15 mar 2012

Verso la sottomissione al sistema padronale!!!!!

Ogni volta che si parla di lavoro e di mancanza di competizione internazionale delle nostre aziende,si tira in ballo l'articolo 18 oppure altri sacrifici da fare per noi lavoratori,parlo da operaio metalmeccanico ma vale per tutti, infatti la realtà è che noi come lavoratori non possiamo mai aspirare di decidere cosa,quanto e come produrre,ci viene precluso di emanciparci non solo dalla schiavitù attuale,diventando padroni della nostra realtà e destino,ma anzi dovremmo piegarci alle condizioni della “competizione internazionale”, vale a dire alle condizioni del peggior sfruttamento.Agli occhi dei dirigenti dell’industria,del commercio e della finanza,non interessa nulla della condizione dei salariati,si tratta solo di questioni di “compatibilità”, cioè di sottomissione assoluta al sistema padronale,e di competitività,cioè di livelli di sfruttamento della manodopera,in ultima analisi un problema di costi e controlli,giammai di salvaguardia e di umanizzazione del lavoro.

L’essere umano ottiene la loro attenzione solo nell’ottica dell’interesse capitalistico,che guarda ai livelli produttivi,assenteismo,pause, turni,avvicendamenti,cioè all’utilizzazione della manodopera conforme ai calcoli e previsioni,ai parametri del saggio di profitto.Nelle loro quotidiane esortazioni,trascurano il fatto che produrre a livelli e nelle condizioni dei salariati cinesi o polacchi,non è una nostra necessità,ma quella di valorizzazione del capitale,in definitiva la convenienza della loro classe sociale di rapaci mantenuti. O ci adeguiamo,oppure,è detto a chiare lettere,ci tagliano i viveri,il necessario per vivere.Questa non è vista come violenza,ma come adesione alle “regole” del mercato.Questi dirigenti, esperti e propagandisti della “competizione internazionale” rivelano nella loro concreta ansia di disperazione per le sorti del loro sistema economico,la totale e violenta avversità per ogni cambiamento autentico, per un’umanità nuova e davvero affrancata dal bisogno e dal terrorismo dei padroni.
Da parte nostra non abbiamo nessuna necessità di accettare tale stato di cose,e nemmeno di scendere a compromessi con questo genere di pataccari dell’ideologia del “libero mercato”.Una società basata sulle diseguaglianze, sul sopruso impunito, sulla immeritocrazia, sull'ingiustizia sociale che lascia i potenti unici arbistri del destino dei più deboli non è una società umana. Non è una società sana e vivibile. Una società indifferente ai bisogni ed al dolore dove c'è gente che sfrutta la debolezza altrui per il proprio tornaconto nei modi più biechi e ruba allo stato, alla società e quindi a noi tutti per poi farsi paladino di non si sa quali progetti è una società morente.
 
Deserto di Rita Pani
Evidentemente, loro, frequentano meglio e non guardano intorno. Solo così si spiegherebbe la stupidità di questa gente al potere, concentrata a salvare se stessi senza pensare che la salvezza dell’economia risiede in noi, cittadini educati ed usi al consumo.Non hanno contezza di una realtà che spaventa e disarma, che lascia freddo e vuoto, spavento nell’anima.Basterebbe organizzare una gita educativa in un centro commerciale che sembra lo scenario apocalittico della fine di un’era, con le serrande tutte abbassate, e il ricordo dei tempi migliori nelle scatole vuote abbandonate dietro le vetrine che un giorno erano il richiamo e il passatempo della gente che ancora aveva gusto nell’oziare.Le scritte colorate restano a memoria di quell’ultimo giorno, in cui si vendeva tutto a uno, cinque o dieci euro, per cessata attività.I pochi rimasti aperti offrono sconti del 50 più 50; qualcuno azzarda un 70 più venti, e allora ci si chiede quale sia il prezzo reale della merce che vendono, per quanto tempo essi siano stati autorizzati a rapinare chi aveva bisogno di un paio di scarpe, di un paio di pantaloni o di un paio di mutande.Leggo basita le dichiarazioni di questi cafoni arricchiti che pretendono di sapere cosa dovrà essere il nostro destino, e che negano il futuro ai nostri figli e mi domando se davvero non sappiano che la fine è arrivata. Mi domando per quanto tempo ancora potranno fingere di essere in grado di indurre qualcuno a sperare.“Bisogna poter licenziare” dicono. Sembra che sia questa la formula magica per tornare a comprare il pane ogni mattina.

Licenziare ancora e di più. I padroni devono essere liberi di farlo.Giocano con i numeri fingendo di essere scienziati, ma forse davvero perché non hanno avuto il coraggio di fermarsi ad osservare il mondo che uccidono, di mischiarsi anche solo per un momento in modo da comprendere cosa stia diventando la sopravvivenza, quella che inevitabilmente più prima che poi, ci farà contare i morti per strada, perché è chiaro che alla fine vincerà colui che resterà in piedi.Più facili licenziamenti equivale a più facile schiavitù. Cottimisti a nero, magari neri, di quelli che non hanno nemmeno il diritto di lamentare, che li puoi stoccare direttamente sul posto di lavoro, al minimo della sopravvivenza.

Quelli che puoi gettar via sul greto di un fiume quando muoiono, perché spesso non sono risultati mai nemmeno in vivi. E poi il contratto capestro, quello a cui nemmeno un bianco potrà dire di no, perché è sempre meglio di nulla, perché hai una famiglia da sfamare, o da portare in quel che resta di un centro commerciale a calzarli e vestirli a pochi euro che però son sempre troppi, soprattutto se devi scegliere come investire quel poco danaro: mangio, mi curo la malattia o mi vesto?Il diritto al lavoro non deve essere un tabù, ci diranno prima o poi, e tanto siamo italiani e abbiamo insita l’arte di arrangiarci, di sopravvivere senza mai smettere di cantare o di sorridere, di prendere il sole anche se nemmeno ci avanza un piatto di spaghetti.Ogni volta che ci guardiamo intorno sappiamo che dovrà succedere qualcosa, poi ci rassegniamo perché in cuor nostro speriamo non succeda nulla, e poi ci addoloriamo perché ancora sappiamo che non serviamo più nemmeno per essere solo e soltanto come ci hanno creato: non esseri umani, ma consumatori.

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