In questi giorni ho letto un meraviglioso libro di Erri De Luca,"Tre Cavalli"...La storia di un giardiniere,con un passato di rivoluzione e di amore perduto,che parla alle piante e chiede loro dove vogliono essere piantate.Una giovane donna, che ne ama i racconti,il non detto e la faccia di cartapesta. E un nero di pelle,coperto di colori di fiori, con un debito di un bicchiere di vino e un nocciolo di oliva in bocca... Un libro delicato,soave, con dentro molti colori del mondo.Con dentro il ricordo,il dolore, la magia del raccontare,il desiderio di tornare alla vita e all’amore.E’ un libro profumato.Carico di odori.Si sente l’odore dell’erba appena falciata,quello delle mimose,la freschezza della salvia dell’isola di Pag. E’ anche colmo di sapori,di quelli genuini.Si assaggia del vino rosso,del pane,del formaggio,delle pere. Ci si siede a leggere libri usati insieme al giardiniere che non ha nome.Si mangia,si beve,si annusa,si ascolta, si parla. Si condivide.E fatti del passato vengono narrati sempre al presente.La voce di Erri De Luca è bassa,sincera,a tratti diventa intima,arricchisce chi legge tra le righe,chi riesce a rubare ogni minimo segno e luce lasciata sul volto dei personaggi.Si porta via,con il suo linguaggio, tutto l’affaticamento,la noia che può scaturire dal quotidiano.Perché possiede il dono della parola. E sa regalarcelo sempre!!
Trama:
La vita di un uomo dura Tre Cavalli e il protagonista di questo romanzo ha appena superato anche il secondo,con i suoi innesti e le sue potature. Ha cinquant’anni, vive nel Sud dell’Italia, fa il giardiniere, parla con gli alberi, legge libri usati, si reca a bere di tanto in tanto un bicchiere di vino all’osteria. Una vita fatta di silenzi, pienezze e di ricordi “ricordo giorni e mosse che vanno come il tracciato di una creapa, puntano sul casaccio per inventare un modo di durare”. Poi un giorno arriva Laila. Trent’anni. E’ alta, ha mani capaci, zigomi alti, tempie dolci. Lui le racconta una storia. Ai giovani piacciono le storie. Le regala un vaso con la salvia. Gli ricapita amore, desiderio, attesa. Un altro segno dell’attesa. E contemporaneamente le chiacchierate con Salim. L’emigrato africano, che vive in una casa senza porte e senza finestre. Poi vengono pensieri e frasi da una lontananza, che non sa far niente per fermarle. I suoi trent’anni, l’Argentina, Dvora, la guerra clandestina. Il sangue e il tempo di quando gli ammazzano la sposa. I giorni dopo Dvora sono giorni lenti, giorni senza attesa. Giorni tutti a Sud. Prima di fuggire da quella terra insanguinata, si porta dietro le sue scapette da ginnastica con i lacci ben legati, perchè le toglieva così Dvora, sempre allacciate. Leila è una piena di abbracci. Ride. I piedi si sfregano sotto il tavolo, si combinano sotto le lenzuola “e io so da capo che amo questa donna e che questo amore ha diritto di essere l’ultimo per me”. Ma niente è per sempre. La vita dà e toglie. Senza Laila la vita si indurisce nuovamente, per assorbire il colpo ed accettarlo. Passano giorni senza Laila. Non c’è via di fuga, non c’è altro Sud adesso. Solo erba da falciare a mano, solo fiato dentro al petto, bosogno di salvarla/si “prima di lei io so il male di ammazzare e glielo posso risparmiare”. Sono bagnate di sangue le ultime pagine di questo romanzo. Un sangue che appartine e tante vite, a tante storie. Quella del protagonista, di Dvora, di Laila, di Salim. Tutto è circolare. Tutto si fa sintesi, nella metafora del distacco e della ”perdita”.
“Vedo la linea rossa del tramonto che separa giorno da notte, penso che il mondo è opera del re del verbo dividere e aspetto la linea che viene a staccarmi dai giorni”.
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