17 nov 2010

Boris Pahor ,Necropoli

Quando si parla di Shoa nello specifico di libri viene subito di dire "Se questo è un uomo" di Primo Levi,giustamente...però ci sono altri capolavori meno conosciuti ma altrettanto interessanti,uno di questi è "Necropoli" di Boris Pahor un'opera autobiografica sulla sua prigionia nel campo di concentramento nazista di Natzweiler-Struthof in Germania...Ho letto questo libro da poco,da segnalare come dice lo stesso Boris da Fazio "Che tempo che  fa"(vedi sotto) era stato pubblicato in sloveno nel 1967 e poi proposto al pubblico italiano dopo le traduzioni in francese, inglese, tedesco, spagnolo, catalano, finlandese, serbo-croato in Italia soltando nel 2007,ricevendo nel 2008  il "Premio Resistenza"...

Necropoli non è, a differenza di altri libri sul medesimo tema, la sola cronaca dell’internamento in un lager del suo protagonista perchè lo stesso Boris Pahor  rende a 360° quel dramma immane,dalla conferma delle cose note ad altri aspetti,particolari ed eventi che la gente nemmeno si immagina.I rapporti tra i prigionieri all'interno dei campi,l'alternarsi di un tutto sommato giustificato egoismo da parte di alcuni in queste condizioni inumane a momenti rari ma significativi di solidarietà e poi il dramma del dopo, il dramma del rientro nella normalità, il dramma del rimorso ed anche il dramma di verificare la superficialità con la quale la gente, pur con tutte la buona volontà, visita questi luoghi. La definirei una vera e propria enciclopedia di questo periodo vergognoso ed atroce della nostra storia recente, scritta con grande lucidità e quindi con una fatica immane da parte di chi deve ricordare e quindi tornare col pensiero a quella parte della propria vita dolorosa e tremenda. Un libro che dunque dovrebbe essere letto da ogni  italiano perché al di là del 27 gennaio giorno della memoria,ogni giorno può e deve essere dedicato alla memoria!!!



Trama:
Un signore di mezza età che, in una domenica di luglio della metà degli anni ’60, viaggia a bordo della sua 600 sui tornanti di una strada nei Vosgi, incolonnato con una quantità di altre vetture di turisti. Non si può immaginare un incipit più quietamente piccolo-borghese per questo Necropoli, ma poche righe dopo quel signore, uno sloveno triestino minuto e dall’aria distinta "Boris Pahor",entra assieme a un gruppo di turisti più o meno consapevoli in quello che era stato il lager nazista di Natzweiler-Struthof. Tenendosi appartato dalla comitiva accompagnata dalla guida, il signore percorre da solo l’itinerario che conosce bene, scendendo dall’ingresso collocato in alto sul pendio, attraverso i terrazzamenti digradanti che conducono in basso, al margine inferiore del campo, dove oltre il filo spinato si vede un folto bosco. Qui, nel fondo, due baracche, una delle quali ospitava la prigione (la prigione? Cos’era allora il resto?), l’altra il forno nel quale gli scheletrici resti di quanti non ce l’avevano fatta trovavano alfine una pace di cenere.Pahor ci fa da guida in questa geografia dell’orrore, a rievocare l’esplicita metafora che essa rappresenta, un’autentica rivisitazione in termini crudamente realistici dell’inferno dantesco nella quale i terrazzamenti hanno il posto dei gironi, i deportati quello dei dannati, i secondini quello dei demoni, il forno la collocazione di Lucifero, nelle cui fauci anziché i traditori dei benefattori vengono divorati i resti di ciò che erano state le povere carni martoriate e innocenti, divenute alfine le ossa umiliate, come le definisce ora una pietosa iscrizione.La rievocazione che Pahor compi, avviene con l’intermittente presenza del gruppo di turisti dal quale egli cerca di stare appartato, a sottolineare la diversità, quasi un occulto vizio originario, tra chi è stato in quei luoghi in compagnia della morte onnipresente e incombente e gli altri, quelli che vivono la loro normalità senza l’insostenibile soma dei ricordi atroci  del reduce.
Un libro che consiglio a tutti

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