26 ago 2011

Erich Fromm - Paura della Libertà

Intervista rilasciata da Erich Fromm a RSI (Radio Svizzera Italiana), dieci giorni prima della sua morte (Locarno 18 marzo 1980)
Introduzione: Con l'avvento del nazismo, Fromm lasciò la Germania, era il 1934.Emigrò negli Stati Uniti, dove rimase per lunghi anni.Più tardi si trasferì in Messico, continuò la sua attività di psicoanalista e di ricercatore, fu docente universitario.Il nazismo e l'esperienza della società industriale americana, costituiscono altri due momenti determinati della sua vita, continuò infatti le sue ricerche su individuo e società, orientandole da allora sopratutto sul rapporto tra l'uomo e l'autorità, sul significato della vita nella società industriale.
1) I. Prof. Fromm, perchè l'uomo, come lei ha detto, ha paura della libertà?
Ho cercato di spiegarlo in un libro "Escape from Freedom" in italiano "Fuga dalla libertà". L'uomo crede di volere la libertà, in realtà ne ha una grande paura, perche? Perchè la libertà l'obbliga a prendere decisioni, le decisioni comportano rischi e poi, quali sono i criteri su cui può basare le sue decisioni?L'uomo è abituato che gli si dica cosa deve pensare, anche se gli si dice  che deve essere veramente convinto di ciò che pensa. Ma l'uomo sa che questo è un "trucco", perchè ci si aspetta da lui cose ben determinate. Ciò dipende dalla situazione sociale, deve cioè pensare ciò che è più utile al funzionamento della società esistente. Non deve pensare ciò che può essere dannoso o che crea troppe frizioni. Certo deve poter fare un pò di critica, affinchè non pensi che non abbia critiche da fare, ma ciò deve essere limitato, in modo che non sia sabbia negli ingranaggi
2) I. Per questo lei sostiene che l'uomo vuole sottostare all'autorità?
Si perchè ha paura della libertà. Perchè deve decidere lui stesso, e ciò comporta dei rischi, può dannegiarsi. Perchè deve assumersi tutta la responsabilità? Se invece si sottomette ad una autorità, allora può sperare che l'autorità gli dica ciò che è giusto fare. E ciò vale tanto più se c'è un unica autorità, come è spesso il caso, che decide per tutta la società, ciò che è utile e ciò che è nocivo
3) I. Le difficoltà che incontra l'uomo nel ralizzarsi, dipendono solo da lui  o anche dalla società?
La società non lo vuole. Scopo della società d'oggi non è l'uomo, scopo della società è il profitto del capitale investito, e se si vuole aggiungere anche il raggiungimento di condizioni più favorevoli all'uomo, semmai meno sfavorevoli.Ma lo scopo della società contemporanea, non è l'uomo, è invece il profitto non inteso come avidità, ma nel senso della massima economicità del sistema. Il profitto non è come una volta, sopratutto l'espressione di uomini avidi, che cioè vogliono guadagnare il più possibile, ma ve ne sono molti anche oggi. La cosa più importante è che il profitto costituisce il metro del comportamento razionale e giusto. Il manager che ha ottenuto un profitto, dimostra con ciò di aver lavorato razionalmente, e tanto più alto è il profitto, tanto migliore, tanto più giusto, tanto più razionale è stata la sua attività.
4) I. Ciò mi fa pensare anche alla razionalità burocratica, una caratteristica dell'organizzazione sociale
E' uno dei mali più gravi per la vita dell'uomo. Il fenomeno burocratico significa infatti che una classe professionale ben precisa, si assume il compito di amministrare e regolare i pensieri degli altri. Per finire, i burocrati diventano i veri potenti, i dirigenti della società. Ma cosa li legittima? Quali capacità hanno se non ottusità, se non l'incapacità di essere vivi, se non la tendenza a incasellare, se non a voler far sempre le stesse cose, hanno paura del nuovo, del fresco, dell'avventura, di tutto ciò che rende la vita interessante.
5) I. Quali sono, allora secondo lei, i Valori fondamentali che dovrebbero guidarci?
Ma proporrei di leggere la Bibbia, forse Marx, forse Tommaso d'Aquino, ma certamente non i libri che spiegano come si ottiene il massimo profitto. La domanda fondamentale è infatti: qual'è lo scopo della vita? Diventare più umani o produrre di più? Questa è già la distinzione più importante di Marx tra capitale e lavoro. Lavoro è la vita, l'attività viva dell'uomo, capitale è ciò che si è accumulato nel passato. L'opposizione tra lavoro e capitale non è in definitiva per Marx, come s'intende comunemente, il problema dell'interesse di classe ma l'opposizione tra la vita e le cose, che deve determinare la vita? Il capitale? Le cose? Ciò che è morto, accumulato? Oppure il lavoro? Ciò che è vivo, umano?
6) I. E' anche l'opposizione tra l'avere e l'essere?
E' esattamente la stessa: l'avere è il lavor accumulato, l'essere è l'attività umana, certo non una attività semplicemente tale, come portare delle pietre da un posto all'altro, questa non è attività umana.
7) I. Cosa vuol dire essere?
Essere vivo, interessato, vedere le cose, vedere l'uomo, ascoltare l'uomo, immedesimarsi nel prossimo, sentire se stessi, rendere la vita interessante, fare della vita qualcosa di bello e non di noioso.

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