Qualche giorno fa mi sono visto dopo tanto tempo un film di Ugo Tognazzi "La grande abbuffata" secondo me un capolavoro!!!Mi era venuta l'idea di recensire il film poi quando ho iniziato a cercare qualche foto e video da inserire nel pezzo...Mi sono reso conto che la carriera di questo grande del nostro cinema ha bisogno di maggior spazio nel mio blog....Anche perchè verso la fine degli anni 80 dopo aver visto"Amici miei" ho approfondito la sua conoscienza attraverso altri memorabili film... Ugo a è morto il 28 ottobre 1990 poco più di vent'anni fa all'età di 68 anni.Ma in quest'arco di tempo non ha mai smesso di esserci grazie all'immortalità della sua opera.
Ugo resta a mio parere uno dei più grandi “mostri” della commedia all’italiana.Tra i nostri attori è stato il meno addomesticato,il più rustico e contorto, capace di dare credibilità a personaggi assurdi.Ha lavorato con tutti i più grandi, da Monicelli a Bertolucci, da Ferreri a Pasolini, solo per buttare giù quattro nomi (l’elenco sarebbe lunghissimo). Inutile citare i suoi film(vedi sotto), meglio ricordarlo nel ruolo di intellettuale consapevole e provocatorio,insofferente al clima di caccia alle streghe che si respirava nell’Italia fine anni Settanta.Nel 1978 si prestò per la rivista satirica “Il Male” facendo pubblicare diverse pagine di quotidiani nazionali che diedero la notizia che fosse lui il capo delle Br. Molti edicolanti si divertirono a vedere la faccia sbalordita e indignata dei passanti che vedevano le foto del noto attore in manette tra due carabinieri.Tognazzi si prestò allo scherzo e per spiegarlo disse “rivendico il diritto alla cazzata”. Memorabile... Oppure rivedere in video in cui Tognazzi si prende gioco di Pippo Baudo nel programma della domenica e immaginate come sarebbe bello vederlo oggi prendersi gioco di un Vespa che parla davanti ad un plastico di Avetrana.Ma il motivo principale per cui vi invito a rivedere i film di Ugo è che blinda la supercazzola con lo scappellamento a destra come se fosse antani.... Memorabile!!!
La carriera :
Nato il 23.03.1922 a Cremona,morto il 27.10.1990 a Roma Attore,Regista,Sceneggiatore teatrale, cinematografico e televisivo la sua carriera inizia nel 44,infatti dopo aver lavorato da ragazzo in una fabbrica di salumi vince un concorso per dilettanti che gli apre le porte all'avanspettacolo,e ottiene subito un certo riscontro in coppia con Raimondo Vianello:
la coppia riesce ad aver maggiore popolarità negli anni ‘50,con un fortunato programma televisivo,sino a quando non vengono cacciati per qualche battuta imprudente.In cinema, esordisce accanto a Walter Chiari ne “I cadetti di Guascogna” (1950) di Mario Mattoli, cui fanno seguito una sfilza di commedie dal modesto livello.La svolta giunge nel 1961: è allora, infatti, ch’egli dimostra ben maggiori ambizioni dirigendosi con bravura ne “Il mantenuto”, mentre Luciano Salce gli offre il bel ruolo del fascista Arcovazzi ne “Il federale”.
E’ il principio d’una straordinaria carriera: negli anni seguenti, egli avrà modo di dimostrare il proprio eclettismo interpretando i più svariati tipi, dal maturo ingegnere che si perde dietro una ragazzina de “La voglia matta” (1962, ancora firmato da Salce) allo sventurato protagonista de “L’ape regina” (1963; è il film che segna l’inizio del suo straordinario sodalizio con Marco Ferreri), dalle survoltate e grottesche caratterizzazioni de “I mostri” (1963) di Dino Risi
all’impietoso ritratto di borghese in foia nell’amaro “La bambolona” (1968) di Franco Giraldi. Capace di spaziare su qualunque registro, non disdegnando quei personaggi sgradevoli (l’imbonitore da fiera del superbo “La donna scimmia”, 1964, di Ferreri od il sessuomane incauto dell’aspro “Venga a prendere il caffè... da noi”, 1970, di Alberto Lattuada) evitati come la peste da altri suoi celebri colleghi, Tognazzi viene premiato con la Palma d’Oro del miglior interprete a Cannes per “La tragedia di un uomo ridicolo” (1981) di Bernardo Bertolucci
ma conosce i suoi successi più grandi grazie alle serie inaugurate da “Amici miei” (1975) di Mario Monicelli ed “Il vizietto” (1978) di Edouard Molinaro. Regista di cinque film (dei quali il più valido resta il primo), è stato fra i capofila della commedia all’italiana e l’attore nostro forse più “esportabile".
ll vizietto
Nasce sul palcoscenico quest'opera di Jean Poiret e viene data alla luce del proiettore cinque anni più tardi, nel 1978, grazie all'attore, regista e produttore francese Édouard Molinaro. Tognazzi interpreta Renato Baldi, un attempato omosessuale che dall'unica relazione etero avuta in gioventù ha avuto un figlio. È (anche) la commedia degli equivoci in cui Tognazzi, ancora una volta, s'incarica di raccontare attraverso soggetti altrui la società del momento. Il vizietto è infatti uno dei più importanti film “politici” degli anni '70. Tre candidature all'Oscar e un Golden Globe vinto come miglior film straniero.
Amici miei — Atto I, II e III
Nel mare di zingarate, supercazzole e cori grossolani di Amici miei Ugo Tognazzi ci sguazza. La sua è la maschera del conte caduto in rovina con moglie e figlia a carico e tanta voglia di immaturità. Generatore di battute e tormentoni Amici miei è il fiore all'occhiello del compianto attore. “Il bello della zingarata è proprio questo” spiega il Perozzi di Philip Noiret nel primo capitolo della trilogia: “la libertà, l'estro, il desiderio... come l'amore. Nasce quando nasce e quando non c'è più è inutile insistere. Non c'è più!”. Frase che peraltro definisce il film. È la commedia esilarante e amara, come la vita.
Ugo Tognazzi aveva fama anche di essere gourmet e valido cuoco,scrisse vari libri ho trovato nel web alcuni spunti di questa per esempio "L'abbuffone",nel quale l'attore racconta alcune esperienze gastronomiche e descrive ricette tradizionali e non, Afrodite in cucina, un libro double-face,con la prima parte ('Amore e fornelli') che indaga in maniera semiseria i rapporti fra il cibo e le donne,l'effetto dei piatti afrodisiaci e così via,e una seconda, molto più corposa e riuscita, con 200 ricette accompagnate da approfonditi suggerimenti per i vini da accoppiare.Ricette tradizionali e ricette di fantasia (talvolta anche nei nomi: risotto Satyricon, astice Platonico, capriolo Ammaliato...),piuttosto cariche di ingredienti come usava al tempo, da provare con curiosità.A corredo del tutto, poi, due brevi appendici, una dedicata ai cocktail, l'altra alle 'curiosità d'Afrodite'..
Per avere un idea:
Ingordigia, golosità: parole sciocche, dettate dalla morale corrente punitiva e masochista. Ognuno è libero di fare la sua scelta, anche di morire gonfio di foie gras o stremato dagli amplessi. Disoccultiamo queste due sane, grandi e materialistiche passioni, per troppo tempo tenute nel ghetto della peccaminosità. Riesumiamo quella morale epicurea della gioia, della vita, che fece grande la romanità e il Rinascimento; riavviciniamoci con partecipazione al flusso ininterrotto e secolare della bava, dello sperma e della merda; recuperiamo, nel caso del cibo in particolare, una dimensione che si sta sempre più disfacendo, assediata com'è dalle schiere dei liofilizzati, dei surgelati, degli inscatolati.Una volta c'era una nonna, una mamma, una campagna, un orto.Ricreiamoli. Dipende da noi.
Ugo Tognazzi, L'abbuffone
A proposito di cucina proprio "Nella grande abbuffata" (di Marco Ferreri) che citavo all'inizio Ugo da il meglio di se..A mio avviso un capolavoro assoluto,uno dei film più disgustosi e seminali della storia del cinema italiano (e non solo),la cui provocazione più ardita è di sperimentare la nausea attraverso i piaceri piu' grandi dell'uomo moderno,il cibo e la sessualità.Una simile radicalizzazione mette in ombra (volutamente) o comunque svela solo in parte le motivazioni (sociali, ideologiche, culturali, psicologiche, umane, morali?) che inducono questi quattro amici a provocarsi il piacere illimitato fino alla morte (annunciata).Magari un'invidiabile trait d'union tra il dadaismo estremo (il Salò di Pasolini è stato spesso visto come un'influenza indiretta da questo film) e un'amarissimo apologo della vita da vivere fino all'iconoclastia del suo senso eutanasico.Memorabili tutti gli attori,anche gli altri attori da Marcello Mastroianni,Michel Piccoli,Philippe Noiert,Andréa Ferréol,Solange Blondeau.Disgustoso al di là di ogni limite di gusto,è un film nichilista tra i più geniali di sempre,simbolo del degrado della società umana e proprio per questo difficilmente si trova il coraggio di rivede una seconda o terza volta.Pare proprio che gli splendidi piatti siano stati cucinati dallo stesso Tognazzi e consumati realmente tra una ripresa e l'altra del film...
Articolo di Giuseppe Traina
Ugo Tognazzi: omaggio a un ‘mostro’ del cinema italiano
Se è vero, come in gran parte è vero, che Alberto Sordi ha incarnato alla perfezione l’italiano medio degli anni del boom (ritratto che sarebbe peraltro incompleto senza il Gassman del Sorpasso), è vero anche che il suo disarmante sorriso doroteo olezzava, in fondo, di assoluzione per i suoi personaggi. Su questo italiano cialtrone e arruffone registi e sceneggiatori non hanno voluto quasi mai premere a tavoletta il pedale della severità, rinunciando a giocare la carta della sgradevolezza, del grottesco esacerbato. E su tale scelta potrebbe avere influito anche una certa ritrosia di Sordi (ma anche di Gassman o Manfredi) a concedersi totalmente al ruolo di vilain. Tanto più dunque cresce, col passare degli anni, la statura di Ugo Tognazzi, non a caso l’unico del quartetto a essere stato coccolato da Marco Ferreri, il maestro del più lucido grottesco cinematografico che l’Italia abbia avuto. Pure Mastroianni ebbe tale coraggio (e l’apprezzamento di Ferreri) ma anche quando Mastroianni s’addentrava nella deboscia più disonorevole, al suo viso serafico si perdonava tutto. Tognazzi invece restava scimmiesco, lascivo, imbonitore dalla voce mielata e dal guadagno sicuro.
D’accordo, madre natura gli vietava l’eleganza naturale di Gassman: ma quando mai a Tognazzi fu riservato il candido stupore del giovane Manfredi? O la melanconia da clown bianco del Sordi felliniano? Tognazzi non poteva essere che un augusto, fin dai tempi del sodalizio televisivo col bianco Raimondo Vianello: la sua vera, italianissima maschera era quella di Bertoldo (e peccato che Monicelli se ne sia ricordato solo nel suo film peggiore). Solo Tognazzi ebbe il coraggio di portare la recitazione en travesti alle estreme conseguenze dell’omosessualità esplicita (e direi più nel bellissimo Straziami, ma di baci saziami di Risi che nel celeberrimo Vizietto) – per non dire della sgradevolezza elegantissima del petomane, dei vari mostri interpretati a gara con Gassman, o del personaggio più mostruoso di tutti, l’impresario della donna scimmia nel capolavoro di Ferreri. Né si può dimenticare il conte Lello Mascetti di Amici miei, poeta della crapula che sconosce la vergogna, capace della più invereconda noncuranza dei doveri familiari per correre dietro la bionda solarità di Silvia Dionisio.C’era naturalmente in lui una corda tragica sensibilissima: lo sapeva Ferreri, ma la teneva a freno (come nella kafkiana vicenda dell’Uomo dei cinque palloni o perfino nella Grande abbuffata, dove il gourmet Tognazzi risulta il più misurato fra tutti gli attori); lo sapeva Bertolucci, che la liberò nella Tragedia di un uomo ridicolo; lo sapeva più di tutti Tognazzi stesso, come dimostrano i suoi film da regista, soprattutto l’ultimo, il più bello: I viaggiatori della sera, sottovalutatissimo e disperato apologo sulla vecchiaia. Di tutto questo, e d’altro ancora, poco s’è parlato. Ricordiamo solo una monografia di Claudio G. Fava e Aldo Bernardini, edita da Gremese nell’85, cui s’aggiunge adesso il volume Tognazzi. L’alter… Ugo del cinema italiano, curato da Massimo Causo per l’editore Besa. Nella presentazione al libro, Causo legge l’avventura artistica di Tognazzi come quella del ‘ più politico ’ fra i grandi attori del cinema italiano; ed è un giudizio indubbiamente condivisibile, che però finisce per essere un po’ annacquato dall’impostazione complessiva del volume, forse troppo sbilanciato sul versante delle testimonianze (di familiari e colleghi) a scapito dell’interpretazione critica. Che è affidata a cinque brevi scritti: di Morando Morandini (un po’ di fiato corto, per la verità: dal miglior critico quotidianista italiano era lecito aspettarsi qualcosa di più), Stefano Della Casa (che rilegge Tognazzi all’insegna dell’‘estetica della mediocrità ’), Federico Chiacchiari (le pagine più sciatte e confuse del libro, che contengono un invito alla rivalutazione delle regie di Luciano Salce – e passi – e perfino di Castellano e Pipolo!), Roberto Silvestri (che analizza con generosa finezza il Tognazzi regista) e Vito Attolini (il tentativo più convincente e coerente di spiegare la grandezza e le sfaccettature del Tognazzi attore). Dopo la messe di testimonianze e un collage di dichiarazioni di Tognazzi stesso, il volume è completato da biografia, filmografia e dati sull’attività televisiva e teatrale dell’attore cremonese.
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