18 mar 2011

ERRI DE LUCA "IL GIORNO PRIMA DELLA FELICITA'"

Come avrete visto nelle ultime recensioni mi sono appassionato a questo autore e quindi potrei limitarmi quasi ad occhi chiusi a ordinarvi di leggere anche questa sua opera!!!Invece in piena coscienza voglio dirvi di più e cioè di gustarvi questo autentico capolavoro riga per riga,perchè ne vale la pena!!!!!La prima cosa che mi ha colpito leggendo i romanzi di Erri De Luca è il vento.C’è sempre un’aria tesa che soffia dalle parole,che si incatenano l’una con l’altra a formare file di un corteo che marcia.Questa è un’immagine.l’impressione più immediata che può venire dal suo stile. Inconfondibile,calibrato negli anni.Un procedere serrato,con definizioni fulminanti,un misto di dolcezza e pugno.Brevi righe come sentenze.Storie accese e un’idea ferma:trasmettere quell’universo di domande,di umori,di passioni,di sensi e di parole che precede sempre un evento,una storia che la vita ti consegna anche se non atteso.Quando lo vivi, telo pigli, quel destino;ci sarà tempo poi per far filosofia..
LA STORIA:
Questo libro è una storia scritta dal “dopo”, per voce del suo protagonista io narrante ,su un quaderno a righe mentre ripercorre la sua e mille altre storie che ha vissuto che ha sentito,nel suo vicolo,nella sua città.In questo romanzo ad Erri basta un cortile,per definire una nazione.Gli bastano quattro personaggi umili,per affrescare un popolo.La voce dal “Il giorno prima della felicità” come dicevamo è lo “smilzo” un orfano magro che vive in un caseggiato napoletano come tanti dei quartieri,lasciato solo per le tante ragioni incredibili che stanno le dietro le storie pazze di una città e in particolare le storie di quella città nell’anno in cui lo Smilzo è venuto al mondo: il 1943. In un cambio di stagione repentino Napoli ha consegnato alla storia la sua più importante epopea popolare,le Quattro Giornate, la ribellione ai nazisti.

Al momento dei fatti del libro la guerra è passata e lo Smilzo bambino e poi ragazzo viene accudito e un po’ adottato da Don Gaetano,portiere di quel palazzo della Napoli che abbiamo conosciuto da tanta letteratura e da tanto cinema.Erri de Luca ci torna,  quegli anni secondo lui cruciali ed esemplari. L’estate del 1943 e le quattro giornate della rivolta di Napoli all’invasore Nazista e gli anni dopo,pieni di una vita che si riprendeva il suo vento e il suo sangue.Lo Smilzo gioca a pallone tra i vicoli.Va con piacere a scuola.Guarda alla bambina del terzo piano come a un fantasma d’amore quando ancora quella parola è un catino vuoto per i suoi otto anni.Imparerà con il tempo,fino alla sua maggiore età, da Don Gaetano quello che serve della vita: cucinare pasta e patate,conoscere in anticipo i pensieri degli altri,fare a scopa con le carte,capire cosa una donna vuole  attraverso la passione sorda che apprende dalla vedova del terzo piano sempre bisognosa di un piccolo lavoretto,e l’amore poi di Anna,quella ragazzina che spiava dal balcone che ritorna proprio in quel settembre della maggiore età dello Smilzo, col suo bisogno di amore di lacrime e di sangue,a sancire il fatto che ormai i piccolo s’è fatto uomo. Imparerà col tempo anche quello che è il cuore di questo romanzo (otre che un canto della paternità): ovvero che Napoli ha un cuore forte, malgrado i “tanti schiaffi” che in passato come ancora oggi la città continua a prendere.Erri De Luca dà forma ad un andirivieni col passato in questo romanzo fluido come un poema cavalleresco;Don Gaetano racconta quell’estate in cui a Napoli s’alzò il vento della rivolta “un vento che non viene dal mare ma da dentro la cità: mo’ basta, mo’ basta..la città cacciava la testa fuori dal sacco”.Napoli appare nel racconto di Don Gaetano non la generica “gente”, ma una serie di persone che tutte assieme fanno impressione. E fanno popolo, nel senso più nobile e appassionato, forse un po’ romantico. E’ questo il ventre di Napoli per Erri De Luca,la sua capacità di ribellarsi anche alla propria storia di capo chino: «Il popolo fa la sua mossa, poi subito si scioglie, ritorna a essere folla di persone. Corrono ai fatti loro ma più spiritosi, perché le rivolte fanno bene all’umore di chi le fa». Forse ci vorrebbe anche oggi una rivolta, ma l’invasore di Napoli oggi si chiama Napoli. E forse è inevitabile che, chi la racconta meglio questa città come lo Smilzo/De Luca, come Saviano suo malgrado o Eduardo per sceltà, debba farlo sempre da una lontananza nomade,da migrante,di lusso o di terza classe.E così mentre lo Smilzo si fa uomo impara che la guerra è odio, sangue, persecuzione, passione, morte, amore. E d’improvviso in quell’estate degli anni ’50, scopre che diventare uomini sarà proprio questo, anche in tempo di pace: ancora amore e poi odio, passione ma anche morte.
“Il giorno prima della felicità” è anche un libro sull’amore che supera ogni critica per Napoli, questa città così “anarchica e monarchica” come scrive ad un certo punto. Ricca di una commedia umana come neanche la Parigi di Balzac. E attraverso quelle storie raccontate da Don Gaetano, lo Smilzo da orfano trova un’appartenenza collettiva, trova il suo popolo e ne è parte, come con Anna si fa parte del suo corpo: “«Ascoltavo le storie della città e la riconoscevo come mia (…) I suoi racconti diventavano ricordi miei. Riconoscevo da dove venivo, non ero figlio di un palazzo, ma di una città. Non ero orfano di genitori, ma la persona di un popolo». LA storia come l’amore però presentano il conto: Anna ricamerà della sua fragilità pericolosa i pensieri dello Smilzo fino al punto finale, l’acuto doloroso di un canto che pure nel bene nel male è parte della città, la camorra, l’odio, la violenza, che lo Smilzo accetta come un destino. Un romanzo che è un insieme di quadri drammatici e comici,dallo scarparo,La Capa all’Ebreo salvato da Don Gaetano,dal Ragioner Cummoglio al Conte giocatore fallito.Personaggi secondari che secondari non sono perché a Napoli anche gli eroi sono sempre in apparenza le comparse.Un romanzo che somiglia a Don Gaetano che è “un raccoglitore di storie” come tutti gli uomini lo sono se diventano capaci di ascoltare. Un romanzo che vuole farsi Napoli, anche attraverso un uso della lingua italiana filtrata dalla grande lingua Napoletana. Erri De Luca è scrittore, ma è anche un narratore e ha imparato bene la lezione di Don Gaetano: “l’italiano va bene per scrivere, dove non serve la voce, ma per raccontare ci vuole la lingua nostra” dice ad un certo punto : “il napoletano è romanzesco, fa spalancare le orecchie e pure gli occhi”.E proprio grazie alle sue origini alla sua vita e la memoria "Erri e natò proprio in quel periodo" che esce un vero capolavoro....non mi resta che consigliare a tutti voi questa meravigliosa lettura....
"È bella di notte la città. C'è pericolo ma pure libertà. Ci girano quelli senza sonno, gli artisti, gli assassini, i giocatori, stanno aperte le osterie, le friggitorie, i caffè. Ci si saluta, ci si riconosce, tra quelli che campano di notte. Le persone si perdonano i vizi. La luce del giorno accusa, lo scuro della notte dà l'assoluzione. Escono i trasformati, uomini vestiti da donna, perché così gli dice la natura e nessuno li scoccia. Nessuno chiede conto di notte. Escono gli storpi, i ciechi, gli zoppi, che di giorno vengono respinti. È una tasca rivoltata, la notte nella città. Escono pure i cani, quelli senza casa. Aspettano la notte per cercare gli avanzi, quanti cani riescono a campare senza nessuno. Di notte la città è un paese civile."

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