30 mar 2011

La danza della realtà" Alejandro Jorodowsky

Oggi voglio parlare di un libro "La danza della realtà" di Jorodowsky,l'avevo letto qualche anno fa e sinceramente nonostante non sia una mia abitudine leggere un libro più di una volta(anche perchè ho sempre qualcosa di nuovo da leggere)in questi giorni l'ho riletto,non chiedetemi il perchè!!Questo libro è una storia reale,non romanzata,di una vita vissuta spesso in modo drammatico.Magia e psicomagia, arte e surrealismo, cinema, droghe,illuminazioni.Il libro è un inno alla vita, la prova che l’uomo può superare i traumi e dolori che lo hanno segnato nel corso della sua esistenza e migliorare la realtà.L’interesse del libro risiede soprattutto negli aneddoti di un’autobiografia davvero fuori dal comune e nella rivelazione di un nuovo modo di intendere la psiche umana e i modi per curarla.

Una vita davvero movimentata,quella di Jodorowsky.Dall’infanzia in Cile,maltrattato dai suoi genitori,agli anni bui dell’adolescenza in cui ha scoperto la vocazione poetica sul campo, integrando la poesia nella vita quotidiana mediante azioni come la decisione di attraversare Santiago del Cile in linea retta, oppure mettersi a inseguire una ”victoria” (la tipica carrozza trainata dai cavalli) come metafora dell’inseguimento del successo.Poi la decisione di partire per Parigi con cento dollari in tasca,dopo aver buttato a mare la rubrica con gli indirizzi.E gli incontri fondamentali con il gruppo surrealista di Breton, con Marcel Marceau, con Maurice Chevalier e molti altri.Una vita vissuta nel costante tentativo di dilatare le proprie capacità mentali e di comprendere la realtà che lo circonda. Che sia attraverso una serie di rigidi e crudeli esercizi zen, o attraverso le esperienze con l’Lsd,o tramite lo studio della psicoanalisi o anche attraverso l’incontro con personaggi che vivono il mondo reale in modo magico, come gli sciamani mapuche e i guaritori come Pachita, Jodorowsky ha imparato a controllare le capacità della mente e a metterle al servizio degli altri:creando la psicomagia,è riuscito a fondere il mondo magico delle credenze popolari e la psicoanalisi;a parlare al subconscio utilizzando un linguaggio non razionale, una tecnica che gli ha permesso di aiutare persone afflitte da problemi psicologici anche gravi, attraverso il compimento di atti apparentemente folli.Consiglio a tutti questa lettura sicuramente non vi annoierete certamente nel leggere le sue mille avventure,i suoi strampalati incontri,l'importanza dei tarocchi e le sue teorie sulla psicomagia.Anzi credo proprio che saprà farvi riflettere su alcune vostre esperienze con una visione differente, da un nuovo punto di vista

Non so dove vado, ma so con chi vado.
Non so dove sono, ma so che sono in me.
Non so che cosa sia Dio, ma Dio sa che cosa sono.
Non so che cosa sia il mondo, ma sono che è mio.
Non so quanto valgo, ma so non fare paragoni.
Non so che cosa sia l’amore, ma so che godo della tua presenza.
Non posso evitare i colpi, ma so come sopportarli.
Non posso negare la violenza, ma posso negare la crudeltà.
Non posso cambiare il mondo, ma posso cambiare me stesso.
Non so che cosa faccio, ma so che sono fatto da ciò che faccio.
Non so chi sono, ma so che non sono colui che non sa.
Dal capitolo 1 - Infanzia
Sono nato nel 1929 nel nord del Cile, in terre conquistate al Perù e alla Bolivia. Tocopilla è il nome del mio paese natale. Un piccolo porto ubicato, forse non per caso, all’altezza del ventiduesimo parallelo. Nei tarocchi ci sono ventidue arcani maggiori. Ciascuno dei ventidue arcani dei Tarocchi marsigliesi è disegnato all’interno di un rettangolo composto da due quadrati. Il quadrato superiore può simboleggiare il cielo, la vita spirituale, mentre quello inferiore la terra, la vita materiale. Al centro del rettangolo s’iscrive un terzo quadrato che simboleggia l’essere umano, unione tra la luce e l’ombra, ricettivo verso l’alto, attivo verso la terra. Questa simbologia che si ritrova nei miti cinesi o egiziani – il dio Shu, "essere vuoto", separa il padre terra, Geb, dalla madre cielo, Nuth – compare anche nella mitologia mapuche: al principio il cielo e la terra erano talmente stretti l’uno contro l’altra che non lasciavano nessuno spazio tra essi, fino all’arrivo dell’essere cosciente che liberò l’uomo sollevando il firmamento. Vale a dire, stabilendo la differenza tra umanità e bestialità.In lingua quechua Toco significa "doppio quadrato sacro" e Pilla "diavolo". Qui il diavolo non è l’incarnazione del male ma un essere della dimensione sotterranea che si affaccia da una finestra fatta di spirito e materia, il corpo, per osservare il mondo e apportarvi la propria conoscenza.

 Presso i mapuche, Pillán significa "anima, spirito umano giunto allo stadio definitivo".A volte mi domando se mi sia lasciato coinvolgere dai tarocchi per la maggior parte della mia vita a causa dell’influenza che esercitava su di me l’essere nato all’altezza del ventiduesimo parallelo, in un paese chiamato doppio quadrato sacro – finestra da dove sorge la coscienza –, o forse sono nato lì perché semplicemente ero predestinato a fare quello che ho fatto sessant’anni più tardi: ripristinare i Tarocchi marsigliesi e inventare la psicomagia. Esiste il destino? Può la nostra vita venire orientata verso finalità che oltrepassano gli interessi individuali?È forse una casualità se il mio buon maestro della scuola pubblica si chiamava Toro? Fra "Toro" e "tarot" – tarocchi – esiste una similitudine evidente. Lui mi insegnò a leggere con un metodo tutto personale: mi mostrò un mazzo di carte su ciascuna delle quali era stampata una lettera. Mi chiese di mescolarle, prenderne qualcuna a caso e cercare di formare delle parole. La prima parola che uscì – non avevo ancora compiuto quattro anni – era OJO, occhio. Quando la pronunciai ad alta voce, fu come se qualcosa mi esplodesse all’improvviso nel cervello, e imparai a leggere così, di colpo. Il signor Toro, con un gran sorriso disegnato sul volto brunito, si congratulò con me: "Non mi meraviglio che tu impari così in fretta, perché in mezzo al nome hai un occhio d’oro". E dispose le carte in questo modo: "alejandr OJO D ORO wsky".

Quel momento mi segnò per sempre. In primo luogo perché esaltò il mio sguardo offrendomi il paradiso della lettura, e poi perché mi separò dal mondo. Non ero più come gli altri bambini. Mi iscrissero a un corso avanzato, tra bambini più grandi che, non sapendo leggere con la mia disinvoltura, divennero miei nemici. Tutti quei bambini, per la maggior parte figli di minatori disoccupati – il crollo della borsa americana del 1929 aveva gettato nella miseria il 70% dei cileni –, avevano la pelle scura e il naso piccolo. Io, discendente da emigranti ebrei russi, avevo un ingombrante naso ricurvo e la carnagione bianchissima. Il che fu sufficiente a farmi soprannominare Pinocchio e a impedirmi per sempre, con le loro battute, di indossare i calzoni corti. "Gambe di mozzarella!" Forse proprio perché possedevo un occhio d’oro, per alleviare la drammatica mancanza di amichetti mi rinchiusi nella Biblioteca municipale, inaugurata di recente. A quel tempo non prestavo attenzione all’emblema che troneggiava sulla porta, un compasso incrociato con una squadra: era stata fondata dai massoni. Lì, nella fresca penombra, passavo ore a leggere i libri che il gentile bibliotecario mi lasciava prendere dagli scaffali. Favole, avventure, adattamenti di classici per bambini, dizionari di simbologia. Un giorno, rovistando tra le file di pubblicazioni, trovai un volume giallognolo, Les Tarots, par Etteilla. Ma per quanto mi sforzassi di leggerlo, non ci riuscivo. Le lettere avevano una strana forma e le parole erano incomprensibili. Ebbi paura di non essere più capace di leggere. Il bibliotecario, quando gli raccontai la mia angoscia, scoppiò a ridere: "Ma come fai a capirlo, è scritto in francese, amico mio!

 Nemmeno io capisco che cosa c’è scritto!". Ah, quanto mi sentivo attratto da quelle pagine! Le sfogliavo una per una, vedevo sovente numeri, somme, ritornava più volte la parola "Thot", alcune forme geometriche... ma più di tutto mi affascinava un rettangolo nel cui interno, seduta in trono, una principessa con una corona a tre punte accarezzava un leone che le posava la testa sulle ginocchia. L’animale aveva un’espressione di profonda intelligenza, unita a un’estrema dolcezza. Era una fiera mansueta! Quell’immagine mi piaceva tanto da farmi commettere un reato di cui non mi sono mai pentito: ho strappato la pagina e me la sono portata a letto. Nascosta sotto una piastrella del pavimento, "LA FORCE" divenne il mio tesoro segreto. Con la forza dell’innocenza mi ero innamorato della principessa

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