Minà, com'è nato questo progetto?
"Sono trent'anni che frequento Cuba, anche dopo la fine delle ideologie: comunismo, capitalismo... Mi piaceva tentare di capire dopo 50 anni come mai sia sopravvissuta, smentendo sempre tutti. E' ancora lì, e soffre meno i fallimento dell'economia globale e neoliberale: questo perché è un paese che ha una vita spartana, c'è molta solidarietà tra le gente. Da piccolo esperto di Cuba e di America Latina, vedo come si sia sviluppata lì una coscienza collettiva e solidale: questo è il suo segreto. Anche il dissidente, che è più ricco, non nega il suo aiuto".
Quale episodio che vediamo nel film l'ha colpita particolarmente?
"Noi giornalisti andiamo in un Paese, prendiamo un taxi, parliamo col tassista e riteniamo di aver capito tutto. Ma anch'io, una traversata così nelle viscere dell'isola non l'avevo mai fatta. Mi ha colpito che è l'unico paese che, anche nelle zone interne, non solo nelle città, ha tutte le cose fondamentali per la sopravvivenza e per la vita: una casa col bagno, un'organizzazione educativa, una sanità che funziona benissimo. Cose che in America Latina non hanno tutti. Cuba ha organizzato ponti arei per operare agli occhi 500 mila persone che la fame aveva fatto ammalare: anche questo è un modo di fare diplomazia. Così come aver formato 10 mila medici di altri Paesi dell'area".
Lei cita solo luci. E le ombre?
"Il partito, che è presente ovunque. A me che ho avuto la fortuna di non aver frequentato partiti in Italia, e infatti da anni sono epurato in Rai, la cosa mi sorprende negativamente".
C'è poi la questione dei diritti umani violati.
"In Colombia hanno scoperto una fossa comune con duemila cadaveri. Ma lì il presidente non è stato citato al Tribunale dell'Aja. E in Messico, con i tanti omicidi e il narcotraffico? Ma di cosa stiamo parlando? Gli ultimi dissidenti a Cuba li hanno liberati quest'anno mandandoli con tutte le famiglie in Spagna. Ma loro vogliono tornare. Certo, a volte anche la risposta cubana, con la sindrome dell'assedio, è troppo dura: comincino gli Usa a non rompere tanto le scatole, e andrà meglio".
La parola Obama nel titolo non è casuale...
"Come tutte le persone sinceramente democratiche, so che se non si otterrà da lui, un cambio delle relazioni non lo avremo per chissà quanto tempo. Per ora c'è poca roba: giusto aprire un pochino ai viaggi a Cuba. E poi qualche giorno fa c'è stato un passo indietro: Cuba è stata inserita nell'elenco degli Stati canaglia, promotori del terrorismo. Oltre al danno una beffa: basta pensare che le vittime cubane di attentati organizzati in Florida, e messi in atto sull'isola, sono state tremila...". Il giudizio, a breve, spetterà ai cinefili veneziani.
(Repubblica)
Biografia
Minà e’ uno dei cinquanta, cento operatori culturali, comunicatori, o artisti che hanno ideato e affermato, in Italia, la televisione e il suo linguaggio. Ed è uno dei giornalisti italiani più conosciuti all’estero per i suoi reportages e documentari spesso realizzati in collaborazione con network internazionali.Gianni nato a Torino il 17 maggio 1938, ha iniziato la carriera come giornalista sportivo nel 1959 a Tuttosport (di cui sarebbe stato, successivamente, direttore dal ’96 al ’98). Nel 1960 ha esordito alla Rai come collaboratore dei servizi sportivi per le Olimpiadi di Roma.Nel 1965, dopo aver esordito al rotocalco sportivo Sprint diretto da Maurizio Barendson, ha incominciato a realizzare reportages e documentari per tutte le rubriche che hanno evoluto il linguaggio giornalistico della televisione, Tv7, AZ, i Servizi speciali del TG e poi Dribbling, Odeon, Gulliver. Ha così seguito otto mondiali di calcio e sette olimpiadi oltre a decine di campionati mondiali di pugilato, fra cui quelli storici dell’epoca di Muhammad Alì.Ha anche realizzato, in più di trent’anni, una Storia del Jazz in quattro puntate e programmi sulla musica popolare centro e sudamericana, oltre a una storia sociologica e tecnica della boxe in 14 puntate intitolata Facce piene di pugni. E’ stato, al fianco di Maurizio Barendson e Renzo Arbore fra i fondatori de L’altra domenica, un programma che ha fatto epoca. Nel 1976, anno in cui, dopo 17 anni di precariato, Minà è stato assunto al Tg2 diretto da Andrea Barbato, ha incominciato a raccontare la grande boxe e l’America dello show-business, ma anche dei conflitti sociali delle minoranze. Sono iniziati in quegli anni anche i reportage dall’America Latina che hanno caratterizzato la sua carriera. Nel 1981 il Presidente Pertini gli consegnò il Premio Saint Vincent come miglior giornalista televisivo dell’anno. Nello stesso periodo, dopo aver collaborato a due cicli di Mixer di Giovanni Minoli, ha esordito come autore e conduttore di Blitz, il programma innovativo di Rai Due che occupava tutta la domenica pomeriggio e nel quale sono intervenuti protagonisti come Federico Fellini, Eduardo De Filippo,De Andrè,Muhammad Alì, Robert De Niro, Jane Fonda, Gabriel Garcia Marquez, Enzo Ferrari, ecc..
Nel 1987 Minà ha intervistato una prima volta per 16 ore il presidente cubano Fidel Castro in un documentario diventato storico e dal quale è stato tratto un libro pubblicato in tutto il mondo. Dallo stesso incontro è stato tratto Fidel racconta il Che, un reportage nel quale il leader cubano per la prima ed unica volta racconta l’epopea di Ernesto Guevara.Nel 1990 il giornalista ha ripetuto l’intervista, dopo il tramonto del comunismo. I due incontri sono ora riuniti in un libro edito da Sperling & Kupfer intitolato Fidel. Nel l991 Minà ha realizzato il programma Alta Classe, una serie di profili di grandi artisti come Ray Charles, Pino Daniele, Massimo Troisi, Chico Buarque de Hollanda e altri. Nello stesso anno, ha presentato la Domenica sportiva e ideato il programma di approfondimento Zona Cesarini che seguiva la tradizionale rubrica riservata agli eventi agonistici. Tra gli altri programmi realizzati, Un mondo nel pallone, Ieri, oggi… domani? con Simona Marchini ed Enrico Vaime e due edizioni di Te voglio bene assaje lo show ideato da Lucio Dalla e dedicato un anno alle canzoni di Antonello Venditti, e l’altro di Zucchero.Fra i documentari di maggior successo, alcuni di carattere sportivo su Nereo Rocco, Diego Maradona e Michel Platini, Carlos Monzon, Edwin Moses, Pietro Mennea e Cassius Clay-Muhammad Alì, che Minà ha seguito in tutta la sua carriera e al quale ha dedicato un lungometraggio intitolato Una storia americana.Nel 2001, in particolare, Minà ha realizzato Maradona: non sarò mai un uomo comune un reportage-confessione con Diego Maradona alla fine dell’anno più sofferto per la vita dell’ex calciatore. Maradona, per 70 minuti, racconta il suo controverso rapporto con l’Argentina e la politica del suo paese, il suo soggiorno a Cuba, la sua ammirazione per Che Guevara e infine come e perché ha deciso di lasciare il calcio.Nel 1992 il giornalista ha iniziato un ciclo di opere rivolte al continente latinoamericano: Storia di Rigoberta sul Nobel per la pace Rigoberta Menchù (premiato a Vienna in occasione del summit per i diritti umani organizzato dall’Onu), Immagini dal Chiapas (Marcos e l’insurrezione zapatista) presentato al Festival di Venezia del 1996, Marcos: aquì estamos (un reportage in due puntate sulla marcia degli indigeni Maya dal Chiapas a Città del Messico con una intervista esclusiva al Subcomandante realizzata insieme allo scrittore Manuel Vázquez Montalban) e Il Che trent’anni dopo ispirato alla vicenda umana e politica di Ernesto Che Guevara.
Nel 2004 Minà è riuscito a dar corpo a un progetto inseguito per undici anni e basato sui diari giovanili di Ernesto Guevara e del suo amico Alberto Granado quando, nel 1952, attraversarono in motocicletta e poi, con tutti i mezzi possibili, l’America Latina, partendo dall’Argentina e proseguendo per il Sud del Cile, il deserto di Atacama, le miniere di Chuquicamata, l’Amazzonia peruviana, la Colombia e il Venezuela. Dopo aver collaborato alla costruzione del film tratto da questa avventura e intitolato I diari della motocicletta, prodotto da Robert Redford e Michael Nozik e diretto da Walter Salles (il regista che fu candidato all’Oscar per Central do Brasil) Minà ha realizzato il lungometraggio In viaggio con Che Guevara, ripercorrendo con Alberto Granado ora ultraottantenne, quell’avventura mitica che cambiò la sua vita e quella del suo amico Ernesto.
L’opera invitata al Sundance Festival, alla Berlinale e ai Festival di Annecy, di Morelia (Messico), di Valladolid e di Belgrado, ha vinto il Festival di Montreal e in Italia il Nastro d’Argento, il premio della critica.Collaboratore per anni di Repubblica, Unità, Corriere della Sera e Manifesto, Minà ha realizzato dal ’96 al ’98 il programma televisivo Storie, dove sono intervenuti alcuni dei protagonisti del nostro tempo (Dalai Lama, Luis Sepulveda, Martin Scorsese, Naomi Campbell, John John Kennedy, Pietro Ingrao, ecc.) e dal quale sono stati tratti due libri. Un suo saggio Continente desaparecido, realizzato con interviste a Gabriel Garcia Marquez, Jorge Amado, Eduardo Galeano, Rigoberta , mons. Samuel Ruiz, Frei Betto e Pombo e Urbano, compagni sopravvissuti a Che Guevara in Bolivia ha dato il titolo a una collana di saggi sull’America Latina edita dalla Sperling & Kupfer, tuttora da lui diretta.Nel 2003 Minà ha scritto Un mondo migliore è possibile, un saggio sulle idee germogliate al Forumsociale mondiale di Porto Alegre che stanno cambiando l’America Latina e che è stato già tradotto in lingua spagnola, portoghese e francese. Nel 2005 è uscito Il continente desaparecido è ricomparso, dove questo nuovo vento politico è interpretato da Eduardo Galeano, Fernando Solanas, Hugo Chávez, presidente del Venezuela, Gilberto Gil, cantautore e ministro della Cultura del Brasile e dagli scrittori Arundati Roy, Tarik Ali, Luis Sepulveda, Paco Taibo II e dai teologi Leonardo Boff e Francois Houtart. Attualmente il giornalista edita e dirige la rivista letteraria Latinoamerica e tutti i sud del mondo (www.giannimina-latinoamerica.it) un trimestrale di geopolitica dove scrivono gli intellettuali più prestigiosi del continente americano.
Nessun commento:
Posta un commento