Quando se ne vanno certi personaggi, è come se parti del tuo cuore si staccassero,si spegnessero.Bearzot è uno di quei personaggi.A lui è legato in maniera indissolubile il ricordo di quella magica estate del 1982,avevo solo 6 anni,però un po lo ricordo....Con il tempo ho avuto modo di conoscere e approfondire quei giorni e quei momenti...Che Mondiale!!!Avevamo incredibilmente battuto Argentina e Brasile e,come in un sogno,eravamo arrivati alla finale dei Mondiali...Anche se sono passati tanti anni,ho un un piccolo ricordo indelebile di quel pomeriggio.Davanti a una piccola televisione in bianco e nero,in un piccolo salotto insieme agli amici di mio fratello..E ricordo la gioia incontenibile,di loro al triplice fischio finale ...che trascinava pure me,nonostante non sapessi il perchè di tanta gioia!! Ecco Enzo e la sua nazionale hanno rappresentato nel 1982, in quel caldo Luglio di quasi trenta anni fa, tutta l'Italia.L'Italia che forse ancora si commuove e si emoziona.La sua Nazionale ci ha fatto trascorrere uno dei periodi più belli della nostra vita contemporanea. Ormai quel Campionato del Mondo,quell'incredibile vittoria osannata non solo in Italia,ma in tutto il mondo, appartiene al secolo scorso,ma il suo ricordo è indelebile.Una bella persona che ha lasciato un grande ricordo a tutti,umanamente un signore e nel suo lavoro bravo,vincente e innovativo.E' stato sempre poco considerato e magari anche criticato ma a pensarci bene rivedendo le vhs e filmati delle partite, l'Italia difficilmente ha giocato un calcio migliore di quello che ha stupito il mondo nel '78 e conquistato lo stesso nell'82.Un saluto e tanta riconoscenza per quanto ha dato allo sport italiano e per l'equilibrio che dovrebbe essere esempio per tutti gli sportivi e non solo... Restano negli occhi le foto con la sua pipa, la partita a scopa tra lui pertini, zoff e causio.. e la sua signorilità...
Paolo Rossi trattiene a stento commozione e lacrime, al telefono, nel raccontare il suo dolore per la scomparso del Ct campione del mondo nell'82.
«Per me è stato come un padre - dice Pablito, cui Bearzot diede fiducia fino all'esplosione del goal nella parte finale del mondiale - io a lui devo tutto, senza di lui non avrei fatto quel che ho fatto. Era una persona di una onestà incredibile e un tecnico di grande spessore. Incarnava la figura dell'italiano popolare, e anche se non è stato uno scienziato o un artista, rimarrà nella storia dei nostri grandi del secolo scorso».
Con quel profilo azteco, Enzo Bearzot pareva già un personaggio storico quando ancora andava in panchina, lui e la sua pipa, lui e il suo labbro tremulo per troppa emozione. Erano tempi in cui la gente tutta d'un pezzo controllava quasi ogni parte del corpo, nel tumulto emotivo: non era freddezza, era decoro. Poi, tanto, sarebbe di certo venuto il giorno della gioia piena e suprema, incontenibile. Basta aspettare, e lavorare, basta essere seri e veri.
Stava male da tempo, e da tempo non concedeva interviste, pareri, commenti, giusto qualche pezzo sulla Gazzetta. Era anche ritrosia, o forse amarezza: non poteva, il vecio, sentirsi contemporaneo di questo calcio volgare e cialtrone che pure lui non offese mai: meglio il silenzio, più dignitoso. Il silenzio che nasce per misericordia, e pudore.Nei giorni del mundial spagnolo, i primi e più difficili, Enzo Bearzot venne ferocemente criticato da tutti. Perché si ostinava con Paolo Rossi. Perché l'Italia giocava male e lui niente, avanti così. Un testone. La sua squadra bellissima, la migliore tra quelle azzurre del dopoguerra e forse di sempre (addirittura inarrivabile per brio, freschezza, classe) fu quella del mondiale argentino del '78, dove nacque il trionfo di quattro anni più tardi. Gli "argentini" giocarono anche meglio degli "spagnoli".
Lui, Zoff, Scirea, i tre angoli di pietra di una squadra di uomini. Gente robusta dentro, pochissime parole, solo fare bene e lasciar dire. Gente come non se ne trova più, oppure bisogna saperla cercare. Gente che, nel calcio, e tra gli allenatori, non a caso arriva spesso dal Friuli, terra di valore e valori: Bearzot, Capello, ora Reja e Delneri. Perché per insegnare bisogna sapere, e per saper insegnare bisogna essere.Enzo Bearzot appartiene ai padri della patria, non pensiamo sia un'esagerazione dirlo, e scriverlo. È nella storia vera, quella che si fa senza chiacchiere, perché lo sport è vita al quadrato, è emozione, forza, tenacia, educazione, lo sport è la strada attraversata dai sogni quando i sogni prendono corpo, e ogni tanto succede. Bearzot era perfetto, accanto a Pertini: due gemelli, non solo per la passione delle carte e dello scopone.
In un tempo che fatica a ritrovarsi, dove gli esempi e i riferimenti svaniscono e sbiadiscono, figure come Enzo Bearzot sono stelle polari, anche adesso che tutto cambia, forse più adesso di prima. Non tutto è perduto se resta la memoria, e se raccontiamo ai nostri figli e ai nostri nipoti di come lottarono e vinsero quegli azzurri, soli contro tutti, anche se poi non è mica una coppa del mondo il vero trionfo. Il trionfo è essere com'era Bearzot, come dovrebbero essere tutti quelli che amano, insegnano e praticano lo sport. Schivi quanto basta, sinceri e concreti sempre. Una leggenda, una specie di zio nei ricordi di tanti. Un punto di riferimento non per ieri, ma per domani. E grazie, di cuore, per quella gioia lontana che pure non finisce mai.
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