10 ago 2010

Piazza Loreto

Ciao amici,come sapete nel mio blog passo spesso dal quel rosso fuoco,che per me non è soltanto quello della passione ma anche quello dell'impegno civile,a quello pastello della leggerezza e di cose adatte a questo periodo di vacanze...la mia coscienza civile non è andata in ferie,impossibile per me non guardare sempre con occhi attenti la realtà che purtroppo ci riguarda anche nel mese di agosto.La vedo, la leggo anche mentre in vacanza penso soltanto a rilassarmi,a stare bene con gli amici e a organizzare serate in compagnia...il tempo però è davvero tiranno,le abitudini si devono modificare per forza,non ho perso di vista niente,ci sono discorsi da fare che sono soltanto rimandati,non dimentico nulla..come non dimentico la strage di piazza Loreto...

Ci sono dolori e ferite che segnano per sempre, la storia e ci sono dolori profondi che sono vissuti compostamente,forse fin troppo di fronte alla gratuità disumana del male,della violenza,alla lacerazione netta e insanabile tra uccisori e uccisi.E gli uccisi,a ben guardare,non sono solo i corpi fucilati,ma tutti coloro che sentirono e sentono quella ingiustizia efferata come perpetrata sul loro stesso corpo.Così 66 anni fa,meno di un anno prima della liberazione di Milano,quindici uomini venivano strappati ai loro affetti,alle loro vite,alle loro storie.
Non serve ripercorrere i fatti che tutti conoscono.Una presunta azione partigiana pochi giorni prima.Nessun tedesco rimase ucciso.La rappresaglia però fu violentissima.Theodor Saevecke,capo della Gestapo di Milano(noto in seguito come boia di Piazzale Loreto),ordinò la fucilazione sommaria di 15 prigionieri anti-fascisti.I quindici,fatti salire su un camion all’alba della mattina del 10 agosto con un finto ordine di trasferimento per Bergamo,
furono portati in piazza Loreto e fucilati a sangue freddo. I loro corpi rimasero esposti fino a sera.


Per i compagni fucilati a Piazzale Loreto
(Ed era l'alba, poi tutto fu fermo
là città, il cielo, il fiato del giorno.
Restarono i carnefici soltanto
vivi davanti ai morti.
Era silenzio l'urlo del mattino,
silenzio, il cielo ferito:
un silenzio di case, di Milano.
Restarono bruttati anche di sole,
sporchi di luce e l'uno all'altro odiosi,
gli assassini venduti alla paura.
Era l' alba, e dove fu lavoro,
ave il piazzale era la gioia accesa
della città migrante alle sue luci
da sera a sera, ove lo stesso strido
dei tram era saluta al giorno,
al fresco viso. dei vivi; vollero il massacro
perché Milano. avesse alla sua soglia
confusi tutti in una stessa sangue
i suoi figli promessi e il vecchia cuore
forte e ridesto stretta come un pugno.
Ebbi il mio cuore ed anche il vostro cuore
il cuore di mia madre e dei miei figli,
di tutti i vivi uccisi in un istante
per quei morti mostrati lunga il giorno
alla luce d'estate, a un temporale
di nuvole roventi. Attesi il male
come un fuoco fulmineo, come l'acqua
scrosciante di vittoria; udii il tuono
d'un popolo ridesto dalle tombe.
lo vidi il nuovo giorno che a Loreto
sovra la rossa barricata i morti
saliranno per i primi, ancora in tuta
e col petto discinto, ancora vivi
di sangue e di ragioni. Ed ogni giorno,
ogni ora eterna brucia a questo fuoco,
ogni alba ha il petto offeso da quel piombo
degli innocenti fulminati al muro.

Monumento ai Martiri di Piazzale Loreto
Alla fine della guerra, sul luogo della strage ed in memoria dei Martiri ivi caduti fu eretto un cippo commemorativo. Tale cippo fu sostituito da un monumento eretto nell'agosto 1960, opera dello scultore Giannino Castiglioni (1884-1971), sito all'angolo del piazzale e viale Andrea Doria. Il monumento, sul fronte, reca un bassorilievo che rappresenta un martire sottoposto ad esecuzione sull'iconografia di San Sebastiano, sul retro reca la dicitura «ALTA /L'ILLUMINATA FRONTE/CADDERO NEL NOME/DELLA LIBERTA`» cui segue l'elenco dei 15 caduti, la data dell'eccidio, 10 agosto 1944 ed i simboli della Repubblica Italiana e del Comune di Milano.


Alle fronde dei salici
E come potevamo noi cantare
con il piede straniero sopra il cuore,
fra i morti abbandonati nelle piazze
sull'erba dura di ghiaccio, al lamento
d'agnello dei fanciulli, all'urlo nero
della madre che andava incontro al figlio
crocifisso sul palo del telegrafo?
Alle fronde dei salici, per voto,
anche le nostre cetre erano appese,
oscillavano lievi al triste vento
Salvatore Quasimodo

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