2 ott 2010

CECITA' di JOSE' SARAMAGO

Secondo me non siamo diventati ciechi,
secondo me lo siamo,
Ciechi che vedono,
Ciechi che, pur vedendo,non vedono…
Se non siamo capaci di vivere globalmente come persone,
almeno facciamo di tutto per non vivere globalmente come animali.
Il punto cardine di questo libro è la cecità morale,deprecabile e sensibilmente più grave della cecità fisica,il racconto è la storia di una città ,una cittadina normale,di un Paese normale, in una giornata normale fino a quando comincia a diffondersi una imprevista epidemia le persone diventano cieche.La cecità si manifesta sotto forma di un velo profondo,lattiginoso,che impedisce la normale visione.Si innesca così un meccanismo mostruoso,eppure così consueto nella storia dell'uomo: i ciechi sono immediatamente individuati,colpevolizzati,reclusi come bestie.La cecità provoca gli stessi sentimenti millenari di repulsione dell'uomo nei confronti del diverso,accentuati dalla paura del contagio.Il cieco, nella narrazione di Saramago,è nello stesso tempo l'altro,il lebbroso e l'ebreo, figure che nella storia dell'umanità hanno suscitato sentimenti e atteggiamenti di rimozione,di esclusione,di persecuzione.Forse non è una circostanza casuale che il luogo di detenzione dei ciechi sia simile al lager nazista di Auschwitz nella descrizione che ne fa Primo Levi (Se questo è un uomo).Anche in questo luogo di detenzione ci sono i sommersi e i salvati.In ogni caso emerge una umanità dalla moralità vacillante;gli atteggiamenti di altruismo e solidarietà,che pure esistono,spesso lasciano il passo al riaffiorare di prepotenze organizzate dai più forti a scapito dei deboli.Non offre molte illusioni Saramago: l'uomo in una situazione di emergenza decade in un stato ferino e ritrova le proprie origini.Ma da quelle origini più vere è nata la nostra civiltà: dalla violenza, dalla paura e dalla sopraffazione.Una civiltà e una società solo in qualche modo corretta e mediata dalle leggi e dagli usi.Ma se questi, per qualsiasi motivo, svaniscono, ecco allora che vediamo l'umanità ritornare alle primitive prevaricazioni restituita alla sua più vera e autentica natura.Così come sono regrediti allo stato di iene i cani che si aggirano nelle strade della città descritta da Saramago,dove l'epidemia ha oramai colpito tutti i suoi cittadini,gli abitanti, bestiali e degradati, si aggirano come zombie,tragici parassiti spinti solo dall'istinto di sopravvivere a tutti i costi...In questo drammatico contesto la cecità lattiginosa del romanzo di Saramago non è il nobile buio dei veri ciechi,bensì è la quotidiana cecità dell'immorale,che fà credere di vedere ma nel suo interiore e' cieco.Una quotidiana lattiginosa cecità in cui ci muoviamo costantemente e che pure non abbiamo il coraggio di fare nostra.Ma di questa l'umanità prima o poi se ne renderà conto e in quel momento sarà veramente cieca.Allora giungerà la fine oppure (forse) un nuovo inizio.

2 commenti:

  1. Passo per un caro saluto veloce.
    Ma ripasserò per leggere con più calma questo post.
    Un abbraccio.

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  2. Ciao cara....grazie per il saluto!!!!
    a presto un'abbraccio...

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