21 apr 2011

Piero Calamandrei 21/04/1889- 27/09/1956

Piero Calamandrei è stato un padre costituente,un uomo di sinistra, della resistenza,un antifascista,un grande giurista di scuola liberale,un uomo di cultura,un grande uomo sopratutto che insieme ad altri, di diversa estrazione politico-culturale elaborò ed approvò il testo della nostra costituzione,testo divenuto punto di riferimento e modello imitato.In questi ultimi mesi con l'attacco del governo Berlusconi alla costituzione abbiamo sentito e citato spesso il suo discorso del 1955 all'università di Milano lui sapeva già tutto,sapeva che un giorno,ci sarebbe stato un nuovo attacco alla democrazia .... E ora la sua ricca è interessante biografia e il famoso discorso sulla costituzione!!
LA BIOGRAFIA
Piero Calamndrei nasce a Firenze il 21 Aprile del 1889, discendente da una famiglia di noti giuristi toscani,fu professore universitario e deputato repubblicano nel 1908.Dopo essersi laureato in Giurisprudenza all'Università di Pisa,allievo di Carlo Lessona,nel 1912 partecipò a vari concorsi universitari e nel 1915 fu nominato professore di procedura civile all'Università di Messina. Successivamente (1918) fu chiamato all'Università di Modena e Reggio Emilia per poi passare due anni dopo a quella di Siena ed infine, nel 1924, scelse di passare alla nuova facoltà giuridica di Firenze, dove ha tenuto fino alla morte la cattedra di diritto processuale civile.


Prese parte alla Prima guerra mondiale come ufficiale volontario combattente nel 218º reggimento di fanteria; ne uscì col grado di capitano e fu successivamente promosso tenente colonnello,ma preferì uscire subito dall'esercito per continuare la sua carriera accademica.Della sua vasta produzione giuridica,è da ricordare soprattutto l'Introduzione allo studio delle misure cautelari del 1936, una trattazione all'avanguardia, che farà compiere un vero e proprio balzo in avanti alla scienza processuale italiana.Politicamente schierato a sinistra,subito dopo la marcia su Roma e la vittoria del fascismo fece parte del consiglio direttivo dell'Unione Nazionale fondata da Giovanni Amendola.Partecipò, insieme con Dino Vannucci, Ernesto Rossi, Carlo Rosselli e Nello Rosselli alla direzione di "Italia Libera", un gruppo clandestino di ispirazione azionista.Manifestò sempre la sua avversione alla dittatura mussoliniana, aderendo nel 1925 al Manifesto degli intellettuali antifascisti di Benedetto Croce.D a ricordare Gaetano Salvemini,arrestato a Roma nel 1925 a causa della sua attività antifascista insieme a Ernesto Rossi,che fu difeso dallo stesso Calamandrei!!Durante il ventennio fascista fu uno dei pochissimi professori e avvocati che non ebbe né chiese la tessera del Partito Nazionale Fascista  continuando sempre a far parte del movimento antagonista,collaborando ad esempio con la testata Non Mollare. Contrario all'ingresso dell'Italia nella Seconda guerra mondiale a fianco della Germania, nel 1941 aderí al movimento Giustizia e Libertà ed un anno dopo fu tra i fondatori del Partito d'Azione insieme a Ferruccio Parri, Ugo La Malfa ...
Nominato Rettore dell'Università di Firenze il 26 luglio 1943, dopo l'8 settembre fu colpito da mandato di cattura,cosicché esercitò effettivamente il suo mandato dal settembre 1944, cioè dalla liberazione di Firenze, fino all'ottobre 1947.Nel 1945 fu nominato membro della Consulta Nazionale e dell'Assemblea Costituente in rappresentanza del Partito d'Azione. Partecipò attivamente ai lavori parlamentari come componente della Giunta delle elezioni della commissione d'inchiesta e della Commissione per la Costituzione italiana. I suoi interventi nei dibattiti dell'assemblea ebbero larga risonanza:specialmente i suoi discorsi sul piano generale della Costituzione, sui Patti lateranensi, sulla indissolubilità del matrimonio, sul potere giudiziario.Quando il Partito d'Azione si sciolse, entrò a far parte del Partito Socialdemocratico Italiano, con cui fu eletto deputato nel 1948.Contrario alla «legge truffa» votata anche con l'appoggio del suo partito,fondò dapprima il movimento politico Autonomia Socialista, e nel 1953 prese parte alla fondazione del movimento di Unità popolare con il vecchio amico Ferruccio Parri, che, nonostante l'esiguo risultato ottenuto, fu decisivo affinché la Democrazia Cristiana e i partiti suoi alleati non raggiungessero la percentuale di voti richiesta dalla nuova legge per far scattare il premio di maggioranza.Avvocato di fama, fu presidente del Consiglio Nazionale Forense dal 1946 alla morte.Accademico nazionale dei Lincei, direttore dell'Istituto di diritto processuale comparato dell'Università di Firenze, fu direttore della Rivista di diritto processuale, de Il Foro toscano e del Commentario sistematico della Costituzione italiana. Non erano queste le sue prime esperienza giornalistiche: nell'aprile del 1945 aveva infatti fondato il settimanale politico-letterario Il Ponte. Memorabile il suo "Elogio dei giudici scritto da un avvocato" in cui condensa l'esperienza professionale e accademica di 40 anni di attività. Collaborò inoltre con la rivista Belfagor.Il suo discorso al III Congresso dell'Associazione a difesa della scuola nazionale, Roma,11 febbraio 1950, in difesa della scuola pubblica, e in particolare la parte «Facciamo l'ipotesi» è stato spesso citato nel contro le politiche in materia d'istruzione del governo Berlusconi e del ministro Mariastella Gelmini. Il 26 gennaio 1955 tenne a Milano un famoso discorso presso la Società Umanitaria di Milano, rivolto ad alcuni studenti universitari e delle scuole medie superiori che avevano autonomamente organizzato un ciclo di conferenze sulla Costituzione italiana nonostante la contrarietà delle loro scuole e anche la contestazione fisica di altri studenti organizzati dalla destra sui principi della Costituzione Italiana e della Libertà.Nel febbraio del 1956, il pacifista Danilo Dolci organizza a Trappeto lo "sciopero alla rovescia" per opporsi pacificamente alla cronica mancanza di lavoro per i braccianti siciliani del tempo, organizzando la sistemazione di una strada comunale abbandonata all'incuria. Durante i lavori di sterramento ed assestamento la manifestazione viene repressa da una carica della polizia. Dolci viene arrestato e sarà Calamandrei che ne prenderà le difese in un seguitissimo processo. In accordo con Dolci, Calamandrei incanalò il processo in un dibattito sul quarto articolo della Costituzione. Nella sua arringa dichiarò: "Aiutateci, signori giudici, colla vostra sentenza, aiutate i morti che si sono sacrificati e aiutate i vivi a difendere questa Costituzione, che vuole dare a tutti i cittadini del nostro Paese pari giustizia e pari dignità".
Appunti sul pensiero di Calamadrei di Andrea Cortese
Calamandrei studiò con passione e sacrificio all’università, si laureò presto ed esercitò dapprima come avvocato in uno studio fiorentino per poi iniziare la carriera accademica.Possiamo sicuramente affermare che fu un antifascista di prima linea: l’adesione all’associazione politica di Amendola, la collaborazione con “Non Mollare” (il periodico clandestino dell’organizzazione segreta “Italia Libera”), la fondazione insieme ai Fratelli Rosselli, Ernesto Rossi e Salvemini del Circolo di Cultura di Firenze (in seguito distrutto dai fascisti), l’adesione a Giustizia e Libertà, la collaborazione con Critica Sociale di Turati, la sottoscrizione del Manifesto degli Intellettuali Antifascti di Benedetto Croce ecc. Lo spirito socialista con tutte le sue sfumature (social-liberale, socialdemocratico ecc) presero naturalmente “forma” dopo la restaurazione della democrazia e la ricostruzione dei partiti politici. Partecipò attivamente alla stesura della Costituzione in Assemblea, e fondò insieme a Ferruccio Parri e Ugo La Malfa il Partito d’Azione.Durante il fascismo rifiuta la tessera del PNF e si dimette da professore universitario per non sottoscrivere una lettera di sottomissione a Mussolini. In questi anni di silenzio continuò la sua attività antifascista, criticando nel suo diario personale l’immobilità degli italiani e l’asservimento degli intellettuali. Sullo stesso periodico “Non Mollare” Calamandrei porterà l’esempio di Salvemini e delle numerose critiche rivolte dallo stesso Senato Accademico per le dimissioni seguite dalle forti critiche verso il regime.La seconda guerra mondiale avverte come crisi di una civiltà ma invita ad avere fede nel futuro; tuttavia, passando la Germania di vittoria in vittoria, un cupo pessimismo gli faceva affermare che “agli uomini della mia generazione e della mia fede non resta che morire”.

Per Calamandrei nell’agosto del 44 l’Italia è entrata in una fase rivoluzionaria intesa come passaggio da un vecchio ad un nuovo ordinamento giuridico. Dire rivoluzione significa prendere posizione contro i fautori della restaurazione del vecchio stato prefascista, di un nostalgico “ritorno allo Statuto”. Il vecchio Stato è morto per la stretta mortale con il Fascismo, caduto il quale non può rimanere in piedi lo Statuto per la semplice ragione “che lo Statuto da molto tempo non c’era più”. Calamandrei riconosce, invece, sovranità e autorità al Comitato di liberazione nazionale “ diretta rappresentanza del popolo italiano rimasto in piedi dopo la catastrofe”. Per questo saluta con gioia la formazione del governo Parri (giugno 1945).
Nell’assemblea costituente fece parte della Commissione dei 75, in particolare della sottocommissione sull’Ordinamento Costituzionale della Repubblica: “lo spirito della Resistenza tradotto in formule giuridiche” e la Resistenza valuta come anello essenziale della storia d’Italia, giunzione gloriosa tra passato avvenire.Fu contrario all’introduzione dei Patti Lateranensi nella Costituzione e si oppose alla scomunica contro i Comunisti di Pio XII del ’49.Prende la parola per l’ultima volta nella Camera dei Deputati il 12 dicembre 1952 contro la legge truffa: “Le nostre persone passano, non contano; i calcoli elettorali, il numero dei seggi, sono trascurabili miserie; quello che conta ……è lasciare aperte verso l’avvenire, nelle nostre coscienze e nel paese, le strade pacifiche che attraverso la democrazia parlamentare portano a quelle plaghe ove la libertà è tutt’uno col socialismo”.
Piero Calamandrei
Milano, 26 gennaio 1955
“L’art.34 dice: “i capaci ed i meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi.” E se non hanno mezzi! Allora nella nostra Costituzione c’è un articolo, che è il più importante di tutta la Costituzione, il più impegnativo; non impegnativo per noi che siamo al desinare, ma soprattutto per voi giovani che avete l’avvenire davanti a voi. Dice così: “E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli, di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. E’ compito di rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona umana.

Quindi dare lavoro a tutti, dare una giusta retribuzione a tutti, dare la scuola a tutti, dare a tutti gli uomini dignità di uomo. Soltanto quando questo sarà raggiunto, si potrà veramente dire che la formula contenuta nell’articolo primo “L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro” corrisponderà alla realtà. Perché fino a che non c’è questa possibilità per ogni uomo di lavorare e di studiare e di trarre con sicurezza con il proprio lavoro i mezzi per vivere da uomo, non solo la nostra Repubblica non si potrà chiamare fondata sul lavoro, ma non si potrà chiamare neanche democratica. Una democrazia in cui non ci sia questa uguaglianza di fatto, in cui ci sia soltanto una uguaglianza di diritto è una democrazia puramente formale, non è una democrazia in cui tutti i cittadini veramente siano messi in grado di concorrere alla vita della Società, di portare il loro miglior contributo, in cui tutte le forze spirituali di tutti i cittadini siano messe a contribuire a questo cammino, a questo progresso continuo di tutta la Società.

E allora voi capite da questo che la nostra Costituzione è in parte una realtà, ma soltanto in parte è una realtà. In parte è ancora un programma, un ideale, una speranza, un impegno, un lavoro da compiere. Quanto lavoro avete da compiere! Quanto lavoro vi sta dinnanzi! E’ stato detto giustamente che le Costituzioni sono delle polemiche, che negli articoli delle Costituzioni, c’è sempre, anche se dissimulata dalla formulazione fredda delle disposizioni, una polemica. Questa polemica di solito è una polemica contro il passato, contro il passato recente, contro il regime caduto da cui è venuto fuori il nuovo regime. Se voi leggete la parte della Costituzione che si riferisce ai rapporti civili e politici, ai diritti di libertà voi sentirete continuamente la polemica contro quella che era la situazione prima della Repubblica, quando tutte queste libertà, che oggi sono elencate, riaffermate solennemente, erano sistematicamente disconosciute: quindi polemica nella parte dei diritti dell’uomo e del cittadino, contro il passato. Ma c’è una parte della nostra Costituzione che è una polemica contro il presente, contro la Società presente. Perché quando l’articolo 3 vi dice “E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli, di ordine economico e sociale che impediscono il pieno sviluppo della persona umana” riconosce, con questo, che questi ostacoli oggi ci sono, di fatto e che bisogna rimuoverli. Dà un giudizio, la Costituzione, un giudizio polemico, un giudizio negativo, contro l’ordinamento sociale attuale, che bisogna modificare, attraverso questo strumento di legalità, di trasformazione graduale, che la Costituzione ha messo a disposizione dei cittadini italiani. Ma non è una Costituzione immobile, che abbia fissato, un punto fermo. E’ una Costituzione che apre le vie verso l’avvenire, non voglio dire rivoluzionaria, perché rivoluzione nel linguaggio comune s’intende qualche cosa che sovverte violentemente; ma è una Costituzione rinnovatrice, progressiva, che mira alla trasformazione di questa Società, in cui può accadere che, anche quando ci sono le libertà giuridiche e politiche, siano rese inutili, dalle disuguaglianze economiche e dalla impossibilità, per molti cittadini, di essere persone e di accorgersi che dentro di loro c’è una fiamma spirituale che, se fosse sviluppata in un regime di perequazione economica, potrebbe anch’essa contribuire al progresso della Società.

Quindi polemica contro il presente, in cui viviamo e impegno di fare quanto è in noi per trasformare questa situazione presente.Però vedete, la Costituzione non è una macchina che una volta messa in moto va avanti da sé. La Costituzione è un pezzo di carta, la lascio cadere e non si muove. Perché si muova bisogna ogni giorno rimetterci dentro il combustibile. Bisogna metterci dentro l’impegno, lo spirito, la volontà di mantenere queste promesse, la propria responsabilità; per questo una delle offese che si fanno alla Costituzione è l’indifferenza alla politica, indifferentismo, che è, non qui per fortuna, in questo uditorio, ma spesso in larghi strati, in larghe categorie di giovani, un po’ una malattia dei giovani. La politica è una brutta cosa. Che me ne importa della politica. E io quando sento fare questo discorso, mi viene sempre in mente quella vecchia storiellina, che qualcheduno di voi conoscerà di quei due emigranti, due contadini che traversavano l’oceano, su un piroscafo traballante. Uno di questi contadini dormiva nella stiva e l’altro stava sul ponte e si accorgeva che c’era una gran burrasca, con delle onde altissime e il piroscafo oscillava. E allora uno di questi contadini, impaurito, domanda a un marinaio “ ma siamo in pericolo?” e questo dice “secondo me, se continua questo mare, tra mezz’ora il bastimento affonda.” Allora lui corre nella stiva a svegliare il compagno, dice: “Beppe, Beppe, Beppe”,….“che c’è!” … “Se continua questo mare, tra mezz’ora, il bastimento affonda” e quello dice ”che me ne importa, non è mica mio!” Questo è l’ indifferentismo alla politica.E’ così bello e così comodo. La libertà c’è, si vive in regime di libertà, ci sono altre cose da fare che interessarsi di politica. E lo so anch’io. Il mondo è così bello. E vero! Ci sono tante belle cose da vedere, da godere oltre che ad occuparsi di politica. E la politica non è una piacevole cosa. Però, la libertà è come l’aria. Ci si accorge di quanto vale quando comincia a mancare, quando si sente quel senso di asfissia che gli uomini della mia generazione hanno sentito per vent’anni, e che io auguro a voi, giovani, di non sentire mai. E vi auguro, di non trovarvi mai a sentire questo senso di angoscia, in quanto vi auguro di riuscire a creare voi le condizioni perché questo senso di angoscia non lo dobbiate provare mai, ricordandovi ogni giorno, che sulla libertà bisogna vigilare,vigilare, dando il proprio contributo alla vita politica.La Costituzione, vedete, è l’affermazione scritta in questi articoli, che dal punto di vista letterario non sono belli, ma l’affermazione solenne della solidarietà sociale, della solidarietà umana, della sorte comune, che se va affondo, va affondo per tutti questo bastimento. E’ la Carta della propria libertà. La Carta per ciascuno di noi della propria dignità d’uomo. Io mi ricordo le prime elezioni, dopo la caduta del fascismo, il 6 giugno del 1946; questo popolo che da venticinque anni non aveva goduto delle libertà civili e politiche, la prima volta che andò a votare, dopo un periodo di orrori, di caos: la guerra civile, le lotte, le guerre, gli incendi, andò a votare. Io ricordo, io ero a Firenze, lo stesso è capitato qui. Queste file di gente disciplinata davanti alle sezioni. Disciplinata e lieta. Perché avevano la sensazione di aver ritrovato la propria dignità, questo dare il voto, questo portare la propria opinione per contribuire a creare, questa opinione della comunità, questo essere padroni di noi, del proprio paese, della nostra patria, della nostra terra; disporre noi delle nostre sorti, delle sorti del nostro paese. Quindi voi giovani alla Costituzione dovete dare il vostro spirito, la vostra gioventù, farla vivere, sentirla come cosa vostra, metterci dentro il senso civico, la coscienza civica, rendersi conto, questo è uno delle gioie della vita, rendersi conto che ognuno di noi, nel mondo, non è solo! Che siamo in più, che siamo parte di un tutto, tutto nei limiti dell’Italia e nel mondo.Ora vedete, io ho poco altro da dirvi.In questa Costituzione di cui sentirete fare il commento nelle prossime conferenze, c’è dentro tutta la nostra storia, tutto il nostro passato, tutti i nostri dolori, le nostre sciagure, le nostre glorie: son tutti sfociati qui negli articoli.E a sapere intendere dietro questi articoli, ci si sentono delle voci lontane.Quando io leggo: nell’articolo 2 “L’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà, politica, economica e sociale” o quando leggo nell’articolo 11 “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà di altri popoli”, “la patria italiana in mezzo alle altre patrie” ma questo è Mazzini! Questa è la voce di Mazzini.O quando io leggo nell’articolo 8: “Tutte le confessioni religiose, sono ugualmente libere davanti alla legge” ma questo è Cavour!O quando io leggo nell’articolo 5 ”La Repubblica, una ed indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali” ma questo è Cattaneo!O quando nell’articolo 52 io leggo, a proposito delle forze armate “L’ordinamento delle forze armate si informa allo spirito democratico della Repubblica”, l’esercito di popolo, e questo è Garibaldi!O quando leggo all’art. 27 “Non è ammessa la pena di morte” ma questo, o studenti milanesi, è Beccaria!!Grandi voci lontane, grandi nomi lontani. Ma ci sono anche umili nomi, voci recenti. Quanto sangue, quanto dolore per arrivare a questa Costituzione!! Dietro ogni articolo di questa Costituzione o giovani, voi dovete vedere giovani come voi, caduti combattendo, fucilati, impiccati, torturati, morti di fame nei campi di concentramento, morti in Russia, morti in Africa, morti per le strade di Milano, per le strade di Firenze, che hanno dato la vita perché la libertà e la giustizia potessero essere scritte su questa Carta. Quindi quando vi ho detto che questa è una Carta morta: no, non è una Carta morta.Questo è un testamento, un testamento di centomila morti. Se voi volete andare in pellegrinaggio, nel luogo dove è nata la nostra Costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati, dovunque è morto un italiano, per riscattare la libertà e la dignità: andate lì, o giovani, col pensiero, perché li è nata la nostra Costituzione.

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