23 gen 2011

Giorgio Gaber...la vita del signor G

In questi ultimi mesi ho approfondito la storia di un personaggio che ho sempre apprezzato,ma fino ad ora non avevo mai trovato l'occasione di conoscere meglio,stò  parlando di Giorgio Gaber,lui che  ha attraversato con il suo teatro la sua musica quarant’anni cruciali della nostra storia ....Ironico,ruvido,esibizionista,nel corso della sua carriera è stato definito con tante etichette dall'"anarchico",a "vate dei cani sciolti" e perfino c'era chi lo  chiamava"l’Adorno del Giambellino",ma qualsiasi definizione risulta inutile,lui era un uomo fuori dagli schemi con la sua capacità di pensare al di là di ogni ideologia e senza pregiudizi al punto di fare di Giorgio Gaber un uomo libero tipo il grande Pier Paolo Pasolini...
Gaber era un uomo che si muoveva,con una musica che non si schierava e una canzone,quella.La Libertà.Fuoco di ogni utopia,ponte ideale che unisce la democrazia degli antichi a quella dei moderni,la libertà gaberiana è la narrazione complessa di quell’umanità che partecipa, e costruisce, il cambiamento.
LA STORIA:
Giorgio Gaberscik nasce a Milano il 25 gennaio 1939 da una famiglia veneta borghese, ma non agiata. La passione per la musica arriva a 15 anni, quando è costretto a suonare la chitarra per curare una paralisi al braccio sinistro. Pochi anni dopo è già al Santa Tecla, un locale dietro al Duomo in cui bazzicano anche Celentano e Enzo Jannacci, con il quale stringerà amicizia fraterna.Tra gli altri frequentatori c'è anche Mogol, che gli fornisce l'aggancio giusto per un provino con la Ricordi. Incide il primo disco: sono solo quattro canzoni, una ("Ciao Ti Dirò") scritta con Tenco nel 1958.

Gaber suona a zonzo per Milano, nei bar fumosi con il biliardo, nei piccoli locali di periferia, nei club del centro, e mette da parte i soldi per frequentare la facoltà di Economia e Commercio alla Bocconi. Un sogno, quello della laurea, che sfumerà nel tempo, senza mai compiersi.Scrive ballate milanesi e canta piccole storie di gente comune, sempre impreziosite da un'ironia stranita e personalissima. Nei primi anni Sessanta la sua popolarità comincia a crescere, tra Sanremo (partecipa a quattro edizioni), caroselli e programmi televisivi. Prima del caos di fine decennio, Gaber si afferma con canzoni di delizioso intrattenimento come "La Ballata Del Cerruti",

 "Torpedo Blu", "Barbera E Champagne", e con bei pezzi melodici come "Non Arrossire" e "Le Strade Di Notte"
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Nel 1965 sposa la sua fidanzata Ombretta Comelli, in arte Colli: un amore che durerà una vita, anche se lei sceglierà poi lidi politici(lei di destra) opposti al credo di sinistra (ma fuori dagli schemi) del compagno.
"Com'è Bella La Città", presentata a Canzonissima nel 1969, è il primo sintomo della svolta: un bellissimo inno d'amore a Milano (come anche era "Porta Romana"), in cui si affacciano ombre di malessere e alienazione urbana.

La sensibilità sociale e l'impegno politico, d'ora in poi, saranno vitali nell'arte di Gaber. Cresce in lui una visione critica e ironica del mondo che lo circonda e crescono anche la voglia e la necessità di teatro, già sperimentato nel 1961 insieme a Maria Monti in "Il Giorgio E La Maria". Una scelta che è artistica e insieme inevitabilmente politica, una presa di distanza dal clamore e dagli slogan della piazza (i cui entusiasmi, inizialmente, condivideva egli stesso), dall'ideologia e dai vezzi degli intellettuali 'organici': Gaber sarà sempre di sinistra, ma polemico e disunito, libero e anarcoide, scomodo e cattivo.E per questo spesso tacciato di qualunquismo, attaccato, criticato con toni velenosi.La sua straordinaria avventura sul palcoscenico nasce quando, nel 1970, il grande Paolo Grassi lo invita al Piccolo, in quegli anni difficili orfano di Giorgio Strehler emigrato a Roma. Lo spettacolo è "Il Signor G." (stagione 1970/1971), un recital fortunatissimo, il primo di una serie destinata a godere sempre di enorme popolarità grazie all'istrionismo di Gaber, alla plasticità del suo volto inconfondibile e al magnetismo della sua voce, capace di divertire, provocare (sarà clamorosa e contestatissima l'invettiva contro Aldo Moro,dopo il suo omicidio, nella canzone "Io Se Fossi Dio" del 1980), scatenare passioni e far pensare, in onore a quel sogno di teatro civile e politico che lo animava e che aveva fatto nascere il Piccolo stesso nel 1947.
Negli anni che seguono, Gaber mette in scena numerosi spettacoli, insieme al fidato collaboratore Sandro Luporini; tra gli altri "Dialogo Tra Un Impiegato E Un Non So", "Far Finta Di Essere Sani", "Anche Per Oggi Non Si Vola", "Libertà Obbligatoria", "Polli D'allevamento", "Io Se Fossi Gaber", "Parlami D'amore Mariù".
Gaber racconta storie marginali, parla di impegno e di amore, di speranza e disillusione; tante canzoni escono dalla conchiglia intima del palcoscenico e diventano fenomeni di costume. Sullo sfondo (e dentro Gaber) c'è una Milano che attraversa - con le sue nebbie con i suoi tram – le turbolenze del '68, l'euforia e poi le utopie di piombo degli anni Settanta, la mostruosa Milano da bere di cartapesta e lustrini, e infine il disincanto degli anni Novanta, stanchi e minimalisti. Gaber è sempre lì, con il suo sguardo ironico e acuminato.

Tutta la sua arte si incarna nel teatro: non compare più in televisione e non incide più dischi per il mercato discografico. Pubblica solo le registrazioni dei suoi spettacoli, in cui unisce il suo talento di chansonnier stralunato ai monologhi recitati, dando vita all'unico esempio italiano significativo di teatro-canzone.
Si cimenta anche con la prosa pura, come in "Il Grigio" (1989) e in "Aspettando Godot", allestito con Jannacci nel 1991. Per alcuni, proprio quando tace la musica a resta la parola nuda, Gaber raggiunge la massima intensità della sua arte. Negli ultimi anni vengono ancora altri recital: "E Pensare Che C'era Il Pensiero" (1995), "Un'idiozia Conquistata A Fatica" (1998).


Nel 2001 il chansonnier torna al mercato discografico classico con "La Mia Generazione Ha Perso", disco amarissimo attraversato da humor pungente e dal disincanto delle utopie finite. Un album forte, già a partire dal titolo, che fa discutere – anche con toni polemici – e ottiene un grande successo. Gaber torna addirittura in televisione, ospite del vecchio amico Celentano.

La malattia che da lungo tempo lo consuma lo porta via il 1° gennaio 2003, nella sua casa di Montemagno, in provincia di Lucca. La camera ardente viene allestita allo storico e amatissimo Piccolo Teatro di via Rovello, ultimo omaggio ad una straordinaria vita di attore e musicista. "Io Non Mi Sento Italiano", l'ultimo disco di Gaber, uscirà postumo nel 2003: epitaffio graffiante di un artista che non ha mai rinunciato ad essere libero.

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