniche per poter lavorare. E farsi centinaia di chilometri ogni domenica ed ogni venerdì.“Qui non c’è lavoro” – mi spiegava mia mamma quando mi vedeva appiccicata al finestrino della macchina mentre guardavo l’autobus che portava via mio papà insieme ad altri tanti operai - “Il papà deve andar via per forza, lavorare è importante per mangiare, vestirsi, andare a scuola” – spiegava mia mamma a me e al mio piccolo fratellino.Ma il venerdì, a casa mia era una festa, e quando il papà rientrava la mamma preparava sempre delle cene buonissime e si passava la serata davanti al camino, tutti insieme.Per anni, mio papà, dedito al lavoro ha sacrificato la possibilità di stare tutte le sere con noi, a casa. E l’ha fatto – mi ha spiegato più tardi – perché ha sempre creduto nel valore del lavoro. Valore così poco rispettato in Meridione. E non è mai voluto scendere a compromessi. Per questo motivo piuttosto che accettare condizioni di lavoro pessime e piuttosto che vedere i propri diritti calpestati, ha sempre rinunciato al tempo da condividere con noi. Per anni. Per 25 anni. Per un salario minimo, ma garantito. Quando la crisi lavorativa riguardava più il Sud che il Nord dell’Italia.L’ho visto soffrire, quando si è trovato nelle condizioni di dirmi che il suo stipendio non gli permetteva di concedermi le vacanze, d’estate.
L’ho visto soffrire quando ci doveva spiegare che il suo stipendio non ci permetteva di andare a mangiare fuori il sabato sera ma che forse la pizza era meglio prenderla e mangiarla a casa.L’ho visto soffrire quando ha dovuto dirmi qualche anno fa: “La laurea specialistica magari si può rimandare di qualche anno, eh? Tuo fratello è ancora al liceo e il mio stipendio non basta per tutto”.L’ho visto soffrire quando ho comprato la macchina e ho dovuto fare un finanziamento con la mia prima busta paga perché i risparmi dei miei genitori erano stati utilizzati per i miei tre anni di università.L’ho visto preoccupato quando la crisi stava diffondendosi anche al Nord. E i primi a pagarne le spese erano gli operai, tra cui lui. Mio padre.L’ho visto amareggiato, quando è arrivata la cassa integrazione. E l’ho visto ancora più afflitto quando è arrivata la mobilità perché a differenza della cassa integrazione che illude gli operai del fatto che potrebbero essere re-integrati a lavoro, la mobilità non è alternativa al licenziamento, lo presuppone.L’ho visto sentirsi sconfitto quando un giorno mi ha detto: “Nemmeno il sindacato in cantiere ci difende, è d’accordo con i padroni”.
L’ho visto distrutto, quando a 53 anni è rimasto senza lavoro. L’ho visto sentirsi umiliato quando, cercando lavoro, imprenditori e padroni gli hanno detto che era troppo vecchio per le loro esigenze.E mi sento male tutte le volte che sento politici e industriali chiedere di alzare sempre più l’età lavorativa, tutte le volte che sento politici chiedere agli operai di fare sacrifici, per il bene del paese, tutte le volte che vedo sindacati firmare accordi a scapito degli operai. Mi sento male tutte le volte che sento dire che la soluzione alla crisi è la flessibilità lavorativa.Il mio sangue ribolle nelle vene quando leggo editoriali di noti economisti “esperti” risolutori di questa crisi che dicono che la “difesa del posto di lavoro” deve essere sostituita da una volatile “garanzia della continuità delle occasioni da lavoro”, e i “diritti dei lavoratori” diventano “componenti non monetarie della retribuzione”.
E ancora: il lavoratore, i cui salari sono ormai ridotti al minimo, non necessita più del “tempo libero in cui spendere quei salari”, ma deve solo pensare a soddisfare le maggiori richieste della controparte. Traduzione: il tempo libero di un operaio non ha alcun valore, perché non è correlato al denaro.Provo vergogna per alcuni sindacati, per alcuni partiti di sinistra, per gente che non comprende il reale significato di questa crisi che si protrae da 20 anni.Io oggi ho quasi 30 anni e provo imbarazzo nei confronti di mio padre che ha sempre riposto fiducia nelle possibilità reali di cambiamento, che mi ha trasmesso il valore reale delle lotte per i diritti, che mi ha insegnato a non abbassare la testa, che mi ha educata secondo una logica NON borghese, che mi ha insegnato che cosa è la dignità.Provo imbarazzo quando partiti cosiddetti di *sinistra* appoggiano proposte come il libero licenziamento e quindi l’abolizione dell’art. 18.Provo rabbia di fronte ad un governo terrorista: un governo tecnico, un governo unico delle banche.
Un governo nelle mani di uno che ha contribuito alla crisi dell’Italia. Provo rabbia di fronte a quelle complici opposizioni che danno a banchieri e padroni gli strumenti per licenziare, derubare e affamare la povera gente.Provo rabbia e tristezza nello stesso tempo. Ed è per questo che ora più che mai mi tornano in mente le parole di Marx:“Eppure, tutta la storia dell’industria moderna mostra che il capitale, se non gli vengono posti dei freni, lavora senza scrupoli e senza misericordia per precipitare tutta la classe operaia a questo livello della più profonda degradazione”,Ieri sera mio padre al telefono mi ha detto: “Ed ora cosa cambierà dopo il capolinea di Berlusconi?”Io un po’ imbarazzata gli ho detto: “Beh, bisogna che ci mobilitiamo tutti. C’è da ribellarsi di fronte a qualsiasi forma di governo che procede sulla stessa linea del precedente!“Hai ragione” – mi ha risposto – “ne va della nostra dignità!”Eh già. La dignità. Non ci avevo pensato. Mio padre lo sa bene che cosa è la dignità. E’ un operaio.

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