Il 9 settembre 1943 si costituisce a Roma il Comitato di liberazione nazionale (Cln) con la rappresentanza dei partiti antifascisti per “chiamare gli italiani alla lotta e alla resistenza e per riconquistare all’Italia il posto che le compete nel consesso delle libere nazioni”. Ne fanno parte: Partito comunista,Partito socialista di unità proletaria,Partito d’azione,Democrazia cristiana, Democrazia del lavoro (futuro Partito repubblicano), Partito liberale.Nell’Italia ancora occupata si costituiscono le prime formazioni partigiane nelle zone alpine ed appenniniche formate da ex militari, giovani renitenti alla leva della Repubblica sociale, antifascisti militanti.Nell’Alta Italia il Cln centrale assume un’articolazione vasta e complessa dove a guidare la Resistenza sono i Cln regionali, coordinati dal Cln Alta Italia, prefigurazione dal basso del futuro Stato italiano secondo una concezione regionale.È in questo scenario che emerge tutta la tragedia del popolo italiano ed è in questo quadro drammatico che le donne si affacciano sulla scena della vita politica e civile italiana, diventano un punto di riferimento.Come lo fanno? Rendendo pubblico il loro ruolo di madri, di mogli e di sorelle:aiutano i soldati sbandati, danno loro rifugio, li nascondono, li difendono dal nemico, forniscono protezione e sicurezza agli uomini che ritornano a casa.
Le donne escono dalle case, dai compiti in cui le aveva confinate socialmente il fascismo – ad una funzione puramente demografica, propagandata talora in modo offensivo - per assumere un ruolo pubblico che va contro, che si oppone totalmente al passato e marca il confine del cambiamento.È l’inizio di quella che possiamo chiamare la cronologia dell’emancipazione femminile che si incardina in primo luogo sulla diffusa ed ampia partecipazione delle donne alla resistenza morale e civile del paese. In un momento storico tra i più drammatici, la donna sceglie di passare dal piano degli affetti e dei sentimenti più intimi legati alla sfera della persona e della sua figura tradizionale legata alla famiglia, al piano della partecipazione pubblica, cambiamento consapevole e condiviso. Le donne sono stanche della guerra,stanche di dover convivere con lutti e privazioni, vogliono soprattutto poter prefigurare un futuro migliore per sé e per i propri figli, vogliono la pace.Sanno anche che il fascismo è l'opposto della democrazia e quindi lo combattono.Queste motivazioni si saldano fortemente con i contenuti politici intrinseci della resistenza e creano un connubio indissolubile tra emancipazione femminile e lotta di liberazione.Anche se non l'unico, questo è uno dei punti chiave per una giusta interpretazione della partecipazione femminile.Fondamentale per capire il ruolo determinante delle donne italiane nella resistenza è il coinvolgimento di massa,spontaneo e organizzato e l'adesione al cambiamento in atto, visto come riscatto sociale e progresso civile.È una partecipazione unica e perciò profondamente diversa dal passato, che attraversa la società femminile italiana in una nuova dimensione, senza barriere sociali, politiche o religiose e senza confini di età.
E' un fenomeno senza precedenti che vede, nella diversità di formazione culturale, ideale e politica, l’unione di casalinghe, operaie, contadine e donne istruite: la “questione femminile” diventa una questione di massa.Tutto questo è ben visibile attraverso la lettura della stampa clandestina che circola e si intensifica soprattutto con la costituzione dei Gruppi di difesa della donna (Gdd), nell’inverno 1943-1944,che testimonia ed unisce tutte le donne nella direzione dell’impegno per la costruzione di una società giusta e democratica che veda profondamente trasformata la propria condizione. Ne fanno parte numerosissime le donne comuniste,ma anche socialiste,cattoliche,del partito d’azione e tante altre senza una precisa collocazione politica: tutte vogliono contribuire – come si legge dalle motivazioni della costituzione dei Gruppi di difesa della donna nella lotta che il popolo italiano conduce per salvarsi dall’estrema rovina, per affrontare la liberazione, per ricostruire il paese esaurito e rovinato dalla guerra fascista, per edificare una società nuova sotto il segno della libertà, dell’amore e del progresso”.
I Gdd fanno appello alle madri e alle “spose” perché nell'autunno 1944 convincano i parenti maschi a non presentarsi all’invito della Repubblica sociale italiana e dove si legge che “compito nostro sarà quello di mobilitate ed inquadrare le grandi masse femminili. Esse devono camminare di pari passo alla lotta per la liberazione nazionale con le brigate dei volontari della libertà”.Molti sono i compiti delle donne nelle file partigiane, grazie alla maggior facilità di circolazione per le strade e ad una minor possibilità di venir sottoposte a controlli, cosa che invece veniva fatta puntualmente sugli uomini. La donna diventa quindi la staffetta che trasporta ordini, stampa clandestina, armi, medicinali ed altro per la lotta partigiana. È un “lavoro permanente” quello intessuto dalle donne, in una continua e meticolosa formazione di attività morale e materiale per l’incremento della lotta di liberazione.
Le staffette sono anche le punte avanzate della diffusione; ritirano la stampa clandestina della propaganda antifascista da distribuire nelle frazioni, ma anche i volantini e le circolari delle direttive di lotta da consegnare alle basi partigiane.Da vivandiere a staffette a partigiane combattenti, le donne sono una presenza costante nel territorio della Bassa bolognese; costituiscono il tessuto connettivo di tutte le forme di ribellione e di protesta, da quelle armate a quelle sociali e civili di piazza.Soprattutto in Emilia e nel Bolognese queste caratteristiche della resistenza al femminile emergono in tutta la loro originalità.Ed è soprattutto nell’inverno 1944-1945 che si intensifica la lotta per resistere, “Contro la fame, il freddo e il terrore”.Nel periodo gennaio-marzo 1945, sono numerose le manifestazioni di donne che si svolgono davanti ai municipi di alcuni comuni della provincia contro le autorità comunali fasciste, per protestare contro la fame e per la distribuzione di generi alimentari.Fino alla liberazione il 25 aprile 1945
Da quel momento prende consistenza l’organizzazione dei Gruppi di difesa della donna che cresce e si sviluppa, diventando punto di aggregazione del consenso femminile contro l’evidente incapacità del governo locale fascista di garantire le più elementari forme di vita civile. Non a caso le proteste si svolgono nelle piazze davanti ai municipi, identificati come simboli di inettitudine e di responsabilità delle gravi mancanze nei confronti della popolazione.Le massaie, le contadine, le popolane, non si sono lasciate ingannare né intimorire dalle minacce, ma hanno energicamente reagito esigendo la distribuzione di generi alimentari, di vestiario e legna, sottratti alla popolazione e nascosti nei magazzini nazi-fascisti.Le ripercussioni di queste proteste sull’apparato fascista sono molto forti, perché oltre ad evidenziare una presenza organizzativa molto radicata sul territorio, segnalano un allargamento esplicito, sensibile e vasto del movimento popolare contro la guerra, la sua “ingiustezza” e il peso sociale sopportato.
La rivendicazione del diritto al voto e ad essere elette è il simbolo, o meglio la naturale conclusione della maturazione politica delle donne nella resistenza,trova le sue radici nella scelta della libertà e della democrazia.Scrive un giornale clandestino:“Noi donne dell’Italia libera stiamo conducendo una battaglia che è per la libertà di tutte, per il progresso di tutte: la battaglia per il diritto di voto.I compiti per la ricostruzione sociale, politica, amministrativa del Paese sono stati finora ripartiti fra la popolazione maschile, ma noi che abbiamo resistito e combattuto per affrettare il ritorno della libertà abbiamo il diritto e il dovere di non essere soltanto spettatrici di questo rinnovamento. Pensiamo che la nostra opera sia necessaria ora come fu necessaria allora. Il giorno in cui saremo tutte riunite dovrà segnare una ripresa della attività comune, sancita da una legge che ci consideri pienamente cittadine del nostro Paese.”Le donne vogliono essere riconosciute come soggetti attivi che partecipano alla vita della nazione. Il cambiamento della società italiana e la modernizzazione dell’elettorato vanno di pari passo verso un profondo mutamento del quadro sociale. È l’inizio di un processo di rinnovamento della società italiana che si riflette nella nostra Costituzione e segna la diversità e il non riconoscimento con il passato.
Il 25 ottobre 1944 si costituisce a Roma il Comitato pro voto composto dalle rappresentanti dei movimenti femminili di tutti i partiti politici della Resistenza: comunista, socialista, democrazia cristiana, partito d’azione, repubblicano e liberale con la Federazione italiana laureate e diplomate istituti superiori e l’Alleanza pro suffragio che sollecita il Comitato di liberazione nazionale a chiedere da subito il diritto di voto alle donne.Il Decreto legislativo luogotenenziale del 1 febbraio 1945, n. 23 – Estensione alle donne del diritto di voto - è adottato in regime di pieni poteri ed in extremis nel Consiglio dei ministri presieduto da Ivanoe Bonomi( su proposta di Palmiro Togliatti e Alcide De Gasperi)il 30 gennaio, giorno dell’entrata in vigore delle disposizioni date ai Comuni dell’Italia liberata per la formazione delle liste elettorali con l’allargamento ai maggiorenni di sesso maschile.Una legge ordinaria quindi per un diritto che, come è stato più volte sottolineato, non è attribuzione o concessione, non è un diritto elargito, ma si iscrive come uno dei cardini fondamentali perché l’ordinamento di un Paese possa dirsi civile e rispondere alle essenziali esigenze della persona umana. La legittimazione del diritto di voto non prevede però un’altra condizione fondamentale derivante dal diritto di cittadinanza: l’eleggibilità. Questa dimenticanza verra colmata solo con il decreto n. 74 del 10 marzo 1946, quando era già in corso la composizione delle liste per le prime amministrazioni locali elette democraticamente dopo il fascismo.Il 2 giugno 1946 in Italia si svolse il primo referendum istituzionale. Gli italiani furono chiamati a scegliere tra repubblica e monarchia e 21 donne vennero elette all’Assemblea Costituente!!!
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