10 lug 2011

Addio a Rubino Romeo Salmonì,l'ebreo di Auschwitz che ispirò Benigni

Lui aveva raccontato la sua vita in un libro, "ho sconfitto Hitler", uscito pochi mesi fa. Nato nella capitale il 22 gennaio 1920, scampò al raid nazista nel Ghetto del 16 ottobre 1943 ma nell'aprile dell'anno successivo cadde nelle mani della polizia fascista: da una cella di via Tasso finì al campo di raccolta e smistamento di Fossoli, passando per il carcere di Regina Coeli, prima di essere messo su un treno merci con un lager per ultima fermata. "Lì ero l'ebreo A 15810 da eliminare", diceva ai ragazzi che gli chiedevano di spiegare l'inferno del campo, il freddo, le sevizie dei kapò, le umiliazioni, la conta quotidiana dei morti. Da Auschwitz Salmonì sarebbe ritornato, nel settembre del 1945, 17 mesi dopo l'arresto, ritrovando i genitori ma non i fratelli Angelo e Davide, uccisi dai tedeschi. La sua vicenda ha ispirato anche Roberto Benigni per il film "La vita è bella". Fece «un lungo viaggio verso la morte», dal quale però alla fine riuscì a tornare. Uno dei pochi. Perciò per tutta la vita testimoniò quello che tutti gli altri non potevano più raccontare. E la sua storia ispirò Roberto Benigni per La vita è bella. Rubino Romeo Salmonì è morto sabato mattina a Roma. Aveva 91 anni ed era nato nella Capitale il 22 gennaio 1920.
Nel campo di sterminio arrivò che aveva 18 anni. Sfuggito alla razzia nazista del 16 ottobre del 1943 nel Ghetto di Roma, era stata la polizia fascista a catturarlo poi nell'aprile del 1944. Fu portato prima in Via Tasso e quindi a Regina Coeli. Da lì cominciò quello che lo stesso Salmonì definì il «lungo viaggio verso la morte», ovvero la deportazione a Fossoli e poi ad Auschwitz. «Ad Auschwitz non ero più Rubino Romeo Salmoni ma... l'ebreo A 15810 da eliminare...».Lo raccontò quel viaggio tante volte. Nelle scuole soprattutto. Ricordi di quei giorni vissuti nel campo di sterminio assistendo alla morte di adulti e soprattutto bambini. E racconti agli studenti: « Tutte le mattine si vedevano dei poveri esseri attaccati alle reti con i fili ad alta tensione elettrica, erano stanchi di soffrire e si abbandonavano alla pietà di Dio per porre fine all'inferno di tutti i giorni alla fame, al freddo, alle sevizie dei Kapò alle selezioni diurne e notturne che duravano ore e ore sotto la neve che penetrava dentro le ossa prive di carne, anche l'appello diurno e serale era un modo per soffrire perché durava ore e ore e non veniva mai l'esatto numero per i morti durante la conta, e si ricominciava da capo, tra il freddo, la fame e la stanchezza, la paura di non farcela». Romeo Salmonì però riuscì a tornare a casa. Uno dei pochi romani sopravvissuti ad Auschwitz-Dachau. Rimise piede a Roma alla fine di agosto del 1945. Nella Capitale ritrovò i genitori, ma non i fratelli Angelo e Davide, uccisi dai nazisti. Di quell'esperienza scrisse Ho ucciso Hitler, libro di testimonianze e ricordi presentato pochi mesi fa in occasione della Giornata della Memoria. Nei suoi incontri di racconti e testimonianze, Salmonì con orgoglio e soddisfazione concludeva: «Io sono ancora qui sano e salvo. Ho fatto i miei conti: sono uscito vivo dal Campo di sterminio di Auschwitz, ho una bella famiglia, ho festeggiato le nozze d'oro, ho 12 splendidi nipoti, credo di aver sconfitto il disegno di Hitler!»
(CORRIERE DELLA SERA VEDI ANCHE INTERVISTA)

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