2 ago 2011
Charles Baudelaire "UN VIAGGIO A CITERA "
Come un uccello, gioioso, volteggiava il mio cuore, planando liberamente attorno al cordame; sotto un cielo limpido la nave scivolava, simile a un angelo inebriato da un sole radioso.Che isola è mai quella, così nera e triste? È Citera, qualcuno risponde, terra famosa nelle canzoni, banale Eldorado dei vecchi diversi. Ma guardata dappresso, è una ben povera terra.Isola dei dolci segreti e delle feste del cuore! Dell'antica Venere il superbo fantasma si libra sui tuoi mari come un aroma, riempendo gli animi d'amore e di languore.Bella isola di verdi mirti, ricca di fiori schiusi, venerata in eterno da tutte le nazioni, e in cui i sospiri dei cuori adoranti errano come l'incenso su un roseto o come il tubare infinito del colombo! - Citera non era più che una magra terra, un deserto roccioso turbato da stridule grida. Ma vi scorgevo un oggetto singolare!Oh, non un tempio dalle ombre silvestri, dove la giovane sacerdotessa, innamorata dei fiori, andava, il corpo bruciato da segreti ardori, dischiudendo la tunica alle brezze fuggitive...Ma ecco che, rasentando da vicino la costa, così da intimorire gli uccelli con le nostre bianche vele, ci apparve una forca a tre bracci, nera contro il cielo come un cipresso.Appollaiati sulla loro pastura feroci uccelli distruggevano rabbiosamente un impiccato, già sfatto: ciascuno piantando, come un attrezzo, il becco impuro in ogni angolo sanguinante di quel marciume,gli occhi due buchi, e dal ventre sfondato i grevi intestini colavano lungo le cosce; quei carnefici, satolli di orribili delizie, l'avevano, a colpi di becco, castrato completamente.Ai piedi, un branco di invidiosi quadrupedi, muso alzato, giravano e rigiravano: in mezzo s'agitava una bestia più grande, come un boia circondato dai suoi aiutanti.Abitatore di Citera, figlio d'un cielo così bello, in silenzio sopportavi tutti questi oltraggi in espiazione degli infami culti e dei peccati che t'hanno negato una tomba.Grottesco impiccato, i tuoi sono anche i miei dolori! Alla vista delle tue membra penzolanti sentivo, come un vomito, risalire ai miei denti il lungo fiume di fiele degli antichi dolori;dinanzi a te, povero cristo così caro al ricordo, ho provato tutti i becchi e tutte le mascelle dei corvi lancinanti e delle nere pantere che un tempo amavano triturare la mia carne.Il cielo era incantevole, il mare calmo; ma per me tutto era tenebre e sangue, ormai, e avevo, ahimè, il cuore sepolto in questa allegoria come in uno spesso sudario.Nella tua isola, o Venere, non ho trovato che una forca da cui pendeva la mia immagine...Signore, dammi la forza e il coraggio di contemplare senza disgusto il mio corpo e il mio cuore!
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