Creuza de ma è il pezzo che da il titolo a questo meraviglioso album,è un disco considerato come uno dei massimi capolavori non solo della musica italiana,ma della musica ...Adirittura David Byrne dichiarò a un'intervista al "Rolling Stone" che questo è l'album più importanti della scena musicale degli anni 80 e quando disse questo molti risero..adesso molti si sono ricreduti anche se il suo impatto e la sua grandezza non sono ancora stati recepiti appieno dalla scena musicale italiana e internazionale!!!(un consiglio di leggere le traduzione dei testi)Certo attribuire questo disco solo a De Andrè è un po’ limitativo visto che l’apporto musicale di Pagani è stato importante.L'album è del 1984 quindi sono passati 26 anni dall’uscita del disco,e in tutto questo tempo ammetto di averlo ascoltato spesso,assaporandolo in ogni sua minima sfumatura,nei suoni e nei testi, cercando proprio qui di cogliere il significato più profondo che i due musicisti hanno voluto esprimere..Un disco italiano ma in un italiano dialettale, in genovese antico.L'idea è stata quella di concepire un album "mediterraneo" nell'origine, andando a pescare in giro per il bacino del mare,gli strumenti che le civiltà dall'origine avevano tramandato.
La malinconia che mi avvolge, quando ascolto la voce di Fabrizio De Andrè, è ancora tanta.Malinconia e senso di vuoto.Creuza de ma è uno dei tanti bellissimi dischi incisi da De Andrè, potrei banalmente definirlo un capolavoro,se non mi fosse difficile, per non dire impossibile,stilare una classifica delle sue composizioni. Una cosa differenzia questo disco come dicevo è in dialetto antico Genovese...ma anche in questa veste,pur nella difficoltà della comprensione del dialetto per chi genovese non è come me, la poesia è intatta, la magia e l’incanto delle atmosfere che De Andrè riusciva a creare, immutati. Intanto la musica, linguaggio universale che parla direttamente al cuore; poi la voce calda e scandita di Fabrizio De Andrè, inconfondibile e bella, pur se non estesa, che ci culla ... Infine la sua poeticità, la sua delicatezza e la sua sensibilità, la sua ironia, che si esprimono magistralmente anche con l’uso del dialetto.
La Creuza de ma du cui prende il nome l'album,è la stradina che fende,spesso in modo verticale,le colline liguri e che delimita i confini di proprietà,ma si dice che i genovesi la usano anche per descrivere le stradine
urbane in ciottolato..La Creuza a Genova è anche un fenomeno meteorologico quando il mare non è calmo e si creano piccoli vortici di vento che creano cureve che sembrano sentieri...i Marinai di Genova dicono:U ma u fa e Crèuze,il mare fà le strade..Ecco perchè Fabrizio a intitolato l'album così....
Il testo della canzone racconta del ritorno a casa dei marina,eterni viaggiatori del mare e del loro ritrovarsi
alla taverna del l'Andrea...ed è carica della rassegnazione di chi è costretto come i marinai,come Ulisse a un viaggio senza fine,un viaggio condanna in cui le soste sono fonte di frustrazione e occasioni per ubriacarsi ("E nella barca del vino ci navigheremo sugli scogli/ emigranti della risata con i chiodi negli occhi/ finché il mattino crescerà da poterlo raccogliere/ fratello dei garofani e delle ragazze/ padrone della corda marcia d'acqua e di sale che ci lega e ci porta in una mulattiera di mare"). Il brano sa evocare odori e profumi della cucina ligure ("frittura di pesciolini/ bianco di Portofino/ cervelle di agnello nello stesso vino/ lasagne da tagliare ai quattro sughi/ pasticcio in agrodolce di lepre di tegole") o anche suscitare lampi di un'Oriente lontano e misterioso ("Ombre di facce, facce di marinai/ da dove venite dov'è che andate?/ da un posto dove la luna si mostra nuda/ e la notte ci ha puntato il coltello alla gola/ e a montare l'asino c'è rimasto Dio/ il Diavolo è in cielo e ci si è fatto il nido").
La title track si apre sui rumori del caotico mercato di Genova, presto affiancati da un assolo di gaida,sorta di cornamusa in uso fra i pastori ....Appena il canto si dispiega sulla semplice melodia, ogni residuo dubbio dell'ascoltatore riguardo alle scelte linguistiche di De André è fugato. Nel "suo" genovese, la voce di De André diventa ancor più ricca, più espressiva di quanto non lo sia mai stata, e gli ostacoli che il dialetto pone a un'immediata comprensione sono in realtà fonte di infinite suggestioni sonore.
"Jamin-a" è forse la più bella ode a una prostituta che sia mai stata scritta: un ideale proseguimento delle storie narrate in "Via Del Campo" e "Bocca Di Rosa", ma qui il racconto perde ogni valenza polemica o iconografica. Grazie all'adozione del genovese, De André non teme censure, e affronta il brano con esplicita, cruda, irriverente, irresistibile sensualità: il corpo di Jamin-a è protagonista, con la sua "lengua nfeugà" lingua infuocata e il "nodo delle sue gambe", incatena l'ascoltatore in un vortice di suggestione erotica e sonora. La struttura armonica del brano è affidata all'oud e al bouzouki, strumenti a corda di tradizione araba e greca.
"Sidun" è il canto funebre della madre palestinese è al tempo stesso uno dei vertici dell'espressione poetica di De André e uno dei massimi risultati musicali della carriera del cantautore genovese. "Sinan Capudan Pascià" è la storia (vera) di un marinaio genovese che venne catturato dai turchi e divento pascià per aver salvato la nave del sultano dal naufragio. Il ritornello, adattamento di un canto di marinai diffuso in area tirrenica, è un piccolo nonsense con ambizioni da metafisica simbolista ("in mezzo al mare c'è un pesce palla, che quando vede le belle viene a galla; in fondo al mare c'è un pesce tondo che quando vede le brutte se ne va sul fondo") e più in là lo stesso refrain diventa un'apologia del "farsi da soli" in chiave di bassa e surreale comicità ("La sfortuna è un cazzo, che gira intorno al culo più vicino… un avvoltoio che vola intorno al culo dell'imbecille"). C'è spazio anche per una sparata del novello pascià sull'universalità dell'ossessione per il denaro ("E digli a chi mi chiama rinnegato, che a tutte le ricchezze, all'argento e all'oro, Sinàn ha concesso di luccicare al sole, bestemmiando Maometto al posto del Signore").
Le due tracce successive riportano la narrazione e l'atmosfera nell'antica Genova, e danno piena voce a figure di emarginati. La "pittima" ovvero l'esattore di debiti privati per conto terzi, lamenta la sua condizione precaria e pericolosa, rivendicando con orgoglio la "rispettabilità" del suo mestiere meschino. In "A Dumenega" le prostitute genovesi, relegate nel ghetto per tutta la settimana, in libera uscita la domenica, passeggiano per la città come gran dame, schernite dalla folla ipocrita degli abituali frequentatori dei bordelli cittadini. È bene anche ricordare che anticamente i proventi dei bordelli erano incamerati dal comune di Genova, che con essi ricopriva quasi interamente le spese di manutenzione del porto.
L'ultima traccia, "Da me riva", è una "ode del distacco", il pensiero malinconico del marinaio che riparte, ancora una volta, e saluta la propria compagna, rimasta a riva, ormai solo un profilo lontano, controluce.
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