27 nov 2010

Ken Saro-Wiwa "Un mese e un giorno"

Ho terminato di leggere da pochi giorni un libro di Ken Saro-Wiwa "un mese e un giorno" conoscevo già questo grande uomo,questo eroe moderno,nel vero senso del termine,un eroe reale in carne ed ossa,però questo libro mi ha permesso di approfondire ancora di più  la sua vicenda e quella del suo popolo,grazie a un racconto,un diario della prima prigionia (nel 1993) che l'autore affrontò prima di essere nuovamente arrestato nel 1994 ed impiccato (il 10 novembre 1995) dal regime nigeriano, assieme ad altri 8 attivisti del MOSOP (il movimento per la sopravvivenza del popolo Ogoni ).Ken Saro-Wiwa per chi non lo conosce era un poeta,scrittore, drammaturgo e autore televisivo nigeriano,che si batté perché la popolazione che abita il delta del Niger(oggi uno dei luoghi più inquinati del mondo), gli Ogoni di cui lui stesso faceva parte,fosse protetta e risarcita dei danni causati dalle compagnie estrattive "Shell in testa" che, con la complicità del governo nigeriano, avevano devastato le terre e gli specchi d'acqua, contro lo sfruttamento da parte delle multinazionali  del territorio per l'estrazione del petrolio (la Nigeria è il maggior produttore di petrolio africano).Ricordiamo che anche l'AGIP era ed è ancora  presente con pozzi di estrazione in Nigeria e ovviamente collusa con il regime militare.E da quello che si dice dall'87 all'88 sono state scaricate illegalmente in Nigeria 3800 tonnellate di rifiuti tossici italiani

Riprendendo il libro lo scrittore si confronta con la sua detenzione,durata proprio un mese e un giorno e ci regala un vero e proprio testamento umano e spirituale, politico e civile.Nelle vibranti pagine, l’accusa coraggiosa di un intellettuale che sente tutta la responsabilità del suo ruolo contro un regime cieco e violento, che nega i diritti della gente e svende la terra piegandosi agli interessi economici.Una sorta di profeta disarmato, che affronta una morte inevitabile con dignità e vede oltre, con speranza, un futuro di riscatto. Che proprio per questo ha saputo colpire più a fondo le coscienze intorpidite, anche di quell’Occidente lontano e distratto. Con l’unica arma che aveva scelto e che sentiva di avere a disposizione, ovvero la parola e la scrittura.Per questo motivo è apprezzato in particolare dallo scrittore Roberto Saviano(vedi sotto), che sente nei confronti di Wiwa una sorta di affinità elettiva.

L’urgenza di fondo è simile, nonostante la differenza delle situazioni e dei contesti. Scardinare un sistema oppressivo e una violenza diffusa con la sola forza del verbo. Non il kalashnikov, magari venduto da affaristi simili a quelli che ha combattuto, per diventare poi l’ennesimo signore della guerra che si appoggia alle multinazionali. Di quelli che poi si sostituiscono alla dittatura precedente, nel drammatico balletto già visto del sanguinoso tribalismo africano.Per questa sua scelta di non violenza Ken Saro-Wiwa diventa un insopportabile tafano per il potere, che ha fatto di tutto per silenziarlo. Ma le sue idee e i suoi scritti per fortuna rimangono e riemergono dalle paludi intossicate del Niger anche oggi, a ricordarci un’Africa che aspira ad uscire dall’abisso di povertà e sfruttamento. Senza pietismi.

La storia di Ken attraverso un pezzo di Saviano da Repubblica:
Ken Saro Wiwa
IL 10 NOVEMBRE 1995 la nazionale di cal­cio nige­ri­ana si esi­bisce per la prima volta in patria dopo i mon­di­ali amer­i­cani, di cui era stata la riv­e­lazione. In quello stesso giorno, men­tre un intero Paese fes­teggia, Ken Saro-Wiwa viene impic­cato per l’unica colpa di essere uno scrit­tore, l’autore di Soz­aboy.
Quando il fratello di Ken riceve la notizia dell’esecuzione, chiama un gior­nal­ista in Inghilterra. “Hanno ucciso Ken”, gli dice e l’altro risponde che è impos­si­bile: “È inter­venuto Bill Clin­ton; Nel­son Man­dela ha chiam­ato il pres­i­dente nige­ri­ano; si è mosso il Com­mon­wealth. Non può essere. È una fes­se­ria, ti hanno men­tito”.Ma il fratello di Ken sa che non è così, per­ché ad avver­tirlo è stato un carceriere della sua stessa etnia, il popolo Ogoni, che vive sul delta del Niger (…). Il fratello di Ken rac­conta che si è messo a guardare i caroselli dei tifosi nige­ri­ani, ha provato a fer­mare qual­cuno e così, d’istinto, a dire: “Hanno ucciso Ken Saro-Wiwa”. L’ha fatto per­ché Ken era molto conosci­uto. Ma si era appena dis­pu­tata una grande par­tita e la Nige­ria aveva vinto. Il pres­i­dente nige­ri­ano aveva assis­tito al tri­onfo in tri­buna, insieme al mas­simo diri­gente della Fifa. Infondo, era solo morto uno scrittore.Con la sua opera, Ken Saro-Wiwa vol­eva sve­lare al mondo quanto stava succe­dendo in Nige­ria. Soz­aboy è il libro che ci ha per­me­sso di avere un’idea pre­cisa della guerra in Biafra. Le immag­ini ormai famose dei bam­bini con il volto schelet­rico, il ven­tre gon­fio e le gambe come stec­chini, la vita dei bam­bini soldato (…), è lui che ce le ha fatte sco­prire. È lui che è rius­cito, attra­verso la potenza della let­ter­atura, a dif­fondere queste sto­rie, a ren­derle mate­ria. Il petro­lio è il cen­tro della battaglia let­ter­aria, intel­let­tuale e polit­ica di Ken. La parola era la sua arma. Oggi i guer­riglieri del delta del Niger, che si iden­ti­f­i­cano con la sigla del MEND (Movi­mento per l’emancipazione del Delta del Niger), rifer­en­dosi senza citarlo a Ken dicono: “Qual­cuno ha usato la parola ed è stato impic­cato”. E quindi loro imbrac­ciano i fucili. La morte di Ken ha sig­ni­fi­cato per la Nige­ria la fine della lotta paci­fica. Ken vol­eva una cosa molto sem­plice, vol­eva che le grandi com­pag­nie petro­lif­ere, la Shell su tutte, dividessero i guadagni, al 50%, con chi vive sulle terre che davano i giaci­menti petro­lif­eri da loro sfrut­tati (…). Non pre­tendeva che non arrivassero più triv­elle, o che ad avere gli appalti dovessero essere delle inesistenti soci­età africane. Era un grande intel­let­tuale, sapeva benis­simo che la sto­ria aveva preso la sua direzione. Sapeva benis­simo che l’Europa aveva i mezzi e l’Africa le risorse. Non era un deli­rante “difendi balene” come chia­mava
gli ecol­o­gisti rad­i­cali occi­den­tali. Com­bat­teva per­ché quel petro­lio diven­tasse scuola, teatro, sta­dio, musica, palazzi, prog­etti, uni­ver­sità. Vol­eva che quel petro­lio fosse vita.Ken era molto noto anche per­ché era stato autore e pro­dut­tore della prima e più seguita sit-com africana, Basi and Com­pany, che nelle sue inten­zioni doveva far conoscere la realtà del Paese a un grande pub­blico, mag­ari diver­tendolo.

 Veniva man­data in onda più o meno negli anni in cui in Italia si pro­gram­ma­vano Casa Vianello, I Robin­son, A-Team, MiamiVice. Ken spaven­tava il potere per­ché le sue sto­rie cir­cola­vano, per­ché se ne parlava a Lon­dra, a Parigi e soprat­tutto in Nige­ria. E per­ché la sua sit-com rac­con­tava il quo­tid­i­ano africano (…Oggi, all’improvviso, la vicenda di Ken è tor­nata di attual­ità, anche se è scivolata via così sui gior­nali, senza che le venisse dato troppo peso. È suc­cesso che la Shell, la com­pag­nia petro­lif­era anglo-olandese, una delle più grandi multi­nazion­ali del mondo, è stata rin­vi­ata a giudizio per la morte di Ken Saro-Wiwa e di altri sei intel­let­tuali nige­ri­ani. Una multi­nazionale, uno scrit­tore. Macro e micro. Enorme e minus­colo. Per anni, per decenni, orga­niz­zazioni ambi­en­tal­iste, asso­ci­azioni politiche hanno cer­cato di portare in tri­bunale le multi­nazion­ali per i dis­as­tri ambi­en­tali da loro provo­cati (…). Non ci sono mai rius­cite. C’è voluta la morte di uno scrit­tore (…). Negli Stati Uniti una avvo­catessa si è appel­lata a una legge sem­plice e mer­av­igliosa che per­me­tte di proces­sare un’azienda anche se quell’azienda non è amer­i­cana; è suf­fi­ciente che fac­cia affari in Amer­ica. Così la Shell è stata chia­mata a rispon­dere della morte di Ken Saro-Wiwa. L’accusa: avere fatto pres­sioni al gov­erno nige­ri­ano per­ché elim­i­nasse il dis­turbo medi­atico prin­ci­pale. Non un politico, non un guer­rigliero, ma uno scrit­tore (…)Alla fine la Shell ha evi­tato il giudizio e ha pagato (…). Quindici mil­ioni di dol­lari: è questo il prezzo della vita di uno scrit­tore
L’esecuzione di Ken Saro-Wiwa è stata ter­ri­bile. In Nige­ria prima di lui non erano abit­uati a fare ese­cuzioni uffi­ciali, i boia non uccide­vano da tempo e come per tragico des­tino non erano esperti (…). Fecero male il nodo scor­soio del cap­pio e per ben quat­tro volte hanno dovuto lan­ciare il corpo di Ken oltre la botola. Il cap­pio non gli spez­zava il collo ma lo stroz­zava sem­plice­mente, allora lo riti­ra­vano su. E lui — è scritto, lo ha tes­ti­mo­ni­ato un poliziotto — ripeteva: “Ma per­ché mi fate questo? Com’è pos­si­bile?” Quat­tro volte. Alla quinta il nodo ha fun­zion­ato. E Ken è mortoLe parole di Ken Saro-Wiwa met­te­vano paura. Le parole di Ken Saro-Wiwa met­tono paura, sono peri­colose. Una multi­nazionale e uno Stato tra i più ric­chi d’Africa — insieme al Sud Africa la Nige­ria è l’avanguardia eco­nom­ica del con­ti­nente — hanno avuto paura di uno scrit­tore, di una per­sona che pub­bli­cava arti­coli, rac­conti, romanzi, che pro­duceva sit-com (…).Una delle cose che mi ha sem­pre col­pito di questa vicenda è l’assoluta dif­fi­coltà di fare la scelta giusta. Sarebbe un errore enorme definire Ken un eroe, un arcan­gelo mandato dal des­tino, una per­sona capace di sac­ri­fici immani, infal­li­bile. Sarebbe sbagliato nei suoi con­fronti e anche stu­p­ida inge­nu­ità. Equi­var­rebbe a fare scem­pio delle sue idee. Una scelta dif­fi­cile come quella di Ken ti mette in crisi. Com­piere una scelta giusta non sig­nifica essere sem­pre un uomo giusto. Esser dis­posti a perdere molto di sé, al punto da sen­tirsi per­sone peg­giori ma con­tin­uare, cer­care di con­tin­uare lungo la strada che si crede giusta.Il figlio di Ken, che oggi ne sostiene la memo­ria, quando suo padre era in vita era arrivato a detes­tarlo. Ricordo un aned­doto tragico. Per motivi di sicurezza, Ken aveva trasfer­ito la famiglia in Gran Bre­tagna (…). Un giorno, suo figlio più pic­colo muore d’infarto, ad appena dod­ici anni, men­tre gioca a rugby. Aveva una mal­for­mazione car­diaca non diag­nos­ti­cata. Ken vola in Inghilterra, rimane lì due giorni, parte­cipa alle ese­quie e se ne va. Il figlio mag­giore gli dirà: “Ma come hai potuto? Qui noi siamo dis­perati. Te ne sei andato nel momento in cui a noi ser­vivano la tua pre­senza e le tue parole. Che uomo sei?”.Ken sof­fre moltissimo per questo. Tempo dopo, dal carcere, scrive al figlio che gli risponde: “Io non mi muoverò per te. Io voglio una famiglia. Io voglio bene alla mia famiglia”. Era un modo per dirgli: “Io non intendo far pagare ad altri le mie scelte” (…)Ci sono alcuni suoi versi, com­posti in carcere, che recitano: “Quello che più mi fa sof­frire non è la fame che sento qui, non sono i pugni che mi danno, non è il freddo, non è l’isolamento, non è neanche il fatto di non poter sapere se avrò un processo. Quello che mi fa male è sapere che tutto questo non si conoscerà, è sapere che tutto questo sarà vano”.Ecco per­ché oggi toc­care questo libro, odor­arne le pagine, guardarlo, leg­gerlo sig­nifica far sì che con­tinui a essere un’arma paci­fica e poten­tis­sima in grado di essere anti­doto con­tro ogni mec­ca­n­ismo di potere.

Nel suo ultimo discorso presso il tribunale speciale militare che lo condannò a morte, Ken Saro Wiwa ebbe modo di dire:Signor presidente tutti noi siamo di fronte alla Storia. Io sono un uomo di pace, di idee. Provo sgomento per la vergognosa povertà del mio popolo che vive su una terra molto generosa di risorse; provo rabbia per la devastazione di questa terra; provo fretta di ottenere che il mio popolo riconquisti il suo diritto alla vita e a una vita decente. Così ho dedicato tutte le mie risorse materiali ed intellettuali a una causa nella quale credo totalmente, sulla quale non posso essere zittito. Non ho dubbi sul fatto che, alla fine, la mia causa vincerà e non importa quanti processi, quante tribolazioni io e coloro che credono con me in questa causa potremo incontrare nel corso del nostro cammino. Né la prigione né la morte potranno impedire la nostra vittoria finale.

La vera prigione (poesia  K. Saro-Wiwa)
La vera prigione
Non è il tetto che perde
Non sono nemmeno le zanzare che ronzano
Nella umida, misera cella.
Non è il rumore metallico della chiave
Mentre il secondino ti chiude dentro.
Non sono le meschine razioni
insufficienti per uomo o bestia
Neanche il nulla del giorno
Che sprofonda nel vuoto della notte
Non è
Non è
Non è.
Sono le bugie che ti hanno martellato
Le orecchie per un’intera generazione
E’ il poliziotto che corre all’impazzata in un raptus omicida
Mentre esegue a sangue freddo ordini sanguinari
In cambio di un misero pasto al giorno.
Il magistrato che scrive sul suo libro
La punizione, lei lo sa, è ingiusta
La decrepitezza morale
L’inettitudine mentale
Che concede alla dittatura una falsa legittimazione
La vigliaccheria travestita da obbedienza
In agguato nelle nostre anime denigrate
È la paura di calzoni inumiditi
Non osiamo eliminare la nostra urina
E’ questo
E’ questo
E’ questo
Amico mio, è questo che trasforma il nostro mondo libero
In una cupa prigione.

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