5 feb 2011

L’uomo che amava le stelle

C’era una volta un uomo così sognatore
che aveva trascorso gli anni, i mesi, le ore
insomma ogni istante, ogni secondo
non a vivere le cose del mondo,
ma solamente a contare le stelle
lontanissime, splendenti e belle
e poi le annotava su un quaderno voluminoso
senza concedersi mai un po’ di riposo.
Ce n’erano a cinque punte, a sei, a sette …
(erano tutte comunque perfette)
e ce n’era qualcuna così piccolina
da non avere neanche una sola puntina.
Luccicavano tremule nel firmamento
e solo guardandole lui era contento:
nessun’altra cosa gli stava a cuore
nè gli procurava gioia o dolore.
Per poterle osservare con più precisione
si era fatto costruire un alto torrione
(e così in alto arrivava
che le nuvole oltrepassava).
Quella scala di corsa saliva …
Giorno per giorno la vita fuggiva
e lui sempre lì, a contemplare le stelle
che sfavillavano irraggiungibili e belle:
gli sembravano quasi dei fiori
d’argento e d’oro, non di altri colori,
sbocciati in un prato blu come il mare …
ma non li poteva cogliere e nemmeno annusare.
Al principio arrivava in men che non si dica
in cima e gli pareva lieve la sua fatica,
ma ora era fragile e tutto bianco
e ad ogni gradino sempre più stanco,
però seguitava ancora a contare le stelle
luminose, gelide e belle.
Le guardava brillare nel cielo nero
e del loro incantesimo era prigioniero,
ma un giorno alla fine si arrese,
dall’evidenza sconfitto e comprese
che il tempo non gli sarebbe bastato
a completare ciò che aveva iniziato:
non sarebbe riuscito a contare tutte le stelle,
che scintillavano insensibili e belle,
anche se, tra le più grandi e le più piccoline,
gliene mancavano solo poche dozzine,
perché i suoi occhi si erano spenti
e più non distingueva le stelle lucenti.
Ora poteva solo immaginarle
e col rimpianto nel cuore sognarle.
Sentì che se ne andava ormai la sua vita
e prima che fosse del tutto finita
con un filo di voce, accorata e sincera,
rivolse al Cielo una preghiera.
E adesso è il custode di quell’azzurro giardino
e finalmente è così vicino
a quei fiori d’oro che non serve annaffiare
che, non solo li vede, ma li può toccare.

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