29 mag 2011

PARTITURA DELLA CICALA (Eugenio Montejo)

La cicala non canta per ozio,
non è venuta per distrarsi,
il suo grido forestale non è l'addobbo
di una qualsiasi aria bucolica,
il canto è sempre stato il suo lavoro.
Esso è scritto nella sua errante partitura,
il solito di ieri e di domani,
il canto che ascoltiamo da lei e in sua assenza,
quello che nella sua cenere ancora suona,
lo stesso che i morti continuano a sentire. 
Non c'è riposo nel suo grido,
né vanità né goccia di menzogna,
il canto è lei stessa,
è legato al suo corpo come un'ala.
Farlo ascoltare, portarlo sulla terra,
per coloro che non ci sono più eppure l'ascoltano,
per chi come noi più tardi mancheremo,
diffonderlo nel mondo: è questo il suo lavoro.

Avremo sempre più canto che cicala,
(il corpo si consuma presto,
scompaiono occhi, ali, ombre,
ma ci rimane intero il cantabile),
avremo sempre più terra che esistenza
e più canto che terra
e più assenza che nostalgia.

so bene che un giorno non tornerò in questi boschi,
nessuno saprà in quale spazio la mia vita si ritira
fino a restare occulta nel mistero,
circondata da incessanti clamori,
e sarà come ieri, come domani o come mai,
senza ore opportune o inopportune, solo con un grido
solitario che cresce nella notte e viene via con me

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