30 apr 2011

1° Maggio 1947 "PORTELLA DELLA GINESTRA"

Era  il 1° Maggio 1947 quando a Portella della Ginestra nel Palermitano si consumò quella che si può considerare la prima strage di Stato del periodo repubblicano.La madre di tutte le stragi.Un atto terroristico che causò la morte di 11 persone (di cui due bambini) e il ferimento di altre 27 persone di cui nei giorni seguenti 6 persero la vita a causa delle ferite riportate quel 1° maggio del 1947.Un gruppo di fuoco,secondo la versione ufficiale,capeggiato dal bandito Salvatore Giuliano,mosso da un “sincero” spirito anticomunista,sparò,anche con armi da guerra,su contadini inermi riunitisi per celebrare la festa dei lavoratori,la loro festa.Un evento che vide la connivenza,una logica che l’Italia e gli italiani impareranno a conoscere bene,tra il potere mafioso,allora strettamente connesso ai latifondisti,il banditismo,con a capo Salvatore Giuliano, le più alte sfere dello Stato Italiano,uno su tutti il Ministro degli Interni Mario Scelba,i fascisti appartenenti alla X Mas,Junio Valerio Borghese, e  i Servizi Segreti americani.Lo Stato italiano nei giorni seguenti fece di tutto per relegare quel eccidio al di fuori di una logica politica.Per Scelba e i Carabinieri quello fu solamente un delitto mafioso,compiuto ai danni di contadini comunisti,in una Regione che, qualche settimana prima (20 aprile 1947), aveva visto la coalizione PSI – PCI conquistare 29 rappresentanti (con il 29% circa dei voti) all’Assermblea regionale Siciliana contro i soli 21 della DC (crollata al 20%).
Le vittime erano
1.Margherita Clesceri
2.Giorgio Cusenza
3.Giovanni Megna (18 anni)
4.Giovanni Grifò (12 anni)
5.Vincenza La Fata (7 anni)
6.Giuseppe Di Maggio
7.Filippo Di Salvo
8.Francesco Vicari
9.Castrenze Intravaia
10.Serafino Lascari
11.Vito Allotta (19 anni)
12.Vincenza Spina
13.Eleonora Moschetto
14.Giuseppa Parrino
15.Provvidenza Greco
16.Vincenzo La Rocca

(Dichiarazione di Gaspare Pisciotta luogotenente di Salvatore Giuliano)«
Il Giuliano allora si è avvicinato a me chiedendomi dove fosse mio fratello. Ho risposto che si trovava in paese con un foruncolo. Egli allora mi ha detto: “È venuta la nostra liberazione”. Io ho chiesto: -E qual è?- Ed egli di rimando mi disse: “Bisogna fare un’azione contro i comunisti: bisogna andare a sparare contro di loro, il 1° maggio a Portella della Ginestra. Io ho risposto dicendo che era un’azione indegna, trattandosi di una festa popolare alla quale avrebbero preso parte donne e bambini ed aggiunsi: “Non devi prendertela contro le donne ed i bambini, devi prendertela contro Girolamo Li Causi (segretario regionale del PCI) e gli altri capoccia”
La Storia a cura di Antonello Savoca(fonte La storia siamo noi)
Il primo maggio del 1947, nei pressi della Piana degli Albanesi, vicino Palermo, durante la Festa del Lavoro, alcuni banditi spararono sulla folla e uccisero 12 persone, ferendone più di 30. In quella circostanze si compì la strage di Portella della Ginestra: per molti, il primo grande mistero dell’Italia repubblicana. I colpi, come si seppe in seguito, furono sparati da Salvatore Giuliano, il leggendario bandito di Montelepre, protagonista del dopoguerra criminale in Sicilia e dalla sua banda; non si è mai saputo, invece, il movente di quell’eccidio, chi lo abbia ordinato e chi abbia coperto le indagini successive.Lo sbarco in Sicilia e la mafia siciliana ..Tutto ebbe inizio il 9 luglio 1943, quando le truppe anglo-americane sbarcano in Sicilia. In soli 10 giorni le truppe della settima armata americana e della ottava armata britannica conquistarono due terzi dell’Isola. Palermo subì pesanti bombardamenti e cedette il 22 luglio. Dopo fu la volta di Messina, dove le divisioni italiane Livorno e Napoli e il XIV corpo d’armata tedesco resistettero fino al 17 agosto. A Cassibile, emissari del governo Badoglio firmarono il 3 settembre l’armistizio con le delegazioni degli Alleati.Numerosi italo-americani furono inseriti nelle truppe di occupazione, sollevando per la Sicilia il problema del ruolo esercitato dalla mafia siculo-americana nelle operazioni di sbarco e poi nel controllo dell’isola.La mafia entrò in scena soprattutto nella fase successiva lo sbarco, in rapporto al controllo sociale del territorio. Numerosi furono i sindaci mafiosi insediati dagli alleati: il caso più noto fu quello del mafioso Calogero Vizzini designato sindaco di Villalba, in provincia di Caltanissetta dal tenente americano di nome Beehr dell'AMGOT, l'Allied Military Government of Occupied Territory (Governo Militare Alleato dei Territori Occupati).
Per gli abitanti dell’isola, il dopoguerra aveva avuto inizio, ma i viveri scarseggiavano.

Diminuivano infatti le razioni alimentari concesse ed il mercato nero si allargava a macchia d’olio. Chi produceva il frumento ne consegnava agli ammassi di Stato solo una parte. Il resto lo vendeva al mercato nero, di contrabbando. Salvatore Giuliano: da contrabbandiere a latitante All’epoca quasi tutti i ragazzi di Montelepre lavoravano nel mercato nero e tra questi, in particolare, spiccavano due personaggi: Gaspare Pisciotta (soprannominato “Aspanu” dagli amici, nato a Montelepre nel 1924), più volte fermato dalla Polizia e Salvatore Giuliano (nato nel 1922, a quell’epoca ancora solo un giovane contadino).Quest’ultimo, per sfamare la sua famiglia era disposto a tutto, tanto che il 3 settembre 1943, all’età di ventun’anni, scambiò qualche chilo di frumento per una pistola.Le forze dell’ordine avevano già sequestrato il grano a Giuliano più di una volta, ma questo non servì a fermarlo: tutt’altro. L’episodio che lo trasformò in un latitante avvenne proprio quel 1943, quando, fermato ad un posto di blocco mentre trasportava due sacchi di frumento, i militari gli spararono sei colpi di moschetto. Due proiettili lo colpirono al fianco destro facendolo cadere a terra, ma il giovane reagì sparando ad un carabiniere che rimase ucciso

Da qui ha inizio la storia di Salvatore Giuliano e della sua banda. Mariannina Giuliano, sorella del bandito ha raccontato: “Mio fratello non aveva la minima intenzione di uccidere….” Durante la fuga nella macchia a Giuliano cadde la giacca dove era nascosta la sua carta d’identità che fu trovata dalla polizia e, da quel momento, il bandito divenne un ricercato a tutti gli effetti. Prima di rifugiarsi tra le montagne di Montelepre Giuliano liberò a Monreale alcuni detenuti e formò una banda, la sua banda.
Trovato un rifugio, su quelle montagne li raggiunse anche Gaspare Pisciotta (arruolatosi tempo prima nell’esercito e catturato mentre combatteva contro i tedeschi), che nel 1945 era tornato dalla prigionia in Germania e da quel momento diventò il braccio destro del bandito Giuliano.Le attività di tutte le bande che in quegli anni infestavano le montagne della Sicilia consistevano in furti di bestiame, rapine, sequestri, ricatti e omicidi. In poco tempo, tuttavia, le forze dell’ordine riuscirono a sgominarle tutte, tranne quella di Salvatore Giuliano, che riuscì piuttosto a rafforzare la sua ascesa criminale.I contadini hanno fame di terra: il mito Giuliano

Le zone intorno a Portella erano attraversate da un’antica tradizione rossa e di lotte per la terra che vedevano contrapporsi mafia e movimento contadino.Nell’immediato dopoguerra, nei latifondi dei grandi proprietari terrieri cominciò uno scontro durissimo per la decisione che fu presa a Roma, dal governo, circa l’ abolizione la mezzadria. La reazione dei contadini fu immediata: occuparono le terre dei proprietari e questo provocò gravi conseguenze che si trasformarono in veri e propri scontri a fuoco.Da una parte i proprietari terrieri, che pur di non rinunciare ai loro privilegi, erano disposti anche ad usare il braccio armato della Mafia contro i contadini affamati; dall’altra i contadini che iniziarono a capire l’importanza dei loro diritti sulla terra grazie ai comizi politici che iniziarono nel 1944. Emblematico fu quello organizzato il 16 settembre di quello stesso anno, in cui il segretario del partito comunista in Sicilia, Girolamo Li Causi, affrontò le problematiche dei contadini davanti al capo della mafia di allora: Calogero Vizzini. “Fu un movimento di popolo straordinario- racconta Emanuele Macaluso, ex dirigente comunista siciliano- con scontri molto duri e violenti. Io nel ‘44 accompagnai Li Causi a Villalba per fare un comizio dove non si doveva parlare perché c’era Calogero Vizzini e per la prima volta la mafia sparò. Spararono con le pistole e Li Causi fu ferito ad un ginocchio”.Naturalmente contro i comizi e le manifestazioni del movimento contadino, la mafia, come d’abitudine, non poteva usare mezze misure: oltre alla protesta vennero stroncate decine di vittime tra sindacalisti e contadini.
In quelle terre però si muoveva la banda di Salvatore Giuliano e la sua gente iniziava a guardarlo con la speranza di un riscatto contro i proprietari e contro la mafia. Giuliano per tutti divenne un giustiziere: il nemico dei ricchi che proteggeva i poveri, come fu definito da molti. La fama del bandito, nemico dei superbi e protettore degli umili dilagò rapidamente. Molti siciliani, non avendo nient’altro in cui credere, cominciarono a credere che Giuliano incarnasse lo spirito ribelle dell’isola.Continua Emanuele Macaluso: “Quindi c’è un mito e in quelle zone il mito significa qualche cosa, significa che questo uomo da un canto è in grado di sfidare lo Stato e dall’altro canto è anche un uomo che pensa al popolo.”L’ascesa del MIS e Giuliano colonnello dell’Evis.In quel periodo la mafia ebbe anche un ruolo decisivo nella vicenda del Movimento per l’Indipendenza Siciliana, di cui in qualche modo costituì il braccio armato con la massiccia presenza di mafiosi nell’EVIS (Esercito Volontario per l’Indipendenza della Sicilia). All’indomani dello sbarco alleato nell’isola, il MIS proponeva addirittura di annettere la Sicilia agli Stati Uniti d’America, come 49° stato.

Il movimento attribuiva all’Italia l’arretratezza, la miseria e tutti i mali della Sicilia. Ma il suo vero obiettivo era quello di lasciare immutate le secolari condizioni sociali dell’isola.Ancora Malacuso racconta che “un forte movimento separatista fu sollecitato e organizzato dagli agrari, fu sostenuto dalla mafia ed ebbe come guida politica Andrea Finocchiaro Aprile”.Questa situazione, però, ebbe vita breve. Sopravvisse solo fino al settembre del 1945 quando il governo di unità nazionale ordinò l’arresto di Andrea Finocchiaro Aprile. “Quando i separatisti si guardarono intorno per cercare qualcuno da usare appunto come strumento di ricatto violento sulle nascenti istituzioni, fu logico che si rivolgessero a Giuliano, e Giuliano fu nominato pomposamente colonnello dell’EVIS, e i suoi interlocutori politici furono sostanzialmente questi: i separatisti.”- racconta lo storico Salvatore Lupo.Nell’EVIS Giuliano vide la possibilità del suo riscatto e dei crimini commessi. Nel quartier generale del bandito, a Sagana, a pochi chilometri da Montelepre, alcuni separatisti si recarono dal bandito per offrirgli il grado di colonnello, la bandiera dell’EVIS e la promessa di amnistia a vittoria separatista avvenuta.Fu così che dal dicembre 1945 al febbraio 1946, la banda Giuliano iniziò così una serie di attentati contro le caserme dei carabinieri, provocando decine di vittime. Orami Giuliano non era più un bandito comune ma una sorta di terrorista che agiva sotto la bandiera politica del separatismo.Ma in Italia le cose stavano per cambiare: il 4 gennaio 1947 Il Presidente del Consiglio Alcide De Gasperi si recò in America per un incontro con il Presidente Henry Truman.Quel viaggio per il nostro Paese risultava di fondamentale importanza perchè De Gapseri ricevette un assegno per la ricostruzione del paese in cambio di un impegno a combattere il comunismo. Dopo qualche mese il nuovo governo De Gasperi escluderà, per la prima volta dalla fine della guerra, comunisti e socialisti.Al contrario in Sicilia- regione a statuto speciale- il 20 aprile 1947 il Blocco del Popolo (la coalizione elettorale, di sinistra, costituita in occasione delle elezioni politiche del 1948 e formata dal Partito Comunista Italiano, Partito Socialista Italiano e dal Partito Democratico del Lavoro) vinse a sorpresa le elezioni regionali. Quella vittoria significò che il popolo siciliano, rafforzato dalla lotta per l’autonomia e per la pace , anche sotto la pressione delle forze reazionarie, riuscì a salvare la conquista dell’istituto autonomistico e volle continuare a percorrere le vie segnate dallo statuto e dalla costituzione. Ma quella delle sinistre fu una vittoria relativa, che costrinse la Democrazia Cristiana ad allearsi con la destra monarchica, qualunquista e separatista.In tali circostanze è probabile incontrare un primo indizio che possa far capire meglio la strage di Portella della Ginestra, visto che in quel periodo la storia politica della Sicilia non smise di incrociarsi con le vicende della banda su Salvatore Giuliano.Dopo la vittoria delle sinistre in Sicilia, le stesse persone che avevano assoldato Giuliano nella causa separatista, gli chiesero di combattere il comunismo con un’azione dimostrativa. E l’occasione si presentò dieci giorni dopo la vittoria del Blocco del Popolo: proprio durante il primo maggio del 1947, quando circa duemila persone si diedero appuntamento nella piana di Portella della Ginestra per la Festa del Lavoro.

Quei duemila lavoratori si riunirono anche per manifestare anche contro il latifondismo, a favore dell’occupazione dei terreni incolti. Sull’onda della mobilitazione contadina che si era andata sviluppando in quegli anni le sinistre avevano ottenuto un successo significativo (come già detto), ribaltando il risultato delle elezioni per l’Assemblea costituente. La Democrazia cristiana era scesa dal 33,62% al 20,52%, mentre le sinistre avevano avuto il 29,13% (alle elezioni precedenti il Psi aveva avuto il 12,25% e il Pci il 7,91%). Ma quella giornata di festa del primo maggio del ’47, si trasformò in una tragedia perché raffiche di mitra uccisero 12 persone e ne ferirono più di 30, molti dei quali donne e bambini. Solo qualche mese dopo si seppe che i colpi erano stati sparati dal bandito Salvatore Giuliano (colonnello dell’Esercito Separatista Siciliano) e dai suoi uomini. Si seppe anche dai rapporti delle forze dell’ordine sulla strage che gli elementi reazionari erano in combutta con i mafiosi locali.Eppure già due giorni dopo la strage di Portella della Ginestra, l’allora Ministro dell’Interno Mario Scelba, rilasciò la prima dichiarazione ufficiale che affermava: “Questo non è un delitto politico e non può essere un delitto politico, perché nessuna organizzazione politica potrebbe rivendicare a sé la manifestazione e la sua organizzazione”.Gli esecutori materiali vennero individuati da quattro cacciatori che quel primo maggio 1947 erano sulle montagne di Portella della Ginestra per una partita di caccia. Questi dichiararono di essere stati disarmati e sequestrati da un gruppo di uomini che poi si misero a sparare sulla folla. Tra loro un uomo con l’impermeabile bianco e il binocolo al collo che identificarono in seguito come Salvatore Giuliano.
Ad una sola settimana dalla strage, un giornalista americano di nome Mike Stern, residente a Roma, decise di condurre un’inchiesta su Salvatore Giuliano e riuscì ad incontrarlo tra le montagne, dove si rifugiava con la sua banda.Dopo tanti anni Stern racconta a “La Storia Siamo Noi”: “Leggevo il Messaggero e c’era un articolo su un bandito…Non avevo nessuna idea di cosa era vero nel Messaggero…”Una volta arrivato a Palermo l’8 maggio 1947, Stern si recò subito in Questura: “Prima sono andato in questura e ho visto tutto il fascicolo su Giuliano e mi ha detto che lui era espatriato in Francia. Poi sono andato a Montelepre e nessuno, io chiedevo in quale casa abita Giuliano, mai sentito, nessuno sapeva niente”.Fu il padre di Giuliano ad avvicinarsi al giornalista e a portarlo nella sua abitazione: “Mi hanno bendato, qualcuno si è messo a guidare la mia jeep. Non so dove andavamo, ma Giuliano era da qualche parte forse dieci, quindici minuti distante dalla casa di Montelepre…Era un bel uomo, e l’impressione mia è che se lui non aveva il primo incidente, la sua vita sarebbe stata diversa, lui voleva fare l’impiegato delle telecomunicazioni.”All’epoca, dopo l’incontro con il bandito, Mike Stern aveva sostenuto che “Turiddu Giuliano se non uccidesse sarebbe la persona migliore di questo mondo.”
Durante il colloquio, per circostanze ancora sconosciute Mike Stern decise di non menzionare la strage di Portella e quindi di non portare avanti la sua inchiesta sul bandito Giuliano. Al contrario, il giornalista decise di lasciare la Sicilia e di tornare a Roma, dove, nella sede della stampa estera, in via della Mercede, cominciò a scrivere il suo articolo, con un taglio differente da quello che aveva immaginato prima del suo viaggio.

In Sicilia, intanto, Giuliano continuava a seminare il terrore tra i comunisti dell’isola. Durante la notte tra il 22 e il 23 giugno del ‘47, la banda ricominciò a sparare. Questa volta, contro le sezioni comuniste e le Camere del Lavoro di Partitico: Cinisi, San Giuseppe Jato, Borgetto, Monreale, provocando due morti e decine di feriti.Durante un conflitto a fuoco, avvenuto il 27 giugno del 1947, la Polizia riuscì finalmente a trovare un uomo della banda Giuliano, Salvatore Ferreri: ma il bandito in quello scontro venne ucciso, dai Carabinieri insieme a suo padre Vito, suo zio Antonino Coiraci e ai suoi compari Giuseppe e Fedele Pianelli.In tasca, però, i poliziotti trovarono una lettera scritta proprio da Salvatore Giuliano destinata al Mike Stern, che però non lesse mai. In quella lettera Giuliano scriveva: “Signor Stern, con i migliori auguri lo saluto caramente. Prego se gli è possibile fargli avere codesta al comando americano. La ringrazio infinitamente.Ed ancora: “Egregi signori, Non credeti che sia quel bandito che il governo italiano naturalmente dovrà chiamarmi. E mi credeti tali di poter lottare anch’io quei vili rossi. Se qualcuno di voi venite, vi prego non venire in divisa ma vestiti in borghesi, anche per maggior sicurezza vi fareti accompagnare dallo stesso Stern”.La ovvia domanda che venne posta in seguito fu la seguente: cosa c’entravano gli americani con le vicende del bandito Giuliano?All’epoca della strage di Portella, alcuni esponenti delle forze di polizia, anche elevati, erano profondamente inquinati da contatti, scambi di favore con i gruppi briganteschi, quindi una decisa azione investigativa avrebbe svelato tali complicità. Ovviamente dopo la strage di Portella della Ginestra, questi rapporti divennero scomodi. In questo intreccio oscuro, Giuliano e il resto della banda continuavano ad essere imprendibili. I giornali che parlavano di lui riportavano le voci più diverse, parlando di espatrio, di latitanza o di morte del bandito.
Fu il 20 settembre 1947, che lo stesso Giuliano decise di rompere il silenzio con una lettera al direttore del quotidiano La Voce della Sicilia, il comunista Girolamo Li Causi, al quale scriveva: “Signor Direttore, seguendo le ulteriori vicendi delle ultime notizie dei giornali un socche di delirio mi sorprende come il mio nome è cascato nelle spuderate bocche di tutti questi signori e signoroni. Se la mia domanda incontri un sentimento ragionevoli, voglio chiedere, come mai un Giuliano amatore dei poveri, e nemico dei ricchi, può andare contro la massa operaia?”A quella lettera il segretario comunista Li Causi rispose così: “Tu sei perduto, la tua vita è finita; sarai ucciso o a tradimento dalla Mafia, che oggi mostra di proteggerti, o in conflitto dalla polizia. Denunzia alto e forte con tutti i particolari, con quella precisione che i lunghi affanni e le notti insonni hanno scolpito nella tua memoria, chi ha armato la tua mano, inchioda alla loro responsabilità tutti coloro che ti hanno indotto al delitto, e che ora ti abbandonano e ti tradiscono.

Girolamo Li Causi, primo segretario del PCI siciliano sostenne che il bandito Giuliano fu solo l’esecutore materiale della strage mentre i mandanti sarebbero stati i mafiosi e gli agrari che vollero lanciare un messaggio subito dopo la vittoria del Blocco del Popolo alle elezioni regionali.Al contrario l’allora Ministro degli Interni Mario Scelba sostenne, in un intervento all’Assemblea Costituente, che bisognava ritenere quell’episodio circoscritto alla banda di Giuliano e non legato a finalità politiche o terroristiche.
Tuttavia dopo la schiacciante vittoria della DC alle elezioni politiche del 18 aprile ‘48, i comunisti facevano meno paura di prima ed il bandito Giuliano non aveva più motivo di esistere. Fu proprio il suo braccio destro, Gaspare Pisciotta a porre fine alla vita di Giuliano su commissione del Ministro Mario Scelba, come sostenne lo stesso Pisciotta in seguito.L’attentato a Giuliano si compì il 5 luglio del 1950 a Castelvetrano, dove il bandito si era recato attratto da Gaspare Pisciotta.Ma i titoli dei giornali parlavano di uno scontro a fuoco tra i Carabinieri ed il bandito durato più di mezz’ora. Solo a dieci giorni dalla morte di Giuliano il settimanale l’Europeo pubblicò un articolo di Tommaso Besozzi dal titolo: “Di sicuro c’è solo che è morto”, demolendo così la versione ufficiale dei carabinieri.La morte del bandito Giuliano avvenne mentre nel tribunale di Viterbo era in corso il dibattimento di primo grado per i fatti di Portella della Ginestra; iniziato nel giugno del 1950: quel processo si concluse nel 1952, dopo 217 udienze.Gli imputati furono 31, divisi in due gabbie diverse: una per i picciotti, una per i veri componenti della banda. I primi vennero assolti per aver commesso la strage in stato di soggezione, gli altri vennero condannati all’ergastolo.Tra i componenti della banda spiccavano: Francesco Gaglio inteso ‘Reversino’, Antonino Terranova, inteso ‘Cacaova’, i fratelli Giovanni e Giuseppe Genovese, Frank Mannino, (‘Ciccio Lampo’), Francesco Pisciotta (‘Mpompò’), Pasquale ‘Pino’ Sciortino, Nunzio Badalamenti.Gaspare Pisciotta venne arrestato solo a processo iniziato. Oltre a confessarsi responsabile della morte di Giuliano, Pisciotta rilasciò una serie di dichiarazioni e accuse contro la Politica e le forze dell’ordine, secondo lui corresponsabili di connivenze con il banditismo.Nel processo di Viterbo non venne toccato il problema dei mandanti della strage e dell’offensiva contro il movimento contadino e le forze di sinistra, affermando esplicitamente che la causa doveva essere ricercata altrove. In quell’occasione Pisciotta affermò anche: “Coloro che ci avevano fatto le promesse si chiamavano così: il deputato DC Bernardo Mattarella, il principe Alliata, l'onorevole monarchico Marchesano e anche il signor Scelba… Furono Marchesano, il principe Alliata, l'onorevole Mattarella a ordinare la strage di Portella… Dopo le elezioni del 18 aprile 1848, Giuliano mi ha mandato a chiamare e ci siamo incontrati con Mattarella e Cusumano; l'incontro tra noi e i due mandanti è avvenuto in contrada Parini, dove Giuliano ha chiesto che le promesse fatte prima del 18 aprile fossero mantenute. I due tornarono allora da Roma e ci hanno fatto sapere che Scelba non era d'accordo con loro, che egli non voleva avere contatti con i banditi.”Nel 1954 anche Gaspare Pisciotta fu assassinato in carcere, avvelenato con un caffè alla stricnina, in seguito alle sue rivelazioni sulla strage del 1 maggio 1947. Il bandito, come riportato qui sopra, aveva infatti sostenuto che l’uccisione di Giuliano era gli era stata ordinata proprio dopo gli accordi presi con il comandante delle forze anti-banditismo in Sicilia, che avrebbero tutelato Pisciotta qualora fosse stato arrestato. La verità su quella strage non si venne mai a sapere.


Lo storico Salvatore Lupo spiega che occorre sgombrare il campo dalla prima teoria, secondo cui la strage di Portella sia servita a impedire la conquista del potere regionale da parte delle forze di sinistra che avevano vinto le elezioni. In che modo un attacco di questo genere avrebbe potuto impedirlo? La sinistra in realtà non aveva affatto vinto le elezioni, ma si era imposta come gruppo di maggioranza relativa, ma un alleanza tra la sinistra e la DC, dopo la rottura dell’unità nazionale era impensabile, e dunque l’unica ipotesi realista era quella di un governo regionale della DC e dei gruppi di destra.Secondo Lupo possiamo immaginare due ipotesi: 1) All’interno della destra separatista e della destra in genere (gli interlocutori tradizionali di Giuliano), qualcuno può aver pensato che un gesto di terrorismo politico avrebbe radicalizzato la situazione, magari spingendo i comunisti all’insurrezione nella logica della provocazione…. Le forze di destra avrebbero avuto una forza molto maggiore nella trattativa con la Democrazia Cristiana, perché non bisogna dimenticare che per le forze di destra, che erano divise, la trattativa con la DC era imprescindibile, ma anche difficile, in quanto la DC avrebbe potuto tranquillamente scegliere con quali dei gruppi trattare, come di fatto avvenne. Sembra che qualcuno abbia dato delle istruzioni a Giuliano: da quì il famoso episodio del biglietto: domani dobbiamo andare a ammazzare i comunisti a Portella della Ginestra. Secondo Lupo questa è l' ipotesi sia la più plausibile.
2) L’avv. Varvaro si presentò nel collegio dominato dalla banda Giuliano e ottenne un modesto successo con il suo movimento della sinistra separatista; è possibile che il bandito avesse promesso al suo avvocato una quantità di voti e che avesse preso contatti con qualcuno e che non gli portò i voti promessi. In sostanza il movimento separatista di Varvaro non ebbe successo perché la sinistra resse e anzi resse bene. Così Giuliano volle punirli con il terrore. E le maggior vittime erano di Piana e che votarono per il blocco del popolo anziché per …Questa spiegazione vorrebbe ipotizzare che Giuliano stesso abbia preso l’iniziativa.

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