24 ott 2010

Salvatore Quasimodo Odissea, Libro XII, versi 106-145

Là abita Scilla e molesto è il suo latrare.
La sua voce è quella di un cucciolo di cagna
appena nato; ma Scilla è un mostro crudele:
né mortale, né dio, s'allieta se l'incontra.
Dodici piedi ha Scilla e tutti anteriori,
e sei colli lunghissimi, e ognuno ha una testa paurosa,
e ogni bocca tre fila di denti fitti e numerosi
pieni di nera morte. Metà del suo corpo
sprofonda nella grotta, e dal baratro sporgono le teste.
E Scilla, nel mare, spiando intorno allo scoglio,
pesca delfini e pescicani, o mostri ancora più grandi,
tra quelli che nutre la sonante Anfitrite.
Ancora un navigante non è passato incolume di là
con la sua nave; ma dal veliero dall'azzurra prora,
Scilla con ogni bocca porta via un uomo.
Vicino vedrai, ma più in basso un altro scoglio (...)
Là un fico selvatico, grande verdeggia di foglie,
e a quell'ombra la divina Cariddi ingoia livida l'acqua.
Tre volte da Cariddi rigurgita l'acqua in un giorno,
e tre volte l'inghiotte con strepito tremendo.
Non trovarti là quando Cariddi beve avida il mare:
nemmeno Poseidone potrebbe salvarti da morte...

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