Perché Bearzot stava formando un gruppo che sarebbe passato alla leggenda. Uomini votati al modulo e alla corsa, dotati di talento, giovani ma già con esperienza, come Cabrini ,Tardelli e tutto il blocco Juve, come Antognoni e il giovanissimo, come l’imprendibile Conti e il vecchio Zoff (che Bearzot considerava come un terzo figlio). Insomma, una squadra perfetta, che però tutti, dopo l’inguardabile girone eliminatorio, consideravano una banda di schiappe di cui il Brasile delle stelle avrebbe fatto un sol boccone. Ebbene accadde proprio il contrario.
Perché Bearzot, invece di ascoltare la stampa (come avrebbero fatto altri allenatori dopo di lui), puntò tutto sugli uomini che aveva formato e che meglio conosceva. Non convocò il capocannoniere del campionato Pruzzo beccandosi gli insulti da tutta Roma; lasciò a casa il talento di Beccalossi beccandosi un manrovescio da una fan incattivita. Resistette alla colata di fango che gli venne addosso dopo tre pareggi, alle critiche per aver fatto giocare Paolo Rossi, il quale, graziato dopo lo scandalo scommesse del 1980, visibilmente non stava in piedi. Introdusse il silenzio stampa e mandò come portavoce il laconico Zoff, il quale dovette difendere la squadra da assurde accuse . Sembravano un’Armata Brancaleone sull’orlo della disfatta. Sarebbero stati ricordati per sempre.Tutti lo ricordano con affetto se ne andato lo scorso dicembre (21 dicembre). Ricordare lui è ricordare, come, nelle notti davvero magiche del Mundial spagnolo, gioimmo tutti assieme anche se la mia età non 6 anni non mi permetteva di capire a cosa era dovuta tanta euforia!!!Poi con il tempo ho capito e tutti quelli che allora erano in vita hanno perfettamente in mente, quasi giorno per giorno, la settimana che ci portò a Madrid, i sei gol di Rossi, il miracolo di Zoff all’ultimo minuto contro il Brasile, il rigore fallito da Cabrini in finale, il «Campioni del mondo!» ripetuto tre volte da Martellini e le piazze piene di gente festante; tutti ricordano la pipa di Bearzot, il suo "va,va,va sussurrato a denti stretti mentre i suoi uomini, recuperata palla, ripartivano a razzo facendo fuori una dopo l’altra tutte le teste di serie del torneo, l’Argentina di Maradona, il Brasile di Zico Falcao, la Polonia di Boniek e la Germania di Rumenigge. E tutti ricordano il grido di Tardelli per il secondo gol della finale e quella azione all’arma bianca, in cui la catenacciara Italia di Bearzot portava nell’area avversaria Scirea e Bergomi, a fraseggiare prima che il povero Gaetano, facendo l’assist vincente, permettesse a Tardelli di diventare il Munch italiano. Ricordano le ammucchiate selvagge in campo con sopra Pablito, la felicità di Pertini e la partita a scopa sull’aereo presidenziale, quando Bearzot e Causio batterono la coppia Pertini,Zoff facendo imbestialire il presidente.Ma soprattutto ricordano un uomo che aveva formato degli uomini prima che dei giocatori.
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