28 gen 2011

Guccini "La locomotiva" e la storia dell'Anarchico Pietro Rigosi

Alla fine di ogni concerto Francesco Guccini  propone sempre la sua ballata più popolare:ovvero "La locomotiva", un pezzo che avevo già citato presentando l'album Radici (vedi link Radici)..Questa canzone dal sapore libertario,continua a smuovere (da quasi 40 anni)qualcosa negli animi di tutti, giovani e meno giovani in quella parte che vuole,malgrado tutto,continuare a credere.E quando arriva il momento della chiusura del concerto e Francesco intona questo pezzo.... un tripudio di cori e pugni chiusi si alzano in cielo,al grido di:
trionfi la giustizia proletaria,
trionfi la giustizia proletaria,
trionfi la giustizia proletaria.
e così quella locomotiva "come una cosa viva lanciata a bomba contro l'ingiustizia" mantiene il suo fascino col passare delle generazioni.Non tutti sanno che questa ballata si richiama a un fatto realmente accaduto esattamente il 20 luglio 1893 e, per quanto riguarda i fatti,vi si attiene fedelmente,motore tematicoe narrativo della "locomotiva" come spesso Guccini ha detto è il libro "Trent'anni in officina" che racconta le memorie dell'ex operaio Romolo Bianconi,che nel testo tratta di un episodio singolare,rimasto se non unico abbastanza raro negli annali ferroviari,protagonista il fuochista anarchico Pietro Rigosi,che si impadronì di una locomotiva e la mando a schiantarsi contro una vettura in sosta nella stazione di Bologna "piena di signori"


"Il disastro di ieri alla ferrovia - l'aberrazione di un macchinista", titola il quotidiano bolognese “Il Resto del Carlino” del 21 luglio 1893. Nell'articolo si legge:
"Poco prima delle 5 pomeridiane di ieri, l'Ufficio Telegrafico della stazione (di Bologna) riceveva dalla stazione di Poggio Renatico un dispaccio urgentissimo (ore 4,45) annunziante che la locomotiva del treno merci 1343 era in fuga da Poggio verso Bologna. Lo stesso dispaccio era stato comunicato a tutte le stazioni della linea, perché venissero prese le disposizioni opportune per mettere la locomotiva fuggente in binari sgombri dandole libero il passo in modo da evitare urti, scontri o disgrazie.... Capo stazione, ingegneri e personale del movimento furono sossopra e chi diede ordini, chi si lanciò lungo la linea verso il bivio incontro alla locomotiva che stava per giungere. Non si sapeva ancora se la macchina in fuga era scortata da qualcuno del personale; e solo i telegrammi successivi delle stazioni di San Pietro in Casale e Castelmaggiore, che annunziavano il fulmineo passaggio della locomotiva, potevano constatare che su di essi stava un macchinista e un fuochista. Ma la corsa continuava e la preoccupazione alla ferrovia cresceva ...“All'epoca già confluivano alla stazione di Bologna quattro importanti linee ferroviarie e i binari di stazione erano soltanto cinque. In quell'ora i binari erano ingombri per treni in arrivo e in partenza Non c'erano sottopassaggi. La inevitabile concisione dei dispacci telegrafici impedì di comprendere chiaramente la situazione. Per evitare guai maggiori la locomotiva venne instradata sul binario cosiddetto "2 numeri", un binario tronco sulla destra, più o meno dove oggi c'è il fabbricato delle Poste. Allora c'erano le tettoie della gestione merci.

”Alle 5,10 [la locomotiva] entrava dal bivio e passava davanti allo scalo, fischiando disperatamente, con una velocità superiore ai 50 km. Sulla macchina c'era un uomo che, invece di dare il freno, cercare di fermare, metteva carbone.... Era un uomo che correva, che voleva correre alla morte! Il personale lungo la linea agitando le braccia, gridando, gli faceva cenno di fermare, di dare il freno; taluno gli urlò di gettarsi a terra, ma egli rimaneva imperterrito nella locomotiva. Un esperto macchinista, il Mazzoni, che era lungo la linea e lo vedeva correre incontro a morte sicura, gli gridò: "buttati a terra!"; ma il giovanotto - che giovane era lo sciagurato - dalla banchina a lato della piazza tubolare della caldaia tenendosi alla maniglia di ottone, si portò sul davanti della locomotiva sotto il fanale di fronte, attaccato sempre alla maniglia e colla schiena verso la stazione dov'era il pericolo.”La locomotiva andò quindi a sbattere contro la vettura di prima classe ed i sei carri merci che si trovavano in sosta sul binario tronco alla velocità di 50 chilometri orari."Al momento dell'urto egli era sulla fronte della macchina e i presenti che lo videro esterrefatti passare dinanzi a loro affermano che proprio al momento dell'urto egli si sporse in fuori, volgendo la testa verso la vettura, contro alla quale andava a dar di cozzo. L'urto, disastroso per la macchina e i carri, fu tremendo per l'uomo. Egli rimase preso fra la macchina e il vagone di la classe schiacciato orribilmente. Accorsero funzionari delle ferrovie, di P.S., guardie, personale viaggiante e manovali e il disgraziato fu tosto riconosciuto. È certo Pietro Rigosi di Bologna, di anni 28, fuochista da parecchi anni e buon impiegato... a Poggio Renatico, mentre il macchinista Rimondini Carlo era sceso un momento, il Rigosi aveva sganciato la locomotiva del treno merci e poi l'aveva lanciata a tutta velocità legando la valvola del fischio, per modo che destò l'allarme per tutta la corsa. Avrebbe potuto pentirsi durante il tragitto e dare il freno (che funzionava bene anche dopo la catastrofe) ma egli non volle. Probabilmente un'improvvisa alterazione di cervello che lo rese crudele contro se stesso, perché, per quanti pensieri di famiglia egli avesse, non giustificavano certo un tentativo di suicidio che poteva costare la vita a molte altre persone.”
Il fatto ebbe una grande risonanza su tutta la stampa nazionale. Vi fu chi immaginò che il macchinista avesse letto “La bête humaine” di Emile Zola, restandone suggestionato al punto da imitarne le vicende. Altri mossero critiche alle ferrovie per non aver provveduto ad insabbiare un binario allo scopo di far fermare la locomotiva senza danni. Un lettore del Resto del Carlino mandò un telegramma al giornale sostenendo che, inviando incontro alla locomotiva in fuga, una macchina di maggiore potenza, questa avrebbe potuto, una volta avvistatala, invertire la marcia e frenarne la corsa gradualmente. Tutti i commenti concordavano sulla imprevedibilità del gesto.Pietro Rigosi veniva indicato dal giornale come "fuochista da parecchi anni e buon impiegato". Sposato, padre di due bambine, di tre anni e di dieci mesi. Nessuna indagine sulle sue condizioni economiche e familiari consentì di capire quali motivi lo avessero spinto. Qualche debito di importo non rilevante, ma al tempo era abbastanza frequente, nessuna oscura vicenda personale, nessun dissapore familiare. Sorprendentemente il nostro uomo non rimase ucciso in quello scontro terribile nel quale aveva cercato deliberatamente la morte mettendosi fra la locomotiva e la vettura ferma. Evidentemente l'urto fortissimo lo fece schizzare via prima che i due veicoli si incastrassero l'uno nell'altro. Gli venne amputata una gamba, il viso rimase deformato dalle cicatrici, dovette sopportare una lunga degenza all'ospedale, ma dopo circa due mesi fece ritorno a casa. Inutilmente i giornalisti e i curiosi che gli facevano visita tentarono di chiedergli i motivi che lo avevano spinto ad un gesto tanto clamoroso. A nessuno venne risposto: il Rigosi si mantiene abbastanza tranquillo, parla con chi va a fargli visita, ma si astiene sempre ad accennare alle cause e al movente del suo atto, cambiando discorso o non rispondendo ogni volta che gli si richiede per quale ragione lanciò la sua macchina a tutto vapore da Poggio a Bologna e perché cercasse di morire. Un'unica frase, che il cronista del Carlino riprende da un articolo della Gazzetta Piemontese, sembra gli sia sfuggita subito dopo il ricovero: "Che importa morire? Meglio morire che essere legato!"
Un vero personaggio, Pietro Rigosi, fuochista delle Strade Ferrate Meridionali - Rete Adriatica, matricola 42918. E comprensibile che questo suo atteggiamento, dignitoso e ribelle insieme, abbia ispirato Francesco Guccini.Non era un ferroviere modello.Non tanto perché veniva spesso punito.Per i ferrovieri dell'esercizio allora ad ogni minimo errore corrispondeva una sanzione economica.Nel caso di Rigosi Pietro si tratta però di mancanze di omissione, negligenza, o diverbi con colleghi e superiori. Tutti chiari segni di affaticamento e insofferenza all'ambiente. Multa di £ 5 per aver risposto "con modo sconveniente al Capo Deposito di Piacenza mentre questi taceva delle giuste osservazioni al suo Macchinista". Sospensione per tre giorni dal soldo e dal servizio per essere "venuto a diverbio col Macch. Baroncini Federico per futili motivi tra Mestre e Marano. Diede poi luogo ad un deplorevole alterco sotto la tettoia della stazione di Padova". Tre mesi prima del fatto era stato punito con "sospensione dal soldo e dal servizio per giorni tre per aver preso in mala parte una frase detta per ischerzo da un macchinista del Deposito di Milano e non a lui rivolta, provocando così un diverbio, seguito da vie di fatto in stazione di Piacenza". Ma numerose sono le multe per mancata presentazione al treno. "Mancò alla partenza dal treno 1008 del 7 agosto sebbene avvisato il giorno prima e avanti alla partenza dallo svegliatore". Erano mancanze che costavano care: dalle 3 alle 5 lire quando la paga giornaliera era di 2 lire e 50. Alcune multe riguardavano mancanze oggi incomprensibili: venne trovato coricato nelle brande del dormitorio senza le prescritte lenzuola. I dormitori dotati di docce erano rarissimi e i macchinisti erano costretti a ripulirsi molto sommariamente prima di coricarsi. L'uso delle lenzuola da parte dei ferrovieri si rendeva quindi obbligatorio per evitare che venissero insudiciate le brande.C'è una vasta letteratura sulle pesanti condizioni di lavoro dei ferrovieri, in particolare dei macchinisti, alla fine del secolo scorso. Turni ininterrotti fino a trenta e anche quaranta ore consecutive, esposizione alle intemperie su macchine non di rado senza alcun riparo o con ripari che risultavano del tutto insufficienti, disciplina di tipo prussiano, tutto questo aggiunto ad un mestiere già duro: ricordiamo che una corsa da Venezia a Bologna significava per il fuochista spalare quaranta quintali di carbone. Non stupisce quindi che la mortalità nella categoria fosse tanto alta che non più del 10% dei macchinisti arrivava alla pensione. Forse fu tutto questo a spingere il nostro alla corsa forsennata verso Bologna. Anche se non volle mai dirlo pubblicamente ci doveva essere un rancore profondo in Pietro Rigosi verso la Società delle Strade Ferrate.

Qualche tempo dopo essere stato dimesso dall'ospedale, venne "esonerato dal servizio per motivi di salute". Il Consorzio di Mutuo Soccorso gli liquidò un sussidio di lire 308,13 e la Direzione delle Ferrovie ne dispose un secondo "a solo titolo di commiserazione, di £ 150, pari a due mesi della paga che percepiva". Al momento di ritirare il sussidio Pietro Rigosi si avvide che sul ruolo di pagamento, che avrebbe dovuto firmare per ricevuta, stava la scritta come motivazione "buona uscita". Tanto bastò per fargli rifiutare quella cifra di cui doveva avere certamente un gran bisogno. Evidentemente nessuno doveva pensare che la sua uscita dalle ferrovie fosse avvenuta in bontà di rapporti. Accettò la somma solamente dopo che la motivazione di buona uscita venne sostituita con 'per elargizione'. Anche l'atteggiamento della severissima Società delle Strade Ferrate Meridionali fu, nell'occasione, stranamente indulgente. Il fatto aveva provocato danni notevoli, tanto da venire citato nella relazione annuale agli azionisti fra le cause che avevano limitato l'ammontare degli utili corrisposti. Nessuna punizione per il ferroviere responsabile. Esonero per motivi di salute, invece del licenziamento,e corresponsione di un sussidio non certo elevato, ma certamente non dovuto. L'ipotesi della follia esonerava dalla necessità di approfondire le cause e, con i pazzi e i fanciulli, è sempre opportuna la clemenza.

Non so che viso avesse, neppure come si chiamava
con che voce parlasse, con quale voce poi cantava
quanti anni avesse visto allora, di che colore i suoi capelli
ma nella fantasia ho l'immagine sua,
gli eroi son tutti giovani e belli,
gli eroi son tutti giovani e belli,
gli eroi son tutti giovani e belli.
Conosco invece l'epoca dei fatti, qual'era il suo mestiere:

i primi anni del secolo, macchinista, ferroviere,
i tempi in cui si cominciava la guerra santa dei pezzenti
sembrava il treno anch'esso un mito di progresso,
lanciato sopra i continenti,
lanciato sopra i continenti,
lanciato sopra i continenti.
E la locomotiva sembrava fosse un mostro strano
che l'uomo dominava con il pensiero e con la mano
ruggendo si lasciava indietro distanze che sembravano infinite
sembrava avesse dentro un potere tremendo,
la stessa forza della dinamite,
la stessa forza della dinamite,
la stessa forza della dinamite.
Ma un'altra grande forza spiegava allora le sue ali
parole che dicevano: "gli uomini sono tutti uguali"
e contro ai re e ai tiranni scoppiava nella via
la bomba proletaria, ed illuminava l'aria
la fiaccola dell'anarchia,
la fiaccola dell'anarchia,
la fiaccola dell'anarchia.
Un treno tutti i giorni passava per la sua stazione
un treno di lusso, lontana destinazione
vedeva gente riverita, pensava a quei velluti, agli ori
pensava al magro giorno della sua gente attorno,
pensava a un treno pieno di signori,
pensava a un treno pieno di signori,
pensava a un treno pieno di signori.
Non so che cosa accadde, perché prese la decisione
forse una rabbia antica, generazioni senza nome
che urlarono vendetta, gli accecarono il cuore

dimenticò pietà, scordò la sua bontà,
la bomba sua la macchina a vapore,
la bomba sua la macchina a vapore,
la bomba sua la macchina a vapore.
E sul binario stava la locomotiva
la macchina pulsante sembrava fosse cosa viva
sembrava un giovane puledro che appena liberato il freno
mordesse la rotaia con muscoli d'acciaio,
con forza cieca di baleno,
con forza cieca di baleno,
con forza cieca di baleno.
E un giorno come gli altri, ma forse con più rabbia in corpo
pensò che aveva il modo di riparare a qualche torto
salì sul mostro che dormiva, cercò di mandar via la sua paura
e prima di pensare a quel che stava a fare,
il mostro divorava la pianura,
il mostro divorava la pianura,
il mostro divorava la pianura.
Correva l'altro treno ignaro, quasi senza fretta
nessuno immaginava di andare verso la vendetta
ma alla stazione di Bologna arrivò la notizia in un baleno:
"notizia di emergenza, agite con urgenza,
un pazzo si è lanciato contro al treno,
un pazzo si è lanciato contro al treno,
un pazzo si è lanciato contro al treno."
Ma intanto corre corre corre la locomotiva
e sibila il vapore, sembra quasi cosa viva
e sembra dire ai contadini curvi, il fischio che si spande in aria:
fratello non temere, che corro al mio dovere,
trionfi la giustizia proletaria,
trionfi la giustizia proletaria,
trionfi la giustizia proletaria.
Intanto corre corre corre sempre più forte
e corre corre corre corre verso la morte
e niente ormai può trattenere l'immensa forza distruttrice
aspetta sol lo schianto e poi che giunga il manto
della grande consolatrice,
della grande consolatrice,
della grande consolatrice.
La storia ci racconta come finì la corsa
la macchina deviata lungo una linea morta
con l'ultimo suo grido di animale la macchina eruttò lapilli e lava
esplose contro il cielo, poi il fumo sparse il velo,
lo raccolsero che ancora respirava,
lo raccolsero che ancora respirava,
lo raccolsero che ancora respirava.
Ma a noi piace pensarlo ancora dietro al motore
mentre fa correr via la macchina a vapore
e che ci giunga un giorno ancora la notizia
di una locomotiva come una cosa viva,
lanciata a bomba contro l'ingiustizia,
lanciata a bomba contro l'ingiustizia,
lanciata a bomba contro l'ingiustizia.

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