26 set 2010

Io che morirò precario

Riprendo una lettera dal web che mi ha gentilmente segnalato Alexandra R. (da qui)
Mi chiamo Francesco M. e sono un dottorando precario senza borsa di 27 anni. Mai avrei pensato di trovare il coraggio per scrivere e raccontare la mia storia. Ci dicono tutti i giorni che viviamo in un periodo di crisi, che siamo tutti nella stessa barca, ma in fin dei conti alle mie orecchie questo non suona come una consolazione. Anzi.

Ho sempre avuto passione e interesse per lo studio, al punto da diventare uno di quei poveri illusi che ha cercato di rendere questo amore anche un impegno lavorativo e un progetto di vita.
Ho sempre saputo che la mia materia, che rientra all’interno della Facoltà di Lettere e Filosofia di una università del Nord, non mi avrebbe permesso di trovare facilmente un impiego, però ho deciso che valesse la pena tentare, se non altro per non vivere di rimpianti per tutta la vita.
A distanza di dieci anni forse rifarei le stesse scelte: non ero portato per studiare ingegneria o medicina, pensavo di avere molto da dare anche solo come insegnante, un mestiere nobile, un mestiere che ora hanno reso irraggiungibile.Molti ragazzi della mia età lavorano in azienda ormai da anni e parlano ormai di matrimoni, di figli, di futuro, di vacanze assieme.
Io non ho studiato meno di loro, non mi sono impegnato meno di loro, eppure vuoi per scelta politica, vuoi per una contingenza sfavorevole, vuoi per tutte e due le cose, io in questa società mi sento di troppo.
Non solo la società in cui vivo toglie valore ogni giorno che passa alle materie umanistiche, ormai relegate a “Scienze dell’Inutilità”, non solo non ho nemmeno i soldi per invitare una ragazza la sera a cena, a mangiare una pizza, ma questo governo mi toglie e mi ha tolto anche qualsiasi speranza. Per me non esiste futuro.
Ricordo le notti insonni a studiare sui manuali per riuscire a passare la prova di dottorato, sognando non un futuro accademico, ma perlomeno di togliermi qualche soddisfazione.

Ricordo poi la prova scritta: quelle facce sorridenti, le stesse che poi ho visto salutare senza troppe sorprese quella lista di dottorandi con e borse assegnate. Io lo sapevo che non avrei avuto la borsa, ed è stata una sorpresa anche solo vincere quel concorso senza borsa, ma quel giorno ero ugualmente, ingenuamente, felice.Quanto mi sbagliassi lo avrei capito anche solo un mese dopo, quando anche per pagare le fotocopie dovevo chiedere in casa quei due euro che dovevo togliere al pranzo, o al biglietto del pullman.
Di precariato si può davvero morire, e l’ho pensato quando sfogliando il quotidiano ho letto la notizia del suicidio di Norman Zarcone, come me dottorando senza borsa, che ha deciso di farla finita buttandosi giù dalla finestra del settimo piano dell’università di Palermo. Ed io capisco quel gesto!
L’ho capito poi sulla mia pelle quando ho visto che le mie paure del futuro mi hanno reso instabile e sempre nervoso, mi hanno fatto perdere tutti i legami affettivi che avevo, lasciando che solo la rabbia servisse a tenermi in piedi, giorno dopo giorno.E mentre cerco di trovare un motivo per tirare avanti, ecco il bisogno di soldi, ecco che devo sgomitare in un ambiente, quello accademico, che non ha nessuna pietà per i più “deboli”. A loro non interessa se devo competere con gente che prende mille euro al mese di borsa, a loro non interessa se uno solo per passione sacrifica la sua vita presente e futura. Mi rendo conto che è sbagliato prendersela con i miei colleghi più fortunati, fortunati per modo di dire dato che con mille euro al mese per tre anni non si può comunque costruire nulla. Forse loro sono anzi ancora più sfortunati perché avendo il vincolo della borsa nemmeno possono cercarsi qualche altro lavoro.Ho scritto questo sfogo perché non riuscivo più a rimanere in silenzio, non riesco a capacitarmi che il mio curriculum di tre pagine continui a rimanere a ingiallire nei cassetti delle aziende cui lo spedisco, come se io fossi un freddo numero di matricola e non una persona in carne e ossa. Evidentemente in questa società malata di veline, tronisti, ricchi rampolli di famiglia, e squali senza scrupoli, la gente come me per ottenere un angolo di tranquillità deve fare come Norman. Anzi no. No, perché ormai anche suicidarsi non fa più notizia, basta lanciare un fumogeno contro un sindacalista che tutti parlano di te, se invece la fai finita gettandoti da un balcone perché ti hanno scippato il futuro non sei di moda.

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